Giava è una grande isola dell’Oceano Pacifico cosparsa di vulcani ed è il centro geografico ed economico dell’Indonesia, in quanto ospita più della metà dei suoi abitanti, oltre alla capitale Giacarta. Un’area caratterizzata da una meravigliosa natura incontaminata che, purtroppo, è spesso soggetta a violenti e devastanti fenomeni atmosferici dovuti – in questo caso – non solo al cambiamento climatico, ma alla stessa morfologia del territorio.
Indonesia – L’area sismica e vulcanica più pericolosa al mondo
Lunedì 21 novembre 2022 l’isola è stata colpita da un sisma con epicentro a circa 10 km dalla cittadina di Cianjur, con magnitudo 5.6 della scala Richter. Centinaia di persone sono rimaste ferite a causa dei crolli strutturali dovuti alla particolare forza della scossa, la cui origine era abbastanza superficiale, il che ne ha aumentato il potenziale distruttivo. Molte delle 310 vittime, purtroppo, sono bambini che si trovavano in classe. Ben quattro le scuole crollate, oltre ad altri edifici pubblici come ospedali, uffici e moschee. Tante altre vittime, invece, sono state travolte dalle frane provocate dagli smottamenti che hanno interessato la regione collinare vicino a Cianjur. La protezione civile, a ridosso dell’evento, ha parlato di almeno 2.200 case crollate parzialmente o totalmente e oltre 5300 sfollati. Dati che, con ogni probabilità, sono aumentati di giorno in giorno e ancora oggi è difficile fare una conta effettiva dei danni. Il terremoto si è sentito distintamente per alcuni minuti anche nella Capitale Giacarta, 100 chilometri a nord-ovest. Nelle due ore successive una trentina di scosse di assestamento hanno preoccupato le istituzioni e i cittadini, riversati in strada. Nel Paese, tuttavia, eventi naturali di questo tipo non sono una novità e questo è solo uno degli ultimi episodi che ha scaturito effetti più rilevanti sulle persone e le cose. Il vasto arcipelago indonesiano, infatti, si trova sulla cosiddetta «cintura di fuoco», un arco di vulcani e linee di faglia tra placche tettoniche nel bacino dell’Oceano Pacifico, che rende fortemente instabile il territorio e molto alto il rischio di scosse e onde anomale, tanto che è considerato l’area sismica e vulcanica più pericolosa al mondo. Indimenticabile il tragico tsunami del 2004 che colpì Sumatra – altra isola dell’arcipelago – provocando la morte di circa 230mila persone. La causa scatenante fu una scossa di magnitudo 9.1 al largo dell’isola, una scossa talmente forte che coinvolse 14 Paesi.
Negli anni la Terra ha continuato a tremare, non c’è mese in cui non ci sia una scossa anche lieve. E ancora, dopo il 21 novembre, altre scosse. Due volte a distanza di cinque giorni, all’inizio di dicembre, fortunatamente con un epicentro ben più profondo, dunque con effetti superficiali limitati. L’origine è sempre il movimento lento e progressivo delle placche tettoniche, in particolare la placca della Sonda (una macro placca che copre tra le altre, le isole di Sumatra e Giava) e quella indo-australiana. Basta cercare su Google “Terremoto Indonesia” per rendersi conto di quanto siano frequenti questi fenomeni. Proprio il motore di ricerca fornisce un resoconto degli ultimi terremoti nell’area: 11 dicembre due scosse, 10 dicembre una scossa, 9 dicembre tre scosse…e così via. Sempre a inizio mese, inoltre, c’è stata anche una violenta eruzione del vulcano Monte Semeru, a Giava. Quasi 2000 persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per non essere avvolti dalle potenti nubi di cenere, che si sono espanse per due chilometri nell’atmosfera, provocando anche un allarme tsunami in Giappone. Un evento potenzialmente molto dannoso, tanto che il Centro di vulcanologia e mitigazione dei disastri geologici ha aumentato lo stato di pericolo del Monte Semeru da livello tre a livello quattro, il livello più alto. Osservando le immagini del gas incandescente e della lava che scendevano lungo i pendii del monte ci si domanda come gli abitanti dei villaggi possano essere sopravvissuti. Eppure, probabilmente perché pronti ad eventi simili, migliaia di persone sono scappate per tempo e dunque non si sono registrate vittime. Fenomeni naturale di questa portata fanno parte della quotidianità del Paese e creano non solo un’atmosfera di costante preoccupazione ma anche diversi problemi, come l’assenza di energia elettrica e la disconnessione delle comunicazioni.
Indonesia – Un territorio fragile ma ricco di risorse
Il Paese, dunque, è frequentemente colpito da eventi atmosferici violenti e improvvisi che, tuttavia, sembrano non impattare più di tanto lo sviluppo economico e sociale. Certo, la terribile tragedia del 2004 ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del Paese che ha vissuto negli anni a seguire una profonda crisi economica e sociale, ma negli ultimi diciott’anni l’Indonesia è cresciuta notevolmente. Attualmente, infatti, rientra tra i cosiddetti Next Eleven: gli undici Paesi emergenti identificati da Goldman Sachs ad alto potenziale di sviluppo economico mondiale. Molti analisti la considerano il terzo principale mercato di sbocco in Asia, dopo India e Cina. Tuttavia, trattandosi del quarto Paese più popolato al mondo, con circa 250 milioni di abitanti, è facile che ci sia un’ampia fascia della popolazione che si trova a vivere in condizioni di povertà e arretratezza. E spesso, si tratta di quelle stesse persone che vivono nei meandri dell’entroterra e nelle numerosissime isole, particolarmente vulnerabili ed esposte al rischio di fenomeni estremi. C’è da dire, però, che la particolarità morfologica del territorio oltre ad avere alcuni “contro” esposti finora, ha anche dei “pro”, dal peso non irrilevante. Il territorio vulcanico è infatti particolarmente ricco di minerali e altre materie prime che costituiscono un’enorme risorsa per l’economia del Paese. La sua principale ricchezza deriva infatti dalle esportazioni, principalmente di petrolio greggio, petrolio raffinato e derivati, ma anche di gas naturale liquido. Il petrolio, il gas naturale, lo stagno, la bauxite, il nichel, il carbone, il rame, il manganese, il ferro, i diamanti, l’oro, l’argento, i fosfati il sale e l’uranio arricchiscono l’industria del settore che contribuisce per circa il 47 % al PIL annuo indonesiano e occupa il 19% della popolazione attiva.
Un po’ come in ogni continente, le disponibilità energetiche e minerarie del territorio sono viste come un’enorme risorsa che attira investimenti dall’estero e arricchisce le casse del Paese. Ciò comporta, però, una serie di conseguenze di cui paga la popolazione, come lo sfruttamento sul lavoro. RestOfWorld, un portale che pubblica reportage da tutto il mondo, per esempio, ha pubblicato un’analisi dei danni da estrazione del nichel in Indonesia. Il nichel è un materiale – il cui prezzo nell’ultimo anno è raddoppiato – sempre più richiesto per batterie e componenti delle auto elettriche e in diverse aree del Paese ci sono enormi impianti industriali che lavorano per estrarre e lavorare il metallo. Un’attività che, inevitabilmente, ha un enorme impatto sull’ecosistema circostante e sulla vita degli abitanti, tanto che i residenti di molti villaggi lamentano gravi problemi di salute, l’inquinamento delle fonti idriche e la devastazione di intere distese di terreni. In sostanza questi territori stanno pagando la transizione del resto del mondo all’elettrico, la cosiddetta “EV revolution”. È in particolare la Cina – che si è impegnata a diventare carbon neutral entro il 2060 e avrà bisogno che quasi il 90% dei suoi veicoli sia completamente elettrico entro il 2035 per raggiungere il suo obiettivo – a controllare le operazioni di estrazione in Indonesia. Ciò genera sicuramente profitti indispensabili per le casse del Paese sfruttato, ma anche enormi e profonde cicatrici su un ecosistema, già profondamente vulnerabile e sui suoi abitanti, già costantemente in pericolo.