La censura della Rai, il governo Meloni e la liberazione dall’occupazione nazifascista, tutte cose estremamente serie
Toglieteci il reddito di cittadinanza, levateci pure la tredicesima e Amadeus dopo cena, ma non vi azzardate a toccarci il pontone del 25 aprile. A proposito, per gli amici meno pratici: dicesi pontone (termine generato dalla mente di Giacomo Ciarrapico, regista, autore televisivo e cinematografico, genio e visionario) quel lasso di tempo che unisce una qualsiasi festività ad altri 4 o 5 giorni di ferie senza senso. Oggi, e per tutto il giorno, in Italia è la Festa della Liberazione, un momento storico di indubbia importanza. Quelli che ci credono veramente, gli appassionati di una resistenza che non esiste più, sono in totale dodici. Dall’altra parte della barricata, invece, troviamo i dissidenti cronici e quelli che non riconoscono questa data, agguerriti e incazzati neri: loro, più o meno, sono in nove. Gli altri 58,92milioni di italiani rimangono concentrati sul pontone.
Sì, perché è un anticipo d’estate, altro che comunismo e fascismo. Sole, mare, barbecue, montagna, passeggiate all’aperto, pioggia a dirotto, Scurati, il governo Meloni e la Bortone. La censura del 25 aprile e la liberazione dall’occupazione nazifascista, tutte cose estremamente serie. Proprio come la coerenza di chi oggi non dovrebbe festeggiare, ma restare a casa con lo sguardo spaesato verso il soffitto. E invece, anche chi ripudia questa giornata, è in fila sull’autostrada e sorride al proprio pontone. Gli alleati e i partigiani, sì, loro ci hanno liberato dal male. Ma il pontone ce lo ha donato Alcide De Gasperi, il primo ministro dell’epoca che nel 1946 dichiarò il 25 aprile Festa Nazionale. Se oggi, domani, venerdì, sabato e domenica restiamo casa, se partiamo o fissiamo il soffitto, lo dobbiamo soltanto a lui.