Ѐ il 5 agosto del 2013 e a Londra veniva mangiato il primo hamburger di carne sintetica. Da quel lunedì, il mondo è cambiato, forse, senza saperlo. “Si apre una nuova era per l’alimentazione. È stato infatti cotto (e mangiato) lunedì a Londra il primo hamburger di carne sintetica, ricavata da colture di cellule staminali di mucca. Si tratta del debutto pubblico di un progetto condotto da Mark Post, ricercatore dell’Università di Maastricht, in Olanda, che da anni studia la possibilità di creare sintocarne facendo crescere in laboratorio cellule staminali bovine. Tra i finanziatori c’è anche Sergey Brin, co-fondatore di Google. Non si tratta solo di una «follia di scienziato», ma di un’idea alla cui base c’è il contributo per risolvere la fame nel mondo: fornire proteine animali a chi non se le può permettere, senza incidere sull’allevamento”, scrive il giornalista Paolo Virtuani sul Corriere della Sera. Dieci anni dopo quel lunedì d’agosto siamo ufficialmente approdati nell’era del novel food (nuovo cibo, nuovi ingredienti), eppure di carne sintetica l’Italia non ne vuol sapere nulla. Ѐ necessario ricordare che nel 2023 optare per alternative sane e sostenibili alla carne animale non è solo una scelta etica, ma un dovere nei confronti dell’ambiente.
Novel Food – Sempre gli stessi problemi che non vogliamo risolvere
Il consumo globale di carne incide profondamente sia sull’ambiente che sulla nostra salute. Negli ultimi decenni è aumentato di pari passo con la crescita della popolazione. Le conseguenze dell’eccessivo consumo di carne sono tristemente note. Il settore è responsabile dell’emissione di gas serra e della perdita di biodiversità, a causa della conversione di aree incontaminate in terreni in cui coltivare mangimi da destinare al consumo animale. La maggior parte della terra utilizzata per l’agricoltura è infatti servita per l’allevamento del bestiame e per la produzione di latticini e carne. Il bestiame viene nutrito da due fonti: i terreni su cui pascolano gli animali e i terreni su cui vengono coltivate colture per l’alimentazione, come soia e cereali. La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) stima che delle emissioni legate al bestiame il 45% proviene dalla produzione e lavorazione dei mangimi, il 39% dalla fermentazione enterica (il gas metano prodotto dall’apparato digerente dei ruminanti) e il 10% attribuito allo stoccaggio e alla gestione del letame. Tutto questo ha un impatto anche sulle risorse idriche: quasi un terzo del consumo di acqua nelle attività umane è impiegato negli allevamenti. L’impronta idrica della carne di manzo (15.400 l/kg) è superiore a quella della carne di maiale (6.000 l/t) o di pollo (4.300 l/kg), mentre per produrre qualunque tipo di verdura servono in media 300 litri di acqua per chilo. Per quanto riguarda l’emissione di gas serra nell’atmosfera, i bovini producono 31 volte l’emissione di CO2 rispetto al tofu. Numeri, allarmanti, alla mano, le prime 20 aziende produttrici di carne al mondo emettono più gas serra di paesi come Francia e Germania messi insieme: stiamo parlando di 932 milioni di tonnellate di CO2 in totale. I dati, le percentuali e i numeri parlano da soli, eppure perché “ci va bene così?”
Novel Food – Il NO in Italia alla carne sintetica
Al primo posto della lista nera degli alimenti da evitare in Italia c’è la carne sintetica: un alimento proteico ricavato in vitro da cellule/tessuto animale. A livello internazionale, la terminologia più utilizzata per indicare la carne sintetica è clean meat (diffusa dal periodo 2016/2019). Il termine è stato coniato dal Good Food Institute (GFI) giustificando la scelta così: “a prescindere dalle citazioni mediatiche e dalla tendenza Google, rispetto a “cultivated” e “in vitro”, l’aggettivo “clean” riflette meglio la metodica produttiva e i benefici del prodotto”. La carne sintetica viene prodotta utilizzando tecniche bio-ingegneristiche studiate per la sintesi di tessuto vivente nell’ambito della medicina riabilitativa. L’attuale sistema di produzione ha ancora un ampio margine di miglioramento ma, rispetto al principio, grazie alla partecipazione di varie società, è avanzato considerevolmente. La produzione su larga scala di carne sintetica può richiedere l’uso di ormoni della crescita per la produzione di carne; questa, tuttavia, non è una regola, ma desta comunque alcune preoccupazioni, anche se in alcune zone del mondo gli stessi ormoni sono usati nell’allevamento tradizionale.
La carne sintetica è inoltre molto meno esposta alla contaminazione da parassiti, infezioni virali e batteriche, micosi e probabilmente allo sviluppo di prioni. In virtù dell’ambiente rigorosamente controllato, la produzione di carne coltivata è stata paragonata all’agricoltura verticale, riducendo l’impiego di sostanze chimiche di vario genere (farmaci veterinari, fitofarmaci per i foraggi ecc.). Tutto bello, ma in Italia, il suo consumo è vietato. Ecco perché: “Il cibo prodotto in laboratorio non garantisce la qualità, il benessere e non tutela la nostra produzione. Presenta rischi per la biodiversità, poiché sarebbe meno conveniente investire sull’allevamento, un rischio di ingiustizia sociale per cui i ricchi mangiano bene e i poveri mangiano cibo di pessima qualità risentendone in termini di salute. È un intervento normativo che tutela la salute, la nostra produzione, il nostro ambiente e un modo di vivere che connette la produzione del cibo nel rapporto tra uomo, lavoro, territorio e allevamento”. Lo ha dichiarato il 30 marzo 2023 il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
Novel Food dal mondo – Chi investe di più in carne sintetica
Gli Usa sono i maggiori investitori in carne sintetica, con oltre 1,3 miliardi di sterline (che significa oltre il 60% degli investimenti globali, più di tutti gli altri paesi messi assieme). Non stupisce allora nemmeno la recente approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) statunitense al consumo di carne prodotta in laboratorio. Nelle restanti posizioni troviamo: Israele, Paesi Bassi, Singapore, Regno Unito. Israele (al secondo posto con oltre 474 milioni di sterline investiti) è difatti uno dei paesi leader in start up e innovazione sul cibo sintetico, basti ricordare che israeliana è l’Azienda Remilk, la stessa che vuole produrre latte senza mucche e che mira ad eliminare dalla dieta alimentare il cibo di origine animale. Altrettanto noti sono i Paesi Bassi, i terzi nella classifica globale ed i primi in Europa per investimenti in carne di laboratorio con quasi 124 milioni di sterline, che puntano a ridurre drasticamente il numero di allevamenti zootecnici e patria anch’essi delle più avanzate start up. Non sorprende in classifica neppure Singapore, con investimenti pari ad oltre 100 milioni di sterline, il primo Paese ad approvare la carne coltivata per la vendita commerciale. Si ricorda inoltre che una delle aziende leader in carne coltivata in laboratorio, Good Meat, solo qualche tempo fa aveva inaugurato a Singapore l’impianto di produzione più grande dell’Asia. “Voglio fare della carne coltivata la carne più consumata al mondo”, affermava allora il Ceo di Good Meat, Josh Tetrick. Più indietro il Regno Unito, con solo 28,5 milioni di sterline di investimenti, che però si dimostra tra i paesi più attivi. Già all’indomani della strategia alimentare del governo britannico, pubblicata il 13 giugno, emergeva come vi fosse non solo un’apertura, ma una vera e propria accelerazione nel campo delle proteine alternative con un investimento di 120 mln di sterline e l’impegno a rivedere le normative. E, seppur non si parlasse mai di carne sintetica, la strategia britannica appariva già un primo passo significativo in quella direzione.
Novel Food – La farina di grilli con quali grilli è fatta?
Dal 24 gennaio 2023, inoltre, anche l’Unione Europea ha adattato il proprio regolamento di produzione alimentare alla disponibilità di questo nuovo ingrediente (grillo in polvere parzialmente sgrassato). Intervistato durante Expo Milano 2015, Paul Vantomme, all’epoca coordinatore e portavoce del progetto Edible insects della Fao spiegava: “Non è che in Africa tutti gli africani mangiano insetti, né tutti i cinesi mangiano insetti. La scelta del cibo investe un ambito culturale; ci sono molte diverse culture anche regionali al cui interno è ammesso il consumo di insetti. In Italia, in Sardegna e in Puglia. Non dobbiamo dimenticare che quando eravamo raccoglitori e cacciatori abbiamo mangiato insetti per un milione di anni, probabilmente, e non ci ha mai fatto male. Per la sensibilità europea, o meglio occidentale, sono comunque inconsueti. Il punto nuovo, per l’Europa, sono gli obiettivi che si possono perseguire. Riduzione dei rifiuti, nuovi ingredienti, nuovo lavoro. Per esempio, abbiamo una quantità di rifiuti organici dappertutto e non sappiamo cosa farne, dal letame agli scarti alimentari. Oggi se ne fa compost, che vale due cent al kg. Se potessimo usare questi rifiuti organici per l’allevamento di insetti, avremmo proteine di alta qualità nutrizionale – con un rendimento dal 20 al 30 per cento – che si vendono a un euro al chilo. Un guadagno di 50 volte”. Ad oggi sono in crescita le industrie alimentari che stanno avviando una produzione di alimenti a base di insetti. Tra le varie specie, una in particolare sembra prestarsi notevolmente all’allevamento: il grillo di terra (Genere Acheta). Questo insetto sembra avere proprietà nutrizionali a dir poco eccellenti, senza considerare poi che il rapporto tra costi di allevamento, tempistiche e resa non ha eguali. Per questi motivi si prevede una rapidissima espansione del suo impiego nell’alimentazione umana già a partire dalla seconda metà del XXI secolo.
L’azienda che per prima ha elaborato un prodotto destinato all’alimentazione umana a base di grillo è la Tiny Farms, con sede in California. Questa società, dopo un notevole investimento economico, ha immesso sul mercato una vera e propria farina animale a base di insetti: la farina di grillo. Dalla consistenza tipicamente “polverosa”, la farina di grilli ha un colore solitamente bruno scuro. Nei paesi occidentali gli insetti sono allevati con gli stessi standard di sicurezza di qualsiasi altro alimento. L’elaborazione inizia generalmente con la rimozione delle viscere dell’insetto, sebbene questo passaggio sia facoltativo. Vengono quindi sottoposti a liofilizzazione – operazione che viene eseguita utilizzando tela di iuta o polipropilene – e infine impacchettati. Gli insetti possono essere mantenuti interi refrigerati o trasformati in polvere. La farina di grillo è fatta con grilli liofilizzati e cotti al forno, per facilitarne la macinatura. La farina di grillo risulta commestibile per l’uomo, igienicamente sicura, ecosostenibile, anche se “meno” rispetto agli inizi (2015 circa), ancora piuttosto costosa. Non sembra avere molte caratteristiche in comune con la maggior parte delle farine di origine animale oggi usate in allevamento e agricoltura (farina di pesce, farina di corna ossa zoccoli e sangue ecc.). Gli “inventori” della farina di grillo “puntano tutto” su una caratteristica decisamente invidiabile e auspicabile, ovvero l’ecosostenibilità. Tutto bello anche qui, ma sembra che dinanzi al novel food l’Italia sia davvero titubante. L’identità e la cultura di un Paese e del suo popolo passano anche attraverso il cibo e un cambio così radicale di prospettiva necessità di tempo per essere capito, maturato e forse considerato come una valida alternativa. In gioco però ora c’è l’ambiente e dobbiamo cambiare le nostre priorità. La farina di grilli e la carne sintetica potranno anche essere una moda del 2023, ciò che conta è diversificare il più possibile la nostra dieta alimentare, scegliendo proteine di origini diverse così da salvare, oltre che la nostra salute, il pianeta.