«Tutti ti amano quando sei due metri sotto terra» disse Oscar Wilde. Ma siamo in Italia, dunque: se sei stato potente, tutti devono dire di averti amato ancor prima del funerale. Il fatto che la beatificazione postuma di Berlusconi fosse ampiamente prevedibile non ne riduce l’inciviltà. La santificazione a reti unificate di Berlusconi è l’ennesima pagina nera della nostra democrazia a sovranità (intellettuale) limitata. Pagina nera sì, perché, salvo eccezioni, non ha nulla a che fare con l’umano dolore, semmai ha a che fare con il potere. Dunque, nella maggior parte dei casi si tratta di una santificazione ipocrita. Ho aspettato alcuni giorni prima di aprire bocca. La morte è un mistero che va rispettato così come merita rispetto il dolore dei parenti di chi muore. E questo vale per tutti. Come scrisse Antonio de Curtis “‘A morte ‘o ssaje ched’è? E’ ‘na livella. ‘nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo, trasenno ‘stu canciello ha fatt’o punto c’ha perzo tutto, ‘a vita e pur’o nomme. Tu nun t’he’ fatto ancora chistu cunto? Perciò, stamme a ssentì, nun fa’ ‘o restivo, suppuorteme vicino, che te ‘mporta? ‘Sti ppagliacciate ‘e ffanno sul’e vive: nuje simme serje… appartenimmo a morte!”. “Noi siamo seri…apparteniamo alla morte!” dice il povero netturbino al signor Marchese nella poesia di Totò. Il punto è che lo spettacolo indecoroso al quale abbiamo assistito in questi giorni di riabilitazione mediatica (molto più che politica) è tutto tranne che serio. Ma in Italia le tragedie, e la morte lo è, si trasformano spesso in farsa. I sette giorni di lutto parlamentare decretati dai presidenti di Camera e Senato sono un insulto a tutti coloro che li pagano per lavorare. Non bastava, evidentemente, la settimana corta degli onorevoli. Così come è un insulto la celebrazione di Berlusconi apparsa sul sito istituzionale del Ministero di grazia e giustizia. Ricordo quando una pletora di cortigiani, capitanati da Angelino Alfano, occupò la quarta sezione penale del Tribunale di Milano per protestare contro uno dei tanti processi del loro padrone. Per non parlare della patetica corsa all’inquadratura di un nugolo di morti di fama tutti interessati ad apparire nel momento giusto. Non vi è ormai alcuna differenza tra la Rai e Mediaset. Eccolo il lascito berlusconiano, altro che atlantismo ed europeismo.
Il berlusconismo e la sua glorificazione interessata – Il festival dell’ipocrisia
Non mi permetto di mettere il becco sulle lacrime vere che in molti hanno versato e comprendo perfettamente la gratitudine di chi ha vissuto una vita agiata grazie a Berlusconi. Nell’oceano di ipocrisia (a questo ci arriverò presto) Vittorio Feltri è stato il meno ipocrita di tutti. “Grazie a lui sono diventato ricco, questo basta per avere ammirazione e gratitudine”. La gratitudine è un sentimento nobile perché sincero. Quel che è davvero scandalosa è l’adulazione, la santificazione, la glorificazione da parte di coloro che, teoricamente, sarebbero dovuti essere antagonisti politici di Berlusconi ma che non lo erano affatto. C’è chi ha contrastato Berlusconi non per le innumerevoli ragioni politiche e morali per la quali sarebbe stato opportuno farlo. No, l’ha fatto per invidia! “Non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me” disse Gian Piero Alloisio. Come a dire che vi è un pizzico di Berlusconi in ognuno di noi. Ma qui siamo ad un altro livello. Evidentemente la maggior parte dei suoi sedicenti avversari politici che si sono affrettati a tesserne le lodi più che temere il Berlusconi in loro stessi, sognavano di diventare come lui. I Berlusconi che non ce l’hanno fatta sono molti di più di quelli che immaginavamo. Sono coloro che non hanno detto nulla sulla vergogna del lutto nazionale, lutto che non venne concesso neppure quando i servitori dello Stato venivano fatti a pezzi dal tritolo della mafia e dalla connivenza con Cosa nostra da parte di quello Stato che volevano servire.
Sono coloro che per decenni, a chiacchiere sostenevano che Berlusconi fosse il male ma che nella realtà hanno condiviso con lui tutte le leggi ad personam e le ignobili guerre in Afghanistan e Libia. Sono coloro che si sono vantati di non aver toccato il conflitto di interessi o che raggiungevano l’orgasmo quando potevano finalmente affermare di “avere una banca”. L’Italia berlusconiana, in gran parte, è quella che per anni si è spacciata per anti-berlusconiana, quella che ha portato avanti un anti-berlusconismo di facciata la cui falsità, oggi, non è più possibile mascherare. Non mi interessa parlare di Berlusconi oggi. È morto. La morte non cancella tutto ci mancherebbe altro. Non cancella la memoria e la memoria va coltivata. Tuttavia, oggi, davanti allo spettacolo mediocre che è stato offerto da una parte del Paese che giustifica Berlusconi per poter giustificare meglio se stesso, è opportuno parlare di quei vivi che lo idolatrano e che lo glorificano di più di quel che lui stesso si sarebbe immaginato. E non mi riferisco a chi gli ha voluto bene in modo disinteressato o chi (e sono molti) gli ha voluto bene in modo spiccatamente interessato. Il bene è bene. Mi riferisco a coloro che oggi lo dipingono come uno statista ma che ieri brindavano quando Monti prese il suo posto. Coloro che, presi da un’incontinenza verbale davvero stomachevole, lo esaltano per poter farsi accettare da quel che resta della comunità di Forza Italia o per tentare di raccattare qualche voto o qualche parlamentare.
Il berlusconismo e la sua glorificazione interessata – Un Paese sull’orlo del fallimento etico
Renzi è il principale protagonista di tale immorale strategia. Montanelli parlando di Berlusconi disse che credeva alle bugie che raccontava e forse per questo per molti sono risultate così credibili nel tempo. L’esatto opposto di Renzi che odora di falsità lontano un miglio. L’esatto opposto di coloro i quali, quando negli ultimi tempi la lucidità senile consentiva a Berlusconi di parlare liberamente (e spesso in modo più che condivisibile) della genesi della guerra in Ucraina e di quel personaggio mediocre come Zelensky, lo trattavano o da vecchio rincoglionito o sostenevano che le sue tesi sul conflitto e sugli innumerevoli responsabili fossero strumentalizzate. Per decenni gli avevano inumidito le natiche ma adesso era vecchio, malato e osava criticare gli Stati Uniti, meglio prendere le distanze perché lui sarebbe passato, la NATO no. D’altronde, come scrisse Longanesi “la nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta. Ho famiglia”. Posso dire di averlo contrastato eccome il berlusconismo. Tuttavia, mi rendo conto che peggio di Berlusconi vi sono tutti quei servi che oggi si dedicano all’elogio del berlusconismo non come operazione sul passato ma come investimento sul futuro. Pensano, e temo a ragione, che la beatificazione di Berlusconi potrà garantirgli una maggior licenza di nefandezza. Con la santificazione di oggi si stanno comprando l’indulgenza di domani. Il tutto a discapito di un Paese che non può sopravvivere all’illegalità, ai conflitti di interesse che evidentemente (e lo dico da anni) non riguardavano soltanto Berlusconi, o alla propaganda bellicista che rischia di spingerci in un conflitto senza fine. Il nostro è un Paese complicato. Un Paese sull’orlo del fallimento etico. Un Paese così pieno di letame da far nascere tuttavia diamanti preziosissimi. D’altro canto, Falcone e Borsellino non potevano che essere italiani. A proposito di Borsellino, mi sono venute in mente queste sue parole: «Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno». La mafia gli ammazzava gli amici, ma non ci sarebbe riuscita senza l’omertà. Il nostro resta un Paese profondamente omertoso. E l’omertà non si esprime soltanto attraverso il silenzio. A volte coincide con l’ipocrisia delle parole.
(foto copertina LaPresse)