Cecilia Sala va liberata immediatamente così come andrebbe liberato l’occidente da una classe dirigente di servi forte con i deboli e serva con gli imperialisti
Il 2025 è iniziato esattamente come si è chiuso il 2024: all’insegna del doppio standard. Un tempo, molti paesi occidentali, potevano vantare l’esistenza di uno Stato sociale all’avanguardia, la presenza di una classe media solida e in espansione, la tutela di diritti e la libertà di informazione. Oggi, quel che caratterizza maggiormente il blocco occidentale è il cosiddetto doppio standard, ovvero la trasposizione in politica e informazione della più becera ipocrisia.
Prendiamo Kaja Kallas, la guerrafondaia estone che oggi, per nostra disgrazia, è a capo della diplomazia europea. La Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché Vicepresidente esecutiva della Commissione europea, è colei che si lasciò fotografare un paio di anni fa (all’epoca era premier estone) mentre sparava con un lanciarazzi Javelin, una delle armi che a detta della Nato e dei cani da riporto presenti nelle redazioni dei giornali avrebbe dovuto garantire una svolta della guerra a favore di Kiev.
Ebbene la Kallas, commentando l’arresto di Cecilia Sala ha detto: “L’Iran liberi Cecilia Sala, il giornalismo non è reato”. Ha straragione, sia chiaro. Cecilia Sala andrebbe immediatamente liberata. Il suo è uno spregevole arresto arbitrario. Così come è vergognoso l’arresto di Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano fermato alcuni giorni prima dell’arresto della Sala a Malpensa. È vergognoso perché si tratta di una bieca obbedienza agli ordini USA.
D’altro canto, è sempre più evidente il fatto che l’arresto della Sala sia legato alla sorte di Mohammad Abedini Najafabadi. Come dire: “Voi avete arrestato un nostro cittadino che non rappresenta alcun pericolo per l’Italia solo perché ve l’hanno chiesto gli Stati Uniti dunque noi arrestiamo una vostra giornalista così possiamo intavolare una trattativa”. Un ricatto, un osceno ricatto verissimo. Ma così, ahimè, funziona a volte la diplomazia.
Il punto centrale però è la sudditanza italiana (ed europea) verso Washington. Noi non siamo in guerra con l’Iran. Nel gennaio del 2016 l’allora Presidente iraniano Hassan Rohani venne accolto con tutti gli onori dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
In quell’occasione, tra l’altro, vennero coperte addirittura alcune statue dei Musei Capitolini per evitare che le nudità infastidissero il Presidente persiano. Una scelta ridicola che denota tuttavia il nostro esterno servilismo.
Allora l’Iran (la cui Guida Suprema, ovvero l’Ayatollah Ali Khamenei, era la stessa di oggi) faceva affari con l’Italia. L’Italia stava tornando ad essere (come ai tempi dello Scià) il primo partner commerciale europeo della Persia. Lo stesso Renzi si recò in visita in Iran e in quell’occasione riuscì ad ottenere un incontro proprio con Khamenei. Obama, infatti, aveva deciso di migliorare le relazioni con Teheran dunque, i servi europei, si sentivano in diritto di relazionarsi maggiormente con l’Iran, paese, lo ricordo, quarto al mondo per riserve petrolifere e, storicamente, interessatissimo all’acquisto di beni e tecnologie europee, soprattutto italiane.
Poi venne eletto Trump e per fare un favore ad Israele, nemico dell’Iran, uscì unilateralmente dall’accordo sul nucleare con Teheran e poi decise di dichiarare di fatto guerra all’Iran ordinando l’assassinio di Qasem Soleimani, generale dei Pasdaran nonché capo della Forza Quds, le truppe d’élite dei guardiani della rivoluzione iraniana. Soleimani, tra l’altro, fu uno degli artefici della sconfitta dello Stato islamico. Quando venne assassinato a Baghdad da un drone USA, i primi ad esultare infatti furono proprio i miliziani dell’Isis (oltre che i servizi segreti israeliani). Per questa ragione Soleimani veniva rispettato anche da molti nemici del regime iraniano. Ai suoi funerali infatti parteciparono 7 milioni di persone.
Da quel giorno l’Iran è in guerra (indiretta, per adesso) con gli Stati Uniti. Con gli Stati Uniti, non con noi. A noi l’Iran non ci ha fatto nulla, non si capisce perché dovremmo mettere in pericolo i nostri interessi (ed i nostri cittadini) per fare un favore agli USA. Anzi, si capisce perfettamente, è che il governo italiano è un governo di camerieri politici.
Torniamo al tema centrale, il doppio standard. Il giornalismo non è un reato, verissimo. Il punto è che questa frase viene pronunciata dai politici europei solo quando vengono arrestati giornalisti da paesi ostili agli Stati Uniti. Quanti politici hanno osato dire “il giornalismo non è reato” riferendosi a Julian Assange che, per ordine statunitense, ha vissuto anni tremendi (anni!) in una cella 3×4 nel carcere di Belmarsh, a 11 miglia dal centro di Londra?
Tutti zitti perché Assange non parlava del velo iraniano o delle (sacrosante) rivendicazioni di moltissime donne persiane. No, Assange ci aveva permesso di scoprire i crimini contro l’umanità commessi dalla Nato, dai soldati USA o le balle grazie alle quali hanno giustificato ignobili invasioni (come quelle in Afghanistan e Iraq) mascherandole da battaglie contro il terrorismo o addirittura da esportazioni di democrazia.
Il giornalismo non dovrebbe esser reato neppure in Medio Oriente, eppure a Gaza, in Cisgiordania, in Siria e in Libano centinaia di giornalisti sono stati assassinati dallo Stato sionista e terrorista di Israele. Soltanto a Gaza ne hanno fatti a pezzi 200. Duecento giornalisti uccisi perché mostravano le prove del genocidio sionista a danno della popolazione palestinese. Avete sentito un politico italiano o europeo indignarsi davvero (e con costanza) per questa mattanza? Figuriamoci! Ecco servito il doppio standard.
Qualcuno potrebbe obiettare che il caso Sala sta ottenendo maggiore spazio mediatico in quanto la giornalista è italiana.
Non è così. Quanti di voi ricordano Andy Rocchelli e Simone Camilli? Andy e Simone erano entrambi giornalisti italiani. Entrambi uccisi mentre facevano il loro lavoro.
Rocchelli venne assassinato il 24 maggio 2014 ad Andreevka, in Donbass. Rocchelli stava documentando il conflitto quando venne colpito da un colpo di mortaio sparato dai soldati ucraini. È altamente probabile che Rocchelli sia stati ucciso deliberatamente dai soldati di Kiev. Anche per questo la sua storia è finita nell’oblio. Se lo avessero ucciso i russi, o le milizie separatiste, il suo nome sarebbe infinitamente più conosciuto in Italia.
Poche settimane dopo l’assassinio di Rocchelli, a Gaza, precisamente a Beit Lahia, una città palestinese della Striscia che oggi non esiste più per via dei bombardamenti sionisti, Simone Camilli, giornalista e fotoreporter romano, trovava la morte a causa di un ordigno israeliano inesploso. Le bombe inesplose hanno fatto decine di morti a Gaza (e ne faranno ancora). Camilli stava documentando l’ennesima operazione criminale israeliana a Gaza, l’ennesima guerra, l’ennesima invasione. La guerra a Gaza del 2014, durante la quale morì Camilli, venne chiamata dalle autorità israeliane “Operazione Margine di protezione”. Si è visto il 7 ottobre come e quanto ha funzionato il margine di protezione. La verità è che le reazioni palestinesi (anche quelle che ho sempre condannato) non finiranno mai fino a quando i terroristi israeliani, i peggiori al mondo, continueranno a massacrare la popolazione palestinese per occupare le loro terre. Ad ogni modo, tornando a Camilli, anche il suo nome, il nome di un coraggiosissimo giovane giornalista italiano, è finito nel dimenticatoio. Perché? Perché ha osato documentare i crimini israeliani. Meglio oscurare la sua storia, meglio passare oltre, altrimenti in tanti potrebbero accorgersi che l’Italia è alleata di un paese che da decenni pratica pulizia etnica e da oltre un anno genocidio. Ecco il doppio standard.
Ma il doppio standard colpisce anche le donne. In occidente, giustamente, si parla dei diritti delle donne. Si parla anche ovviamente delle donne iraniane. Tutto giusto sia chiaro. Il problema è che quando sono le donne palestinesi a subire violenze indicibili cala il silenzio. Perché? Perché i responsabili sono gli israeliani. Il responsabile è lo Stato terrorista di Israele, il paese comunemente considerato dal mainstream italiano l’unica democrazia del Medio Oriente. Ovviamente è una balla (le vere democrazie non praticano apartheid, pulizia etnica e genocidio) ma non si deve sapere.
Le testimonianze raccolte dalla Ong Euro-Med Human Rights Monitor sugli orrori commessi dai soldati israeliani durante l’assedio dell’ospedale Kamal Adwan sono terrificanti: esecuzioni, incendi alle strutture sanitarie e poi violenze sessuali e fisiche su donne, ragazze, comprese le infermiere. Le donne palestinesi vengono stuprate dai terroristi sionisti ma non si deve sapere. Le donne palestinesi per gran parte del sistema mediatico italiano, eticamente corrotto, non sono neppure donne, non sono neppure esseri umani, non esistono come del resto non esiste la libertà di stampa.
Cecilia Sala va liberata immediatamente così come andrebbe liberato l’occidente da una classe dirigente di servi forte con i deboli e serva con gli imperialisti. Che il 2025 sia un anno di liberazione per noi e per i palestinesi. Anche perché la libertà per la Palestina coincide con la libertà di tutti noi.