Stati Uniti, Paesi europei, Australia, Canada, Giappone e Corea del sud sono concordi: la guerra in Ucraina deve finire il prima possibile. Meno convinta la Cina, che però non è riuscita ad ostacolare più di tanto le altre Nazioni sulla condanna alla Russia. È questo il risultato principale del G20 di Bali, terminato con l’annuncio del Presidente indonesiano, Joko Widodo, che ha parlato di particolari difficoltà nel raggiungimento del comunicato finale.
La guerra al centro del dibattito
Il summit indonesiano, durato due giorni, è stato inevitabilmente stravolto dalle notizie arrivate dalla Polonia riguardo i missili caduti su un territorio Nato, la Polonia. Un fatto eclatante che ha acceso ulteriormente i riflettori sul conflitto, uno dei temi di discussione principale vertice a cui hanno partecipato i principali leader del mondo. L’Arabia Saudita, la Turchia e il Sudafrica non si sono schierati ma le più grandi Nazioni del mondo, unite, hanno preso le distanze dalla Russia concordando sull’inammissibilità dei danni arrecati dal conflitto: immense sofferenze umane che esacerbano le fragilità esistenti nell’economia globale, limitando la crescita, aumentando l’inflazione, interrompendo le catene di approvvigionamento, aumentando l’insicurezza energetica e alimentando i rischi per la stabilità finanziaria. “Quest’anno – dice il testo del comunicato – abbiamo assistito all’ulteriore impatto negativo della guerra in Ucraina sull’economia globale. La questione è stata discussa. Abbiamo ribadito le nostre posizioni nazionali espresse in altre sedi, tra cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite […]”. Già nei mesi precedenti, infatti, era stata fermamente condannata l’aggressione russa contro l’Ucraina attraverso una risoluzione delle Nazioni Unite approvata da 141 paesi, in cui veniva richiesto al Cremlino “il ritiro completo e incondizionato delle truppe”. La conferma a Bali di tale posizione non è piaciuta al ministro degli esteri russo Sergej Lavrov che in Indonesia ha sostituito il Presidente Vladimir Putin. Per Lavrov i Paesi occidentali “hanno cercato in ogni modo di politicizzare il comunicato finale del G20, cercando di imporre una condanna alle azioni della Russia”.
Altro accordo unanime dei 20 capi di stato è stato quello sull’importanza del rispetto del diritto internazionale, “compresa la protezione dei civili e delle infrastrutture nei conflitti armati”. In particolare, si legge della bozza del comunicato, “l’uso o la minaccia di armi nucleari è inammissibile”. Non è mancato, nel corso del vertice, l’intervento del presidente ucraino Volodymir Zelensky, che si è nuovamente rivolto ai suoi omonimi internazionali con un discorso in video collegamento in cui ha affermato, alludendo alla Russia, che tra i presenti ci fosse “un terrorista” e ha presentato, tra l’altro, un piano “per la pace” articolato in dieci punti. Tra i fattori fondamentali per raggiungere la fine del conflitto e quindi la pace, oltre al ritiro dei russi, la compensazione dei danni di guerra, garanzie di sicurezza sul nucleare, sulla crisi alimentare ed energetica, il rilascio dei prigionieri e dei deportati, ma anche il ripristino dell’integrità territoriale e la prevenzione di una possibile futura escalation con una registrazione formale della fine della guerra. Elementi questi, condivisi già da tempo dal Presidente statunitense Biden, la cui amministrazione sta investendo, sin dall’inizio del conflitto, decine di milioni di dollari per il sostegno dell’Ucraina, soprattutto attraverso l’invio di aiuti militari. La dichiarazione finale del vertice, alla quale si è giunti con non poche difficoltà, è stata considerata infatti come una vittoria degli Stati Uniti, che la volevano con forza. Poco prima del suo volo di ritorno per Washington il capo della Casa Bianca ha peraltro partecipato a un vertice di emergenza del G7 con gli alleati della Nato, organizzato a margine dei lavori del vertice indonesiano, per confrontarsi sulla caduta del missile in territorio polacco.
Le altre questioni: dall’inflazione alla crisi alimentare
Non solo guerra e strategie diplomatiche, i capi di Stato hanno discusso anche delle tante conseguenze innescate dal conflitto, tra cui la crisi alimentare. “Siamo profondamente preoccupati per le sfide alla sicurezza alimentare globale esacerbate dagli attuali conflitti e tensioni” si legge nella bozza del comunicato. I leader del G20 si sono impegnati a intraprendere “azioni urgenti per salvare vite umane, prevenire la fame e la malnutrizione, in particolare per affrontare le vulnerabilità dei Paesi in via di sviluppo”, per tali scopi chiedono un’accelerazione della trasformazione verso un’agricoltura sostenibile e resiliente. Proprio per proteggere i paesi meno ricchi, ovvero quelli più colpiti dalla crisi alimentare, la Turchia e le Nazioni Unite hanno già siglato due accordi per allentare la tensione e prevenire l’insicurezza alimentare, soprattutto in Africa. Altro tema toccato nel testo la questione energetica: “Ci incrociamo in un momento di crisi climatica ed energetica, aggravata da sfide geopolitiche. stiamo sperimentando la volatilità dei prezzi e dei mercati dell’energia e la carenza/interruzione dell’approvvigionamento energetico. Sottolineiamo l’urgenza di trasformare e diversificare rapidamente i sistemi energetici, di promuovere la sicurezza e la resilienza energetica e la stabilità dei mercati accelerando e garantendo transizioni energetiche pulite, sostenibili, giuste, accessibili e inclusive e flussi di investimento sostenibili”, è scritto nella bozza del comunicato.
Sulla politica economica i paesi riunitisi al g20 affermano di rimanere “agili e flessibili”, per fronteggiare al meglio il rallentamento dell’economia, l’alta inflazione e i conseguenti rischi di instabilità finanziaria. Ma non solo, i Paesi si impegnano anche a rafforzare il commercio multilaterale e la resilienza delle catene di approvvigionamento globali per sostenere una crescita a lungo termite, con le banche centrali impegnate a raggiungere la stabilità dei prezzi. Lo scopo dunque, è quello di evitare in ogni modo che la crisi economica globale peggiori ulteriormente andando a gravare ancora di più sui paesi poveri e in via di sviluppo. Per quanto riguarda le banche, in particolare, si è stabilito che quelle centrali devono continuare le politiche restrittive sui tassi già in corso. Sulla linea della Cop27 di Sharm el-Sheikh appena conclusa, il dibattito a Bali ha toccato inoltre l’emergenza climatica ed è arrivata la conferma dell’impegno a limitare a 1,5 gradi l’aumento della temperatura terrestre, oltre a una serie di iniziative per ridurre il consumo di carbone. A tal proposito è stato fondamentale il faccia a faccia tra il presidente Usa Joe Biden e quello cinese Xi Jin Ping, un segnale di ripresa della macchina della cooperazione sul clima tra i due più grandi inquinatori mondiali.“ La risposta al climate change è inseparabile dal coordinamento e cooperazione tra Cina e USA” – afferma la Cina in una nota – “I due paesi hanno concordato di lavorare insieme per promuovere il successo della ventisettesima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”.
La presenza dell’Italia
Tra i tanti faccia a faccia ci sono stati quelli tra il nuovo presidente del consiglio Giorgia Meloni e leader come il Primo Ministro del Canada Justin Trudeau, il Primo Ministro dell’Australia Anthony Albanese, il Primo Ministro dell’India Narendra Modi e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, quello della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan e infine il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Con quest’ultimo il dialogo è stato più economico che politico. Meloni ha accettato l’invito di Xi a visitare la Cina e ha espresso l’interesse del governo italiano a promuovere gli interessi economici reciproci, anche nell’ottica di un aumento dell’ export Made in Italy in Cina. Inoltre, i due hanno concordato sulla necessità di “mettere in campo iniziative per porre fine alla guerra” e hanno parlato di diritti umani.
Tra i successi sottolineati dal capo dell’esecutivo la proroga dell’accordo per l’esportazione del grano ucraino, su cui hanno lavorato in particolare il Segretario dell’Onu Antonio Guterres e il presidente turco Erdogan. Seppure sia comunemente riconosciuta l’importanza di queste 48 ore di incontri e tavoli su temi così urgenti, gli analisti, e non solo, sono consapevoli di quanto sia utopistico pensare che il G20 porti presto a risultati concreti che risolvano le sfide globali. Il risultato al momento più rincuorante è che la maggior parte dei Paesi membri del G20 abbia condannato fermamente la guerra in Ucraina e che il presidente russo Vladimir Putin non abbia più alleati forti. La partita è evidentemente impari, eppure il giocatore più debole non accenna a cedere.