Giordania, il silenzio sulla violenza di genere

In Giordania non esiste nessuna reale emergenza umanitaria, né tantomeno una crisi della stessa natura. Eppure, in questo Paese di circa 11 milioni di abitanti, da anni operano diverse organizzazioni umanitarie. Ci troviamo in Medio Oriente, nella regione del Levante e a ridosso del fiume Giordano, al nord si trova il confine con la Siria, a est con l’Iraq, a sud-est e a sud con l’Arabia Saudita e, infine, a ovest si estende Israele e la Cisgiordania. Da quel lembo di terra che divide la Giordania dalla Siria, negli ultimi dodici anni, sono passati migliaia di siriani in fuga da una guerra mai del tutto terminata, iniziata nel 2011 e che, oggi, fa contare 660 mila rifugiati siriani registrati ma la stima tra quelli sommersi e quelli appartenenti ad altre comunità, raggiunge la somma di 1milione e 200mila persone. Il maggior numero di siriani vivono nel nord del Paese, molti si trovano nei campi governativi come quelli di Za’atari, nel nord, e di Azraq, a sud. La maggior parte di loro, in verità, vive fuori, spesso in accampamenti informali o insediamenti urbani. È questo il contesto che ha motivato nel tempo l’intervento umanitario a sostegno di famiglie che avevano perso tutto e che faticavano, e faticano tuttora, a reperire beni di prima necessità, a usufruire di servizi essenziali come cure mediche, istruzione, assistenza legale. C’è però un’altra questione, mediaticamente meno nota all’opinione pubblica, che è divenuta centrale nel proseguire il lavoro di diverse ONG in loco. Si tratta della violenza di genere, spesso semplificata soltanto come violenza contro le donne, una questione che coinvolge sia la comunità siriana che quella locale giordana. Uno dei fili conduttori, che lega entrambe le popolazioni, è la complessa situazione economica e sociale, la difficoltà a uscire da uno stato di povertà e chiusura culturale, dove il silenzio domina su ogni altra forma di rivendicazione di diritti.

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere
Foto di Martina Martelloni

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere – La storia di Ela, la donna sopravvissuta a violenza domestica

Nella sua casa scura di Irbid, città del nord situata a soli 30 minuti dal confine siriano, Ela fa strada lungo lo stretto corridoio che dall’esterno conduce a una grande stanza in ombra. Si siede col volto rivolto verso l’unica finestra presente e inizia il suo racconto di donna sopravvissuta a violenza domestica. “Mi chiamo Ela, ho nove figli. Mio marito tornerà tra poco, dobbiamo sbrigarci, non voglio che vi trovi qui. Quello che è accaduto per anni in questa casa, gli abusi e le violenze… ho resistito a lungo prima di chiedere aiuto”. Ela racconta tutto ciò che reputa utile a far comprendere il suo dolore e la fatica nella resistenza e sopportazione, la sua sicurezza è oggi nelle mani della ong INTERSOS, che ha preso in carico il suo caso dopo il rifiuto categorico del marito di acconsentire al divorzio. “Per cercare di salvaguardare Ela e i suoi figli abbiamo deciso di convincere il marito a iniziare un percorso di psicoterapia, il nostro intento è quello di arrivare a far uscire lei da questa casa, rendendo consapevole anche lui della gravità della situazione”, racconta Loubna Al-Kanda responsabile dei progetti di protezione di INTERSOS in Giordania. “Qui, i muri culturali e sociali sono difficili da sradicare e, spesso, il diniego al divorzio della famiglia di origine della donna insieme a quello del marito possono diventare insormontabili e rendere impossibile la vita di lei”. La ong italiana INTERSOS ha registrato, nell’anno corrente, circa 1500 casi di violenza di genere, e circa 20mila sono le persone raggiunte attraverso programmi di sensibilizzazione sia all’interno della comunità rifugiata siriana che in quella giordana. Si tratta di casi di violenza fisica e psicologica, la maggior parte delle volte avvengono dentro le mura domestiche. “Tutto questo va inquadrato all’interno del contesto economico. La povertà è un indicatore costante in molti di questi casi che, con la pandemia da COVID-19, è aumentata sia per i rifugiati siriani che per la popolazione locale. A questi si aggiungono, poi, una serie innumerevoli di casi non segnalati, che ci sono ma restano sommersi. Le norme e gli stereotipi di genere sono radicati nella cultura giordana e ostacolano le scelte di vita e i diritti di donne e ragazze”, racconta Loubna.

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere – Il fenomeno tra nord e sud del Paese

I dati raccolti dagli operatori e dalle operatrici umanitarie di INTERSOS, che continua a tenere in vita progetti legati alla violenza di genere in sei governatorati giordani – grazie anche al contributo del Directorate-General for European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations Office, dipartimento interno della Commissione Europea – mostrano tutta la gravità e ampiezza della problematica: il 72% delle famiglie incontrate ha riferito che le donne e le ragazze sono esposte a diverse minacce di protezione. Le preoccupazioni più segnalate sono: violenza fisica e verbale come quella domestica da parte del partner o di un altro membro della famiglia, la negazione di risorse economiche e di servizi e privazione della libertà personale. Nell’ultimo rapporto sull’uguaglianza di genere redatto dall’UNDP – Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – in Giordania, soprattutto nei governatorati di Zarqa, Mafraq, Karak, Ma’an e Tafilah, le donne coinvolte nella ricerca hanno testimoniato che gli episodi di sfruttamento e abuso sessuale si verificano continuamente, ma sono poco denunciati per paura di subire ritorsioni o discriminazioni da parte della comunità di appartenenza. Soprattutto nelle aree del sud del Paese, come quelle di Mafraq, Karak, Ma’an, il ricorso a un sistema tradizionale/tribale per risolvere i problemi o gli incidenti domestici risulta essere ancora fortemente radicato, viene considerato il modo più efficace e rapido per la risoluzione di dispute familiari, oltre ai motivi economici che portano a escludere a priori l’intervento delle istituzioni e del sistema giudiziario. Le donne continuano a non denunciare gli episodi di violenza perché lo stigma sociale è una piaga che porterebbero con loro a vita, così come il timore della reiterazione dell’abuso; gli uomini non sono mai stati incarcerati dopo la prima denuncia.

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere – Il deterioramento economico e le conseguenze sociali

La pandemia, iniziata nel 2020, ha lasciato strascichi evidenti sull’economia giordana. L’inflazione globale nel Paese ha raggiunto il 5% nel novembre 2022, inoltre il tasso di disoccupazione nel Paese rimane alto, pari al 22,6%. Le conseguenze economiche e sociali che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni sono alla base del deterioramento della condizione femminile nelle comunità, siriana e giordana. Secondo le stime, il 43% delle famiglie ha riferito di aver subito una qualche forma di violenza nel 2022, rispetto al 22% del 2021. “Una grande fetta di popolazione dipende ancora oggi dagli aiuti umanitari”, racconta Paolo Sponziello, capo missione INTERSOS in Giordania. “Quella siriana è una crisi protratta e circa 1/3 di loro, dopo aver anche subito uno shock economico post-pandemia, rischia di vedere aumentare il loro stato di bisogno. Sempre più famiglie decidono di diminuire i pasti giornalieri, di non comprare medicinali o altri beni e servizi essenziali proprio perché impossibilitate economicamente ad acquisirli”. L’accesso limitato alle opportunità di sostentamento crea un meccanismo a catena che porta ad acquisire comportamenti dannosi per la salute fisica e psicologica, come ridurre il consumo di cibo (73% giordani, 91% rifugiati), la riduzione delle spese per servizi essenziali come la salute, l’istruzione o l’igiene personale (62% giordani, 51% rifugiati). Entrambe le comunità, sia dei rifugiati che quella giordana, sono entrate in un limbo di debiti e interessi accumulati, questo ha esasperato le disuguaglianze e aumentato le tensioni all’interno delle mura domestiche. Un meccanismo a catena, questo, che incrementa i rischi per la sicurezza della salute, fisica e psicologica, delle persone. La violenza sulle donne è una delle conseguenze più facilmente riscontrabili.

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere
Foto di Martina Martelloni

Giordania, il silenzio sulla violenza di genere – Il divario di genere e i diritti negati alle donne

Secondo l’ultimo report del The Global Gender Gap score del 2023 – che misura il divario di genere nei Paesi e che valuta ogni anno lo stato attuale e l’evoluzione della parità di genere su quattro dimensioni chiave come: la partecipazione economica, l’istruzione, la salute e la partecipazione politica – la Giordania risulta posizionata al 126esimo posto su 146 Paesi analizzati. “Manca ancora una conoscenza legata alla salute riproduttiva, ai diritti della donna, che poi sono diritti umani”, dice Loubna, lei che viene dallo Yemen e conosce nel profondo le difficoltà del far valere i propri diritti da parte delle donne in Medio Oriente. “È molto complicato rompere alcuni muri sociali e culturali, così come cercare di coinvolgere le persone, sia donne che uomini, a partecipare a sessioni di incontro dove il focus deve essere la questione di genere, i diritti e il rispetto degli stessi sia dentro che fuori i contesti familiari”. Il lavoro che deve essere fatto ora è quello di far emergere tutti quei casi rimasti silenti e taciuti. Spesso, tra questi, ci sono casi che coinvolgono anche minori, ancora più difficilmente riscontrabili nelle comunità di appartenenza. Non sono solo le organizzazioni umanitarie a denunciare e prendere in carico questi casi, anche il governo giordano ne è consapevole e per questo, negli ultimi anni, sta collaborando con diverse reti sociali che si occupano di violenza di genere, cercando così di contrastare il fenomeno. “Il nostro lavoro è finalizzato proprio a questo, individuare i casi, avvicinarli, avviare percorsi di ascolto e assistenza di tipo psicologica e/o legale quando necessario”, continua Loubna. Mentre Ela si siede sulla sua macchina da cucire, racconta che è proprio quello lo strumento di ciò che lei stessa considera una “piccola sfera di indipendenza”. Ha imparato a cucire, prende piccoli lavori dal vicinato e, con i soldi guadagnati, riesce a decidere lei stessa cosa comprare per lei e per i suoi figli. Ela non usa mai la parola “divorzio” ma quello che augura alle sue figlie è tutta la libertà e la leggerezza della quale lei è stata privata per anni.

(foto copertina Martina Martelloni)

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