Giappone, la routine dei terremoti

Nel Paese asiatico si verificano centinaia di fenomeni ogni anno e la stragrande maggioranza non provoca danni. Il Giappone ha norme severe per garantire che gli edifici possano resistere

Nevica, in Giappone, ma il ghiaccio non sutura ciò che il terremoto ha distrutto. Lo ha fatto con colpi insistenti: il primo di magnitudo 7.6, il secondo di 6.2., e per un’ora e mezzo altre 21 microscosse come a dire rompiti, ma sono cent’anni che il Giappone non si rompe.

In Giappone avanza la stagione dei terremoti
Giappone, la routine dei terremoti – ilMillimetro.it

Il 1° settembre 1923 c’era stato il Grande Terremoto del Kanto. Quello del 1° gennaio non ha un nome, per adesso è il più recente. Il sisma si è verificato nella penisola di Noto a nord del Mare del Giappone. Lo hanno sentito fino a Tokyo, che si trova a circa 500 km di distanza. Erano le 16:10, in Italia le otto, è stata la breaking news del mattino.

I terremoti e l’informazione

Il fiume Kurobe nella prefettura di Toyama per un attimo è diventato mare: un uomo è riuscito a girare un video di 30 secondi dal finestrino della sua auto; nell’audio si sovrappongono la violenza delle onde e il suono inerte delle quattro frecce. C’è stato anche chi, l’onda, l’ha cavalcata: sui social è circolata tanta disinformazione in poco tempo. Tra le fake news, video già diffusi in passato, legati ai terremoti di ieri. L’informazione avversaria, quella autentica, ha però fatto squadra: i media non si sono comportati come fanno di solito, quando iniziano a parlarsi sopra per dire più di quanto devono: radio, social e televisioni hanno subito diffuso con ordine l’allerta tsunami. Sono stati efficaci. Loro li conoscono, i giapponesi: “Non pensate ai vostri oggetti, la vostra vita vale molto di più!”. La gente si è allontanata dalle coste; dopo qualche ora il maremoto c’è stato, meno feroce del previsto: onde altre 1,2 metri anziché 5.

Il panico scatenato dal web
In passato dilagava la disinformazione sui terremoti – ilMillimetro.it

La penisola di Noto è meno popolata rispetto ad altre aree urbane (come Tokyo, Kanagawa e Osaka) e questo fa sembrare che il terremoto abbia fatto meno vittime del dovuto: a oggi sono 213. I numeri dei dispersi e dei feriti sono più elevati, i feriti 565, 323 i dispersi. In questa zona il 25 marzo del 2007 c’era stata una scossa di magnitudo 6.9, il bilancio di un morto e 170 feriti: a perdere la vita una signora di 52 anni nella città di Wajima. L’area di Noto è anche quella per cui il Ministero del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti non dispone di una mappa delle zone edificate e ad alto rischio – come invece le ha per le zone più densamente popolate di tutto il Paese, per prevenire l’effetto domino dei terremoti, in particolare gli incendi. Terra, acqua, fuoco, manca l’aria. Forse perché davanti a questi eventi manca il respiro.

Il curriculum dei terremoti

Il terremoto del 1° gennaio 2024 ha impastato le case e le strade e sputato un bolo di detriti. Nelle prefetture di Toyama, Nigata e Ishikawa, scavare è diventato l’unico modo per riportare alla vitai dispersi. Proprio a Wajima, che è una delle città più grandi della prefettura di Ishikawa, le fiamme dell’incendio hanno distrutto le case di legno che davano il nome ai tipici quartieri delle cittadine della zona.

Imprevedibili ma attesi da tutta la popolazione
I terremoti si ripetono ciclicamente – ilMillimetro.it

Oggi mokumitsu è un quartiere di cocci carbonizzati, macerie arrese, di persone sepolte sotto le loro stesse case. A causa delle nevicate di questi giorni, gli interventi di soccorso sono lenti e più faticosi. Le strade sono ghiacciate, le temperature rigide e i tempi per raggiungere le zone terremotate sottraggono tempo alla sopravvivenza. Sono circa 5000 le Forze di autodifesa impegnate nelle operazioni di ricerca dei dispersi. Un numero massivo che prova a trasmettere un senso di controllo, lucidità e freddezza che il Giappone ha dovuto imparare dopo tanti rimproveri. Nel 2011 il terremoto del Tōhoku (9 gradi di magnitudo), anche conosciuto come lo scoppio della centrale nucleare di Fukushima, era stato un evento di grandezza tale quasi da paralizzare gli aiuti. Tuttora, il ricordo sembra una reazione di emergenza.

Il governatore della prefettura di Ishikawa, Hiroshi Ase, dice di tenere duro, cerca di dilatare il tempo con una voce di supplica, di tifo per la sua gente e di rivalsa. Lui fa parte dell’ala politica democratica, la stessa dei rimproveri a un Paese che nel 2011 non disponeva degli stessi mezzi di ora per affrontare una catastrofe. L’esperienza sì, l’aveva, esperienza intesa come sentimento: il Giappone lo sa come ci si sente quando arriva un terremoto. Vivere in un Paese che ne è così colpito diventa un motivo per non averne paura. Il Giappone galleggia sull’Anello di Fuoco dell’Oceano Pacifico, un’area che si estende per 40000 km dalla Fossa delle Kermadec, a nord della Nuova Zelanda, fino alla Fossa Perù-Cile, vicino alle coste sudamericane. L’Anello sembra descrivere la circolarità dei terremoti: non si può dire quando, però certamente ritornano.

Kanrenshi, il fenomeno che fa tremare di più

Ritornano anche a distanza di anni, ma senza tremare. Il 20 febbraio del 2014 il Japan Times pubblica un articolo sulle morti da stress causate dal terremoto nella prefettura di Fukushima, che si era verificato 3 anni prima. Il numero dei morti uccisi direttamente dal terremoto dell’11 marzo ammontava a 1607, quello dei morti a causa dei disturbi mentali provocati dallo stesso terremoto 1656. Nel 2014 c’erano ancora 136.000 persone sfollate, a convivere con una vita stravolta, con l’oggi sopravvissuto a stento e ieri e domani rimasti sepolti. Il contrario della morte immediata in Giappone si chiama kanrenshi: per il terremoto del 2011, il 17% delle morti legate all’impatto della catastrofe sulla salute mentale, riguardava il declino fisico provocato dallo stress e i suicidi. Un gesto così definitivo era dovuto tanto alla disperazione per aver perso la propria casa e i propri affetti, quanto al sentirsi impotenti davanti a una vita crollata, estranei di fronte al niente. Dopo il terremoto del 1° gennaio 2024, preme attutire gli effetti della distruzione sulla salute mentale dei bambini: in quest’area del Paese, il numero di persone anziane oscura quello dei minori, provocando un’assenza di informazione che rischia di non garantire interventi adeguatamente proporzionati e proporzionali. Per tale ragione, Save The Children ha aperto un centro di evacuazione a Nanao, una città della prefettura di Ishikawa: si tratta di uno spazio sicuro dove i bambini possono socializzare tra di loro e giocare. Ci sono scuole distrutte e scuole che ancora oggi non si sa quando riapriranno.

Fenomeni naturali che colpiscono la natura
La montagna di Fukushima – ilMillimetro.it

I bambini hanno più che mai bisogno di assistenza e di supporto psicologico, anche se non lo danno a vedere. Save The Children si è posta l’obiettivo di formare gli insegnanti e i tutori dei minori per dare loro tutti gli strumenti utili a proteggere la loro salute mentale. Dopo che un terremoto rade una città al suolo, per ricostruirla si cerca d’intraprendere uno sforzo collettivo. Le persone invece devono ricostruirsi da sole e alcune volte, da quel che si evince, non ce la fanno. The Royal Society Publishing scrive: “Le isole giapponesi si trovano ai confini di quattro placche tettoniche”. La tendenza di ogni placca è di infilarsi sotto l’altra, un fenomeno che in geotettonica si chiama subduzione, flettendosi a 45° fino a immergersi nell’astenosfera – uno strato ancora superficiale, situato sotto la crosta terrestre. Quando accade, nel punto di attrito delle due placche si verificano moti sismici e vulcanici dovuti al fatto che si creano fosse e cordoni di isole. “Queste subduzioni causano un accumulo di tensione sui confini delle placche e generano terremoti interplacca quando la tensione accumulata viene improvvisamente rilasciata”. Se la previsione di per sé di un terremoto è ovvia, ovvio non è stabilire un intervallo di tempo preciso che renda i giapponesi sicuri della frequenza con cui accadono, e perciò preparati. Forse l’esercitazione più pesante, in Giappone, è essere pronti mentre si continuano a condurre normalmente le proprie vite.

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