L’Ucraina e l’indipendenza dai Russians

Mentre tornava di moda Russians di Sting, e mentre Caparezza pubblicava il suo nuovo singolo ambientato nella città fantasma di Pripyat (coincidenza), Spotify perdeva un milione e mezzo di utenti russi e venivano a galla i bio-laboratori ucraini. L’acciaieria di Azovstal è sulla bocca di tutti, e le ultimissime coinvolgono la Transnistria, fino a ieri fieramente “il paese che non c’è”, ma oggi una strategica striscia di terra schiacciata tra la Moldavia e l’Ucraina. Ogni giorno, insomma si aggiunge una tessera ad un puzzle millenario e complesso. Quella che è emersa negli ultimi tre mesi è solo la punta di un gigantesco iceberg. Il manicheo e forse riduttivo gioco degli opposti (bianco contro nero, buoni contro cattivi) non basta per avere una visione di insieme. E per cercare di fare chiarezza è giusto attingere a più fonti.

Il documentario censurato

Negli ultimi tre mesi sono stati pubblicati due documentari che vale la pena vedere. Il primo, Revealing Ukraine, a cura di Oliver Stone, è del 2019 ma, in poco tempo, è sparito da tutti i social network occidentali, trovando spazio soltanto su Rumble dove ha totalizzato poco più di 120 mila views. Stone (tre premi Oscar e 20 film diretti in carriera, oltre al doppio documentario su Fidel Castro) mette insieme i pezzi, aggregando una serie di interviste esclusive con Putin, Viktor Medvedchuk ed Oksana Marchenko. Medvedchuk, leader dell’opposizione e in passato azionista della Dinamo Kiev, fu il primo ad essere messo alla porta nel 2014 quando, a seguito delle sanzioni annunciate da Obama, i cosiddetti democratici si insediarono al potere (è notizia di metà aprile il suo arresto); la moglie Oksana, attrice e produttrice di ben tredici stagioni di due dei maggiori talent di successo del paese (le versioni locali di “X Factor” e “Ukraine’s Got Talent”), venne licenziata per gli stessi motivi.

L'Ucraina e l'indipendenza dai Russians

Entrambi raccontano a Stone di aver ponderato la scelta di lasciare il paese, così come già fatto da altri otto milioni di connazionali, prima di abbandonare il proposito. Medvedchuk emerge come un personaggio di larghe vedute, ma al tempo stesso apparentemente contraddittorio: fiero sostenitore dell’indipendenza ucraina, nel 2018 ha fondato il partito filorusso “For Life”. «Crede in un’Ucraina forte e indipendente, ma al tempo stesso è convinto di dover alimentare dei legami con la Russia» spiega Putin.

Una storia lunga 1000 anni

Medvedchuk ripercorre addirittura gli ultimi mille anni della storia dell’Ucraina, facendo notare come gli attuali confini siano in realtà il risultato di una serie di associazioni territoriali che si sono succedute nel corso di dieci secoli: Rus’ di Kiev, Khanato dell’Orda d’Oro, Granducato di Lituania, Khanato di Crimea, Regno di Ungheria, Regno di Polonia, Impero Ottomano, Impero Austroungarico e Impero russo. Ognuno con la sua cultura, le sue lingue, il suo credo storico e religioso. L’errore dell’attuale governo, dice Medvedchuk, è voler costruire un’identità forzata, basata su appena tre territori (IvanoFrankivs’k, Leopoli e Ternopil’). Non c’è da stupirsi dunque se solo il 25 aprile del 2019 una legge ha sancito l’utilizzo della lingua ucraina come l’unica ufficialmente riconosciuta.

Nella sua intervista Putin invece definisce Ucraina e Russia come un unico paese, soprattutto per via delle radici ortodosse («non volevano far parte del mondo cattolico, dove voleva invece trascinarli la Polonia»). Lo stesso presidente russo ammette che «se in Ucraina esiste un numero consistente di persone che ritiene di dover lottare per enfatizzare la propria identità, io non ho nulla in contrario, dico solo che dovremmo essere consapevoli dei tanti legami che abbiamo, a livello di tradizione culturale, ma anche familiare».

In virtù anche di questo, era difficile poter immaginare un’escalation di violenza che avrebbe portato agli eventi di Piazza Maidan, se non con la compartecipazione e la zizzania seminata da qualche agente esterno. Il professor Ivan Katchanovski dell’università di Ottawa (Canada) ha analizzato nel dettaglio e con strumenti sofisticati i file audio e video dei fatti di piazza Maidan registrati da telecamere e telefonini, e ha dedotto che il massacro, di fatto, fu premeditato (forse si trattava di cecchini georgiani). Sulla scia di quanto accaduto, la villa di Medvedchuk venne data alle fiamme dai manifestanti e il suo ufficio venne preso di mira più volte.

Ucraina, dal produttore al consumatore

Dopo il crollo dell’URSS, gli esperti di economia inclusero l’Ucraina nella Top 10 dei paesi più sviluppati al mondo: la produzione, infatti, valeva un terzo di tutta l’industria sovietica, era il più grande corriere del Mar Nero, possedeva un’industria aerospaziale e un’industria aeronautica tra le più avanzate. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, e aver quindi rescisso i legami con l’URSS e gli altri paesi “satellite”, l’economia ucraina si ridusse di un terzo, poco davanti ai paesi più poveri d’Europa. Il processo di deindustrializzazione dell’Ucraina, un tempo la più fiorente costruttrice di locomotive termiche, portò all’acquisto delle stesse locomotive negli Stati Uniti. Portaerei e razzi spaziali cessarono di essere fabbricati. Ad oggi, l’Ucraina non possiede nemmeno una sua industria automobilistica. Cinque anni dopo la rivoluzione colorata, divenne improvvisamente chiaro che il mercato occidentale non aveva bisogno di concorrenza e, a livello economico, era sicuramente più facile smorzare le potenzialità dell’Ucraina anziché favorirne l’ascesa.

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Emblematico in tal senso l’acquisto da parte di Kiev di carbone in USA (30%) e Sudafrica, nonostante la produzione dello stesso nelle famose miniere del Donbass. Era effettivamente giunto al culmine il processo che aveva trasformato il paese da esportatore a importatore, da produttore ad acquirente e consumatore. L’Ucraina, che pure sarebbe ricca di petrolio e gas naturale nel sottosuolo, complice il clima di investimenti che ha smesso di essere alimentato, non ha le risorse per l’estrazione e la lavorazione dei suoi minerali. Imprese confiscate e mancanza di un sistema giuridico: si domanda Medvedchuk, chi avrebbe interesse ad investire qui?

Il ruolo degli USA

Come sempre però, c’è chi ha approfittato della situazione perché in concomitanza con la visita ufficiale di Joe Biden in Ucraina, il figlio Hunter entrò nel CdA della Burisma Holdings, la stessa società energetica oggi potenzialmente coinvolta anche nel discorso dei bio-lab. «Il mondo intero vi guarda – disse in parlamento l’attuale presidente americano – e il mondo ha bisogno che il settore energetico sia competitivo, che sia regolato da leggi di mercato e non da accordi amorevoli». «Sembrava si stesse rivolgendo ad una colonia, diceva cosa fare e come farlo» ribadisce Medvedchuk.

L’Ucraina è rimasta schiacciata tra le sanzioni imposte alla Russia dall’UE e le controsanzioni russe, che alla fine hanno innalzato il prezzo del gas del 179% nel giro di quattro anni: il gas di Gazprom ha iniziato ad arrivare solo tramite i gasdotti di intermediari come la Polonia. La chiusura di decine di migliaia di grandi e medie imprese ha comportato la ricerca di nuovi posti di lavoro in Russia, Polonia ed Europa.

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Stone ripercorre insieme ai suoi intervistati tutta l’intricatissima situazione relativa all’interferenza di Russia e Ucraina nelle elezioni presidenziali americane. Dopo una lunga ricostruzione, l’interrogativo è eloquente: i burattinai si rendono conto che a volte i burattini iniziano a vivere una vita propria?

Una profezia molto accurata

La conclusione del documentario pubblicato nel 2019 è una profezia pressoché accurata nonché agghiacciante di quanto sarebbe accaduto nel 2022: «se una volta sembrava una possibilità remota, un conflitto tra Russia e Ucraina a questo punto non è più da escludere; non importa chi attaccherà per primo perché a questo punto l’onda d’urto della prima esplosione si è propagata talmente tanto che non può lasciare indifferenti anche i soggetti che hanno scelto di rimanere ai margini della faccenda. Il “pifferaio magico” che si è portato dietro i suoi fedeli fino alla terra di nessuno, si rende conto che la Russia non accetterà mai uno stato ostile al confine? Una qualsiasi imbarcazione militare ucraina potrebbe entrare in acque che la Russia considera proprie, scatenando il fuoco della guardia costiera russa. La guerra inizierebbe e la Russia verrebbe considerata l’aggressore.

I carrarmati ucraini spazzerebbero via il Donbass in un colpo solo, tanto che le truppe russe avanzerebbero a quel punto per salvare dei civili, così come farebbe l’esercito ungherese che interverrebbe per salvare cittadini ungheresi residenti in Ucraina occidentale. Persino la Polonia smuoverebbe i suoi riservisti per riprendersi i territori confiscati dall’URSS nel 1939. E si avvererebbe la paura di tutto il mondo durante la Guerra Fredda. Si avvererebbe l’incubo di Mosca, Bruxelles e Washington. Per quelli ancora al governo a Kiev, l’unico modo per evitare la disfatta sarebbe quello di mettere in piedi una provocazione con l’intento di causare l’intervento dell’esercito russo e della NATO: sarebbe l’inizio di un fulminante Armageddon. Potrebbe essere l’ultima guerra (nucleare) per la Terra. Solo perché qualcuno a Kiev vuole rimanere al potere».

Il documentario che resiste

Il secondo documentario, Ucraina, l’altra verità, a cura di Massimo Mazzucco, è stato pubblicato il 15 aprile dopo una serie di notti insonni e, pur essendo ormai vicino al milione di visualizzazioni, ha subito da parte di YouTube uno “shadow ban”, la pratica che blocca la ricerca organica sul social, rendendo invisibili ad altri utenti i contenuti pubblicati da un determinato canale. In altre parole: pur inserendo i tag giusti (titolo del documentario, nome dell’autore e dei paesi coinvolti nel conflitto) non si riuscirebbe comunque a trovare il video che, invece, va ricercato direttamente sul canale di pubblicazione (luogocomune2).

Finché rimane online, è un documentario che vale la pena guardare, se non altro per i riferimenti puntuali e la cronologia dettagliata. Si parte dalle basi: l’Ucraina è un paese di circa 44 milioni di abitanti profondamente diviso da forti differenze etnico-linguistiche. L’astio da parte degli ucraini nei confronti dei russi risale agli anni Trenta del secolo scorso, durante lo stalinismo. Nel 1932, proprio la “colletivizzazione” dell’agricoltura voluta da Stalin contribuì a questo (legittimo) malessere da parte della popolazione ucraina, affamata da una carestia “vendicativa” che costò la vita a circa cinque milioni di persone (Holodomor, 1932-1933): confische violente di terreni, deportazioni di massa nei gulag, rimozioni forzate di famiglie e villaggi e pene di morte.

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Motivo per cui, probabilmente per spirito di rivalsa e di reazione, soprattutto in Galizia, nascono una serie di organizzazioni clandestine naziste come la OUN (1929), capitanata da Stepan Bandera, anti-russo, anti-polacco e anti-semita. Quando nel 1941 Hitler lancia l’assalto all’Unione Sovietica con l’operazione Barbarossa, le truppe tedesche che partono alla volta di Stalingrado passano anche per l’Ucraina, dove vengono accolte come liberatrici. Molti nazionalisti ucraini diventano collaborazionisti dei tedeschi: la Divisione Galizia arruola addirittura 80.000 combattenti. Quando però Hitler perse la guerra, le truppe filonaziste furono costrette a tornare in clandestinità. Bandera viene aiutato a fuggire dalla CIA, che si serviva di questi personaggi come fonte di informazione clandestina locale nei confronti dei sovietici.

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Gli aerei tra New York e Mosca

Durante la Guerra Fredda (1946-1989) i due blocchi continuano a fronteggiarsi a distanza: la cosiddetta Cortina di Ferro divide i paesi della NATO da quelli del Patto di Varsavia (1955: URSS, Polonia, Germania Est, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Albania). Nel ’54, poco prima di siglare il trattato, il fondatore Nikita Chruscev, forse per celebrare il trecentesimo anniversario del patto di amicizia tra Russia e Ucraina (1654), regala la Crimea all’Ucraina, con la Russia che mantiene il controllo di Sevastopoli, sede della flotta navale russa nel Mar Nero.

Nel ’59, Castro guida la rivoluzione cubana e l’isola entra a far parte del blocco sovietico. Nel ’62 però alcuni aerei spia americani, gli U2, scoprono la costruzione di rampe per missili nucleari (la cosiddetta Crisi dei missili di Cuba) a soli 200 chilometri dalla Florida, e il presidente Kennedy si presenta in televisione per promettere, in caso di attacco, «una piena rappresaglia contro l’URSS». I russi, dunque, smantellarono i siti missilistici, Kennedy promise di non invadere Cuba e tolse anche quei missili che gli USA avevano piazzato in Turchia, ponendo fine alla crisi.

Nel 1989, con il crollo del muro di Berlino, arriviamo quindi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dei blocchi contrapposti quindi ne resterà solo uno, quello della NATO, patto difensivo contro una coalizione che non c’è più. In particolare, la Germania Est si ritrova dal giorno alla notte a far parte del blocco opposto, tanto che la Russia a quel punto chiede garanzie sull’espansione verso est da parte della NATO. Una pluralità di voci, compresa quella di Bush, sembrano rassicurare Gorbachev, e nel 1991 la Germania viene riunificata con capitale Berlino.

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Il pezzo mancante del puzzle

Parallelamente però, negli Stati Uniti, stanno arrivando al potere i Neoconservatori che, nella loro visione del “Nuovo Secolo Americano” non concepiscono un mondo multipolare, ma, come sottolineato nel famoso documento “Rebuilding America’s Defenses”, sono anzi decisi a far prevalere la potenza dell’America nel lungo termine visto che, all’inizio degli anni Novanta, gli USA godono di un dominio globale pressoché incontrastato a livello politico, militare, tecnologico ed economico. La Russia però ha ancora l’arsenale intatto, motivo per cui all’America non conviene prendere frontalmente i nemici, ma piuttosto tentare di indebolirli gradualmente, costringendoli ad una crescente spesa militare o imponendogli delle frequenti sanzioni economiche. Nel 1997, sia il politico e politologo Zbigniew Brzezinski che l’allora senatore Joe Biden suggeriscono che ammettere gli stati del Baltico nella NATO provocherebbe i russi. Nel 1999 infatti entrano nell’alleanza occidentale Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca; nel 2004 entrano anche Estonia, Lituania, Lettonia, Slovacchia, Romania e Bulgaria. Manca solo l’Ucraina, il pezzo mancante.

Da qui inizia una storia lunghissima che vede il coinvolgimento diretto dell’America, in particolare nelle figure di Victoria Nuland, vice di John Kerry, ministro degli esteri americano con delega speciale per l’Eurasia, ex ambasciatrice degli USA per la NATO ai tempi di Bush e moglie di Robert Kagan, uno degli autori del documento “Rebuilding America’s Defenses”, il senatore John McCain e Joe Biden, che, a seguito della Rivoluzione Arancione che costringe alla ripetizione delle elezioni, attingono a piene mani da partiti di estrema destra per assemblare un governo pilotato dagli USA. La Nuland si premura di farsi vedere in piazza mentre distribuisce pane ai civili, ma pure McCain arringa le folle che gli rispondono con un roboante “Thank you”, accogliendo ancora una volta il (presunto) liberatore dalla Russia, così come accaduto decenni prima con la Germania.

I referendum in Crimea e nel Donbass, la cruenta manifestazione di Odessa, i crimini perpetrati dagli squadristi di Settore Destro e del Battaglione Azov (descriti in un dettagliato rapporto dell’ONU del novembre 2014) portano il conteggio a circa 14.000 morti (c’è pure il fotoreporter italiano Andy Rocchelli), mentre a Donetsk sorge il Viale degli Angeli, dove sono sepolti 250 bambini tra i 6 e i 9 anni, uccisi dalle bombe di Kiev. Quando Zelensky viene eletto presidente nel 2019, promette subito il cessate il fuoco nel Donbass, ma nemmeno la mediazione di Macron lo scorso febbraio serve per la famosa implementazione degli accordi di Minsk del 2015. E a chi sostiene che l’Ucraina non abbia niente a che vedere con la NATO, Mazzucco risponde con una sfilza di comunicati e articoli che dimostrano il contrario.

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Amen

La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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