Forever chemicals, un rischio in più

Sono ovunque e non è facile riuscire a sbarazzarsene. Stiamo parlando dei “forever chemicals”, nome con il quale sono anche chiamati i PFAS o sostanze alchiliche perfluorate. Si tratta di un ampio gruppo di composti sintetici che hanno la caratteristica di fungere da repellente di acqua e grassi. Il problema è che non si degradano con il tempo, motivo per il quale rimangono in circolo accumulandosi sempre di più non solo nell’ambiente ma anche nel nostro corpo. Inoltre, a causa della loro alta mobilità in acqua, si spostano molto facilmente da un ecosistema all’altro; infatti, ne è stata rilevata la presenza anche ai poli e negli animali artici. Non solo, si trovano anche in ciascuno di noi – umano o animale che sia – perché tendono ad accumularsi nel siero; inoltre, si insinuano nella placenta e nel latte materno raggiungendo così il corpo dei cuccioli di ogni specie di mammiferi da ben prima dalla nascita.

La famiglia dei PFAS comprende i composti più persistenti mai rilevati fino ad oggi e, senza saperlo, siamo esposti a centinaia di PFAS contemporaneamente. Si trovano ovunque: detergenti, cosmetici, creme solari, tessuti, contenitori per il cibo, padelle e pentole antiaderenti, componenti elettronici, schiume antincendio e, vista ormai la diffusione nell’ambiente, anche nell’acqua che beviamo. Da un punto di vista chimico, i forever chemicals sono costituiti da un gruppo funzionale idrosolubile connesso a catene carboniose di varia lunghezza nelle quali gli atomi di idrogeno sono stati parzialmente o totalmente sostituiti da atomi di fluoro. Se la catena carboniosa è fino a cinque atomi di carbonio sono considerati a catena corta, da sei atomi in su si parla invece di catena lunga. Gli effetti sul nostro corpo di concentrazioni sempre maggiori di questi composti sono, ahimè, particolarmente nocivi. I forever chimicals, infatti, interferiscono con il sistema endocrino e quello riproduttivo causando, tra le altre cose, problemi alla tiroide, ritardi nello sviluppo dei bambini e pressione alta in gravidanza. Possono causare, inoltre, anomalie al sistema immunitario, sono responsabili di alti livelli di colesterolo e favoriscono lo sviluppo di alcuni tipi di tumori. Riuscire a combattere questa minaccia per le future generazioni umane e animali non è però una passeggiata; infatti, a causa della diffusione globale di questi composti non è al momento possibile rimuoverli. Questa estensione, unita alla loro straordinaria persistenza, significa che, anche se smettessimo oggi stesso di produrre PFAS, dovremo fare i conti con l’esposizione ai forever chemicals per decenni, se non per secoli, a venire.

Da dove vengono?

Questi composti sono realizzati interamente in laboratorio e non si creano attraverso processi naturali: sono sintetici al cento per cento, per cui l’essere umano, che ha iniziato a produrli a partire dagli anni Cinquanta, è il solo responsabile della presenza dei forever chemicals nell’ambiente. Ci potremmo chiedere come mai si sa così poco di questa invisibile ma così diffusa minaccia ambientale. Ecco la risposta: prima degli anni 2000 gli strumenti di analisi, in particolare la GC-MS e le prime versioni di LC-MS, non erano sufficientemente sensibili e selettive. La GC-MS e l’LC-MS sono metodi di analisi che combinano le qualità separative della gas cromatografia o della cromatografia liquida con la spettrometria di massa per identificare diverse sostanze presenti in un determinato campione. Tutto è cambiato intorno al 1998 con la messa a punto dell’interfaccia electrospray per LC-MS che ha reso possibile rilevare anche livelli di concentrazione molto bassi di questi composti sia nell’acqua sia nel siero sanguigno: acqua e siero sono infatti le due principali aree di interesse contaminate dai PFAS. Nel momento in cui è stato possibile rilevarli in modo così accurato, ci si è accorti che sono davvero dappertutto.

Forever chemicals, un rischio in più

Infatti, uno dei principali problemi per l’analisi di questi composti è stato proprio la contaminazione, da parte dei forever chemicals, dei laboratori di analisi chimica. Trovandosi dappertutto, questi erano (e sono) presenti anche nell’attrezzatura da laboratorio per cui non è stato semplice evitare la contaminazione dei campioni analizzati. E quali sono le maggiori sfide del momento dal punto di vista analitico? È necessario innanzitutto migliorare le cosiddette tecniche “non targeted” per consentire l’identificazione di nuovi PFAS. Inoltre, per una miglior misurazione di questi composti c’è bisogno un avanzamento per quel che riguarda la tecnologia delle colonne cromatografiche per LC-MS: sarebbe importante disporre di colonne che si adattino a composti a catena breve e a catena lunga. La sfida con le catene corte è quella di ottenere picchi cromatografici ben definiti nel corso dell’analisi; quella con le catene lunghe è l’eluizione per riuscire a farli fuoriuscire dalla colonna in tempi brevi.

In che modo sono regolati?

A livello globale interviene la Stockholm Convention on Persistent Organic Pollutants, un trattato internazionale firmato nel 2001 ed entrato in vigore nel 2004 che ha lo scopo di eliminare o limitare la produzione e l’uso della maggior parte di composti tossici. Ad oggi, due sottogruppi di forever chemicals rientrano nei termini di questa convenzione, il PFOS (acido perfluoroottansolfonico) e i suoi derivati sono dal 2009 nella lista di composti la cui produzione è limitata mentre la produzione del PFOA (acido perfluoroottanoico) rientra dal 2019 tra quelle da eliminare in toto. L’Unione Europea è ancor più restrittiva, normando la produzione di numerosi altri sottogruppi di PFAS grazie al regolamento REACH, acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of Chemicals, entrato in vigore il 1° giugno 2007. Il problema è però di difficile soluzione perché esistono oltre quattromila e cinquecento composti che fanno parte della famiglia dei forever chemicals e le industrie continuano a sostituire i PFAS regolati dalle normative con nuovi PFAS. A causa di ciò, anziché diminuire, la concentrazione di forever chemicals nell’ambiente continua ad aumentare. Per porre un freno a questa situazione, alcuni stati dell’Unione Europea stanno lavorando a una proposta per la restrizione dell’utilizzo di qualunque tipo PFAS da far entrare in vigore entro il 2025; a coadiuvare questa azione la Commissione Europea ha incluso provvedimenti che riguardano i PFAS nella nuova Chemicals Strategy for Sustainability prevedendo una graduale eliminazione di questa famiglia composti per tutti gli usi che non siano essenziali.

Forever chemicals, un rischio in più

Tips and tricks

Cosa possiamo fare concretamente per combattere la diffusione dei PFAS e per ridurne la quantità con cui veniamo a contatto? Oltre a comprare un filtro specifico per depurare l’acqua che beviamo, possiamo sostituire pentole e padelle antiaderenti graffiate con le equivalenti in acciaio e in ferro. È anche opportuno diminuire il consumo di cibo dei fast food e a domicilio in quanto spesso i contenitori utilizzati per il trasporto delle pietanze hanno un rivestimento realizzato utilizzando i forever chemicals. Nell’acquisto di cosmetici leggiamo sempre la lista degli ingredienti e se sono presenti composti che hanno nel nome fluoro o PTFE optiamo per un altro marchio; questo vale anche per il filo interdentale: se ha un rivestimento in PTFE può aiutarci a eliminare spiacevole sporco tra i denti, ma il prezzo in termini di contaminazione chimica è troppo alto perché convenga. Rifuggiamo anche dall’acquisto di tappeti o biancheria per la casa con proprietà antimacchia (si può verificare la presenza di un marchio PFAS– o PFC-free) e nelle camicie che non si stirano: magari faticheremo di più nella pulizia e nel dover stirare, ma l’ambiente e la nostra salute ne guadagneranno. Infine, se state organizzando una serata cinema con gli amici a casa vostra è meglio evitare di comprare le buste di popcorn da fare al microonde in favore dei semi da preparare in padella, possibilmente non antiaderente!

Forever chemicals, un rischio in più

Per saperne di più

Infine, se tra di voi lettori ci fosse qualcuno interessato ad approfondire questo argomento ma avesse timore ad addentrarsi nei meandri della letteratura scientifica, niente paura. Abbiamo due suggerimenti che fanno al caso vostro. Il primo è un film uscito nel 2019 e diretto da Todd Haynes, disponibile anche sulla piattaforma di Prime Video: Cattive acque (il titolo originale è Dark Waters) è un thriller che racconta di un caso  giudiziario contro la società di produzione di prodotti chimici DuPont – l’azienda che ha creato e immesso nel mercato il Teflon – a seguito di uno scandalo riguardante l’inquinamento idrico nella cittadina di Parkersburg in West Virginia con prodotti chimici non regolamentati. Si concentra proprio sui PFAS di cui abbiamo parlato ed è basato su una storia vera raccontata in un servizio del New York Times Magazine, The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare, a firma del giornalista statunitense Nathaniel Rich.

Forever chemicals, un rischio in più

Liberamente visibile sulla piattaforma YouTube in lingua originale è invece The Devil We Know, un  interessante documentario investigativo realizzato nel 2018 dalla regista Stephanie Soechting incentrato sempre sulla storia della DuPont e degli ingenti danni alla salute agli abitanti della cittadina del West Virginia in cui l’azienda aveva sede che, con ogni probabilità, sono stati causati dall’acido perfluoroottanoico (PFOA, conosciuto anche come C8), ingrediente chiave nella produzione del Teflon. Tra le cose più interessanti evidenziate in questo documentario c’è un test effettuato negli anni Settanta da DuPont e 3M, altra industria che ha fatto largamente uso dei PFAS, per verificare il livello di contaminazione da parte di questi composti nel sangue dei loro lavoratori comparandolo con quello del resto della popolazione. La scioccante scoperta è stata che non esistesse sangue non contaminato, non solo nella loro area di produzione ma in tutto il mondo: i loro composti erano ormai presenti nel sangue di tutta la popolazione mondiale. Per trovare sangue non contaminato si doveva attingere agli archivi dei prelievi fatte alle reclute all’inizio della Guerra di Corea, nel 1950, quando ancora i composti chimici del Teflon non erano ancora stati rilasciati nell’ambiente.

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