Vantaggi economici, possibilità di cambiare vita, ideologie e odio per l’Occidente: cosa c’è alla base di questi arruolamenti volontari
Donetsk. «Per adesso sono ancora cittadino italiano ma sto aspettando la cittadinanza russa. Per me è un ritorno alle origini, sono di produzione sovietica» dice Vlad, capelli biondi e corti, occhi chiari e addosso una divisa militare verde. Seduto su una cassapanca, mentre parla si rigira tra le mani una sigaretta spenta, intorno a lui altri soldati chiacchierano tra loro. Qualcuno in russo, altri in spagnolo, inglese, francese e altre lingue meno diffuse. Sono tutti giovani uomini giunti negli ultimi mesi nel Donbass da ogni angolo del mondo per arruolarsi nell’esercito russo e combattere contro quello ucraino.
Alcuni di loro si raggruppano intorno a un veterano che impugna un telefono dal quale rimbombano le note di Katiuscia, la canzone patriottica russa che nella Seconda guerra mondiale divenne una sorta di inno non ufficiale dell’Armata Rossa. I soldati la provano a cantare. «Per quelli di noi che non parlano russo è un buon esercizio per impararlo», dice un ragazzo con l’accento spagnolo, «siamo gli eredi della lotta contro i nazisti». Il suono della musica, di tanto in tanto, è interrotto dalle esplosioni che provengono dagli adiacenti campi di battaglia.
Vlad, l’italo-russo a Donetsk
Vlad ha 42 anni ed è nato in Unione Sovietica. Trasferitosi da bambino in Italia insieme alla madre, dopo gli studi ha lavorato per diciotto anni nelle Marche come produttore di sassofoni. Sposato con due figli, la scorsa estate ha abbandonato tutto per recarsi a Donetsk, la più grande città del Donbass controllata dai russi ma semi-circondata dall’esercito ucraino. Qui si è arruolato in un battaglione filorusso che combatte in questa regione dal 2014 e che ora è stato ufficialmente inglobato nell’esercito di Mosca.
Vlad è un fante d’assalto, le cui missioni consistono nell’avanzare armi in mano nelle sterminate steppe che circondano Donetsk per attaccare le posizioni nemiche.
Negli ultimi mesi ha preso parte a battaglie sanguinose, diversi suoi compagni d’armi sono stati feriti, uno è morto. «Non tornerò più indietro» dice. «In Italia e in Occidente non vedo alcun futuro. C’è una colonizzazione culturale imposta dall’alto, dagli Stati Uniti. Una troppo forte ideologia LGBT. Io non ho mai avuto un’ideologia politica, sono venuto qui a difendere la mia civiltà russa. Gli ucraini sono anche loro russi, oggi combattono contro di noi perché sono vittime della propaganda americana».