Il fentanyl è arrivato in Italia, con la sua terribile scia di zombie e morte
Il 3 febbraio scorso era quasi mezzogiorno nella città di Filadelfia, la più grande dello Stato della Pennsylvania, Stati Uniti, quando un vento gelido mi ha fatto ricordare che l’inverno non se ne era andato, nonostante il cielo di un blu intenso e i raggi di sole che bagnavano le strade della città dove, 248 anni fa, le tredici colonie nordamericane proclamarono la loro indipendenza dalla Corona britannica e fondarono quella che è ancora oggi la prima potenza mondiale.
A soli dieci minuti dal centro, verso nord-est, la bellezza del gioco di luci e la volta celeste, all’arrivo dell’incrocio tra Allegheny Avenue e Kensington, contrastano con un inaspettato paesaggio apocalittico. Se mi fossi addormentata in taxi durante il breve tragitto dal centro a quel punto, avrei pensato di essere in un incubo, un buco nero senza fondo, lugubre, dove la razza umana è stata ridotta a peggio che cenere. Ma no, non era un brutto sogno. È lì che nella vita reale risiedono quelli che chiamano “morti viventi”.
Percorrere le strade del quartiere di Kensington, situato nelle vicinanze del fiume Delaware, è come entrare in un campo di battaglia. Non ci sono bossoli né schegge, le armi di sterminio sono centinaia di siringhe sparse ovunque e tracce di carta stagnola. Si vede e si respira la decadenza. Il cosiddetto “sogno americano” si è trasformato in qualcosa di infernale. Qualsiasi cosa avessi letto prima su ciò che accade in questo luogo non è comparabile a ciò che vedono i miei occhi. Sul marciapiede di Allegheny Avenue, quasi all’angolo con G Street, al bordo del portico di uno degli edifici a due piani con facciate di mattoni che distinguono la zona, c’era un fagotto.
Zombieland, la terra del fentanyl
Un uomo che, nonostante il suo aspetto trasandato, non doveva avere più di trent’anni. Era piegato su se stesso come una cerniera chiusa, il suo petto toccava le sue gambe distese con la strana flessibilità di una gomma da masticare. Sebbene avesse la testa coperta da un cappello, si poteva vedere parte del profilo del suo volto. Sotto la sporcizia c’era una barba bionda e la carnagione chiara. Indossava jeans con la sporcizia accumulata di diverse settimane e una felpa che, in tempi migliori, doveva essere bianca. La cosa più inquietante del suo aspetto era il suo braccio sinistro.
Era quasi scoperto, con la manica della felpa arrotolata fino al gomito, a quel punto pendevano gli estremi di una grossa stringa blu che fungeva da laccio emostatico sul braccio visibilmente danneggiato, quasi staccato dal corpo. La pelle violacea e gangrenosa arrivava fino al polso. Sembrava come se fosse stato lanciato da qualcuno dal cielo in una guerra, senza paracadute né fucile, e abbandonato a se stesso nel campo di battaglia. Lo osservai con un’inquietudine che accelerò il mio battito cardiaco. Se fosse sveglio o addormentato non era possibile saperlo.
Lui era solo uno tra gli innumerevoli abitanti di strada di Kensington, mondialmente conosciuto come Zombieland, intrappolati nel profondo incubo causato dal fentanyl, un potente oppiaceo sintetico trafficato dai cartelli della droga messicani, che ha preso d’assalto la sesta città più popolata degli Stati Uniti. I suoi compagni mi osservarono in uno stato di semi-coscienza. Erano ancora in trance a causa della droga, mentre continuavo il mio percorso.
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