La morte del Presidente dell’Iran porta a un vuoto istituzionale che deve essere colmato, ma che rientra in una crisi più ampia
È morto il presidente iraniano Ebrahim Raisi, in un incidente in elicottero nella notte tra il 19 e il 20 maggio. Insieme a lui il ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian, il governatore della regione dell’Azerbaigian orientale, Malek Rahmati, e l’imam della preghiera del venerdì nella stessa provincia, Mohammad Ali Ale-Hashem. Lo schianto è avvenuto lungo il confine con l’Azerbaigian, dove l’elicottero è precipitato in una fitta nebbia.
La morte di Raisi si aggiunge a una situazione già tesa sia nella regione sia nell’Iran stesso, che sta attraversando un momento particolare, segnato dalla tentata rivoluzione e l’inasprimento delle pene nei confronti delle donne. Ma chi era il Presidente e chi gli succederà adesso?
Chi era Ebrahim Raisi, tra impiccagioni e conservatorismo
Classe 1960, Ebrahim Raisi nasce a Mashhad, la città santa sciita dell’Iran, in una famiglia clericale, ricevendo un’educazione prettamente religiosa. Laureato in Diritto islamico a Teheran, inizia il suo percorso studiando ai seminari delle scuole religiose nella città di Qom e si associa ai giovani rivoluzionari di Khomeini. Nel 1981 intraprende la sua carriera giudiziale come procuratore della città di Karaj fino ad arrivare a diventare viceprocuratore di Teheran nel 1985.
La sua linea dura si intravede già nel 1988, quando, durante la guerra contro l’Iraq, ordina l’esecuzione di decine di migliaia di prigionieri legati all’opposizione, ovvero al partito comunista iraniano e ai mujaheddin del popolo, sospettati di collaborare con Baghdad. Per questo viene chiamato “il macellaio di Teheran”. Già dal 2017 si candida alle elezioni presidenziali, sfidando Hassan Rouhani, ma perdendo. Nel 2019 diventa capo della magistratura, seguendo casi di corruzione tra i politici e grandi businessman.
Proprio sulla corruzione si focalizza per la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2021, che vince eliminando i candidati potenziali alla presidenza, facendo in modo di non farli direttamente partecipare alle elezioni. Questo è stato possibile attraverso il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, un organo non eletto che ha eliminato tutti gli oppositori che avrebbero potuto fargli ombra.
Nella storia dell’Iran rimane tra i più repressivi capi di Stato. Per tutta la durata del suo mandato è rimasto vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, a differenza di molti suoi predecessori. Infatti, era indicato come uno dei potenziali successori della Guida, che oggi ha 85 anni, e la sua vittoria alle elezioni del 2021 ha fatto pensare proprio a questo.
Durante il suo mandato ha dimostrato un’incrollabile fedeltà al nucleo duro della Repubblica islamica dell’Iran, tra cui la Guida suprema, i Guardiani della rivoluzione (Pasdaran) e l’apparato di sicurezza del Paese, svolgendo un ruolo importante in quasi tutti i casi di violazione dei diritti umani dalla rivoluzione del 1979. La sua linea è stata così crudele che gli Stati Uniti lo hanno inserito nella lista nera dei leader iraniani, quelli sanzionati per aver partecipato in più occasioni a esecuzioni di minorenni, torture e punizioni crudeli.
Dopo la morte di Mahsa Amini, ventenne arrestata e morta in circostanze sospette in custodia della polizia nel settembre 2022, il Paese scoppia diventando teatro di enormi manifestazioni. Ebrahim Raisi da subito reprime con la violenza le manifestazioni, perdono la vita almeno cinquecento civili, dei quali otto impiccati, e fa arrestare decine di migliaia di iraniani. Inasprisce le pene contro le donne, invocando una feroce battaglia contro quelle che escono in strada senza velo, ed è uno dei più ferventi sostenitori del ritorno della polizia morale nelle strade dell’Iran.
Lo schianto, le ricerche e la conferma della morte
Raisi è morto dopo aver incontrato il suo omologo azero Ilham Aliyev domenica mattina, all’inaugurazione di una diga sul fiume Araxe, vicino alla prefettura iraniana di Khoda Afarin, lungo il confine con l’Azerbaigian. L’elicottero su cui volava era diretto verso la città di Tabriz, dove il Presidente doveva visitare una raffineria di petrolio.
Le notizie arrivate subito dopo la scomparsa sono state confuse e contraddittorie. I primi ad averle lanciate sono stati l’agenzia iraniana Mehr e il giornale del regime Iran Daily. Secondo le ricostruzioni, l’elicottero si trovava nelle zone montuose dell’Azerbaigian in condizioni meteo rischiose e ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza in una zona lungo il confine tra Iran e Azerbaigian. Il salvataggio ha visto lo schieramento di venti squadre altamente equipaggiate, droni e cani da soccorso. Malgrado la grande forza dispiegata, i servizi hanno avuto enormi difficoltà a raggiungere il luogo dell’incidente a causa del maltempo.
Dopo una giornata intera di ricerche, lunedì mattina è stato recuperato il corpo carbonizzato di Raisi, insieme ai corpi di altri otto passeggeri. La notizia è stata poi confermata attraverso un comunicato governativo. Durante la sera di domenica, la Guida suprema Ali Khamenei ha incitato tutti gli iraniani a pregare. Lunedì ha annunciato cinque giorni di lutto nazionale in un comunicato pubblico.
La successione in un momento di gravi tensioni
La tragica morte del presidente Raisi arriva in un momento delicato, pieno di tensioni nella regione per via della guerra di Israele a Gaza. Arriva anche a poco più di un mese dall’attacco senza precedenti di droni e missili contro Israele, in risposta al bombardamento israeliano del 2 aprile contro il complesso diplomatico iraniano a Damasco, dove hanno perso la vita una decina di persone, tra cui un alto funzionario dei Pasdaran. L’Iran è sempre più esposto a livello regionale e globale.
Anche a livello interno sta affrontando notevoli sfide. A gennaio c’è stato un attacco terroristico da parte dello Stato Islamico e la crisi economica, ormai gravissima da qualche anno, non accenna a diminuire. Le sanzioni, ma anche l’incompetenza delle autorità iraniane, ha portato il Paese sul lastrico spingendo diffuse e violente proteste. Raisi aveva promesso di combattere povertà e corruzione in un Iran già stremato dalle sanzioni internazionali, applicate dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano del 2018.
L’inflazione ha raggiunto il 42% e in alcuni settori i numeri sono inquietanti, come il 90% del settore alimentare. Il valore rial, la valuta iraniana, è sceso ai minimi storici, basti pensare che un dollaro si può comprare a più di 600.000 rial. Le sfide riguardano anche i diritti civili, che sembrano andare sempre più a sfumare con la polizia morale che intensifica le ronde per strada in cerca di donne senza velo o con qualche capello in vista.
Adesso la questione aperta è: cosa riserverà il futuro politico dell’Iran, chi succederà a Raisi? I Pasdaran sono già stati rassicurati da Khamenei, che ha dichiarato che l’amministrazione del Paese non verrà interrotta in nessun modo. Ci si aspettano dunque pochi cambiamenti. Il potere resterà nelle vigili mani della Guida suprema e dei Pasdaran. Neanche la diplomazia dovrebbe subire alterazioni e il sostegno militare e strategico iraniano ai suoi più stretti alleati come Hamas, Hezbollah, Yemen e forze sciite irachene dovrebbe rimanere invariato.
Adesso l’Iran si appresta a nuove elezioni che si terranno, secondo la Costituzione, nei prossimi cinquanta giorni. Sarà il primo vicepresidente Mohammad Mokhber ad assumere le funzioni. Dezfuli è stato a capo di numerose fondazioni ecclesiastiche ricche e influenti. Insieme al capo della magistratura, Gholam-Hossein-Mohseni-Eje’i, e al presidente del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, Mokhber deve indire nuove elezioni.
Le figure più di spicco tra i moderati e i riformisti non sono sicuramente inclusi in questa opportunità. Nelle ultime tornate elettorali infatti molti di loro sono stati esclusi dai Pasdaran, che selezionano i candidati. In questo modo il peso degli ultraconservatori al governo e al Parlamento rimane schiacciante. Quello che è certo è che l’affluenza alle urne resterà bassissima, come quella del 2021, che toccò i minimi storici arrivando solo al 42%, a Teheran votò solo il 7% degli aventi diritto.
I primi nomi che iniziano a circolare sono quelli di Mokhber, dell’ultraconservatore Saeed Jalili e dello speaker Ghalibaf. Rimane scoperta anche la posizione del ministro degli Esteri, che adesso potrebbe esser ricoperta dall’attuale viceministro Ali Bagheri Kani, l’uomo più in contatto con l’Europa, nonché parente acquisito di Khamenei. Il ministro deceduto, Hossein Amir-Abdollahian, era colui che aveva i più stretti legami con i partner strategici di Teheran, soprattutto con Hezbollah in Libano e con il Presidente siriano Assad, al quale avevo fornito supporto con l’intervento iraniano nella guerra siriana.
La crisi più grande riguarda adesso la successione come Guida suprema, dal momento che Raisi era uno dei favoriti. Questa elezione avviene attraverso il voto di un organismo composto da 88 membri, l’assemblea degli Esperti. Raisi ne faceva parte e aveva l’appoggio sia dei religiosi sia dei Pasdaran. Adesso si è venuto a creare un vuoto che sarà complicato da riempire.