Divorati dal desiderio, la nostra recensione

Luca Guadagnino, con la sua reinvenzione di Suspiria, ha già dimostrato di sapersi muovere con disinvoltura nell’horror e dintorni. Non stupisce quindi che il suo Bones and AllLeone d’argento a Venezia e ora nelle sale italiane grazie a Vision Distribution – sia a tutti gli effetti un film riuscito, una bella trasposizione del romanzo omonimo (in Italia “Fino all’osso”, edito da Panini) scritto Da Camille Deangelis nel 2017. Siamo infatti proprio nei territori dell’horror, anche se la declinazione di genere può essere fuorviante per inquadrare correttamente un film che è soprattutto una storia d’amore e un racconto di formazione. Ambientato negli States degli anni ’80, Bones and All è infatti racconto di reietti ed emarginati, solo che queste “creature” ai confini della società lo sono per il loro irrefrenabile desiderio di mangiare carne umana. Cannibali, quindi, o meglio “mangiatori” come vengono definiti nel film, esseri umani “speciali” dotati anche di un olfatto fuori dal comune e di un odore caratteristico, che permette loro di riconoscersi e fiutarsi anche a distanza. Uno dei loro principi etici è quello di non sbranarsi mai tra di loro, mentre il desiderio più profondo e inconfessabile che li caratterizza è quello di mangiare qualcuno completamente: ossa e tutto il resto, Bones and all.

La trama

Il problema lungo cui si snoda il racconto è quindi quello dell’inaccettabilità del desiderio: che cosa succede, infatti, se la forza che spinge il soggetto a desiderare è tanto forte quanto socialmente inaccettabile? Che cosa succede se i propri desideri “divorano”, in questo caso letteralmente, “l’altro”? Lungo questa direttrice si snoda però anche la storia di un amore giovane e proibito, accompagnata costantemente da quel terribile pensiero che entra nella testa di molti durante l’adolescenza: “io sono diverso”. Protagonista di questa allegoria è Maren (Taylor Russell, bravissima), diciottenne che il padre ha cercato faticosamente di tenere lontana dalla sua natura di cannibale ereditata dalla madre, una donna ora misteriosamente scomparsa. Il film inizia come un classico teen drama di formazione: il genitore iperprotettivo che vorrebbe tenere in casa il più possibile la figlia adolescente, la ragazza che trova modi vari per trasgredire i divieti del padre e per andare a un pigiama party clandestino a casa di amiche.

Divorati dal desiderio, la nostra recensione

Solo che Maren è, appunto, “diversa” e pericolosa, e la sua attrazione alimentare per il corpo delle amiche, che non ha imparato a conoscere e controllare, la rende socialmente nociva. Già dalla prima scena colpisce il modo in cui Guadagnino mette in scena l’orrore e rappresenta corpi divorati e dilaniati: mentre la macchina da presa devia verso oggetti che metonimicaménte rappresentano la vittima e la sua vita e noi ne percepiamo la morte attraverso i suoni iperrealistici di carne divorata. Una scelta perfetta e ricorrente, per un film che usa la morte per parlare di vita, che si serve di cadaveri dilaniati per raccontare di desideri e pulsioni: le prove fotografiche che ogni persona sia segnata e caratterizzata da una storia sono un ritornello potente di questa ballata di formazione, con immagini stampate, a volte trovate in un’auto o nascoste in un cassetto, che forniscono un promemoria delle molte sfaccettature – nel bene e nel male – che un singolo individuo può contenere. I colpevoli erano un tempo bambini, mentre la loro preda può a sua volta lasciare una famiglia alle spalle.

Opera matura e controllata

Il vero orrore, per Maren sarà il mondo degli adulti, che non è in grado di spiegare e maneggiare la sua diversità, che non è in grado di proteggerla e nemmeno di rispettare i propri stessi principi. L’abbandono del padre spinge così Maren a un itinerario nelle zone depresse degli States alla ricerca dell’origine del proprio male oscuro, di un modo per conviverci e soprattutto della madre, tra paesaggi e atmosfere che sembrano rimandare a La rabbia giovane di Terrence Malick, nel contesto liminare dell’orlo esterno dell’America reaganiana. In questi quadri sconfinati, in questa Nomadland segnata da tramonti viola mozzafiato,  valorizzati dal lavoro eccellente del direttore della fotografia Arseni Khachaturan, Maren scopre che il suo desiderio di carne umana è innato, un tratto inspiegabile che non può cambiare, solo controllare. Lungo questo viaggio incontrerà l’inquietante Sullivan (Marc Rylance), uomo maturo che – dice – mangia solo le persone già morte, e Lee (Timothée Chalamet), un giovane sbandato con i capelli arancioni, anche lui incapace di gestire la propria natura e che nasconde un segreto profondo. Insieme allo sceneggiatore David Kajganich, Guadagnino opta per la struttura del road movie, con tanto di sovrimpressioni a scandirne le tappe, attraverso le periferie e gli ambienti suburbani più degradati del Midwest, ma diluisce gli aspetti più raccapriccianti del viaggio in un’atmosfera terrena e struggente da Coming of age, tanto che indubbiamente, alla fine del film, ciò rimane davvero “addosso” di Bones and all non sono le numerose scene di violenza grafica, bensì l’intensità metaforica di questi corpi emarginati, come se il cannibalismo di Lee e Maren avesse qualcosa di stranamente innocente e loro fossero in fin dei conti soltanto vittime fuorilegge del destino.

Divorati dal desiderio, la nostra recensione

Nella crudele parabola della protagonista rientra anche l’emarginazione di una parte di America, degli homeless e dei disperati della Rust Belt, l’implacabile necessità di sopravvivere a tutto, anche alla vergogna di una fame primitiva, che perdura a oltranza, senza possibilità di saziarsi. Bones And All è in questo un film eccentrico e provocatorio, romantico e terribile. Un’opera originale, che percorre questo viaggio con un’efficace ed elegante oscillazione tra iperrealismo e allegoria, mettendo al centro l’immagine del “corpo divorato” come metafora della diversità e riuscendo a disturbare e scuotere in più di un’occasione, dando vita a momenti decisamente inquietanti e oscuri. Il viaggio di Mauren, inoltre, la porta a incontrare un altro aspetto trasversale e potenzialmente tossico del desiderio, la sua capacità, cioè, di “consumare” gli altri attraverso il proprio soddisfacimento, talvolta spolpandoli “fino all’osso”. Girato con un perfetto senso del ritmo, un’impeccabile direzione degli attori e una cura estrema per la componente sonora, il primo film in lingua inglese di Luca Guadagnino è un’opera matura e controllata, che fa del regista siciliano uno dei registi più internazionali del nostro cinema.

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