Il presidente della Repubblica peruviana Pedro Castillo ha dato il via alla sua azione di pressione nei confronti delle Istituzioni e dei leader politici del Paese invitando loro a partecipare ad un “dialogo nazionale” che assicurasse “la governabilità del Paese”, con l’intento di fornire “una soluzione rapida ai bisogni della nostra gente, in attesa da troppi anni”. Con un passato da sindacalista e maestro delle elementari, Castillo ha assunto la carica di Presidente il 28 luglio 2021, riuscendo a strappare una vittoria storica contro le élites che governavano il Paese dalla fine della dittatura di Alberto Fujimori. Il suo monito, tuttavia, non ha ricevuto il risultato sperato, tanto che – dopo cinque giorni – in un discorso alla Nazione, Castillo ha annunciato la sua intenzione di sciogliere il Parlamento in via temporanea e instaurare un governo straordinario. Inoltre, ha annunciato la convocazione di nuove elezioni entro nove mesi per la formazione di una costituente incaricata, tra le altre cose, anche della riorganizzazione dell’apparato giudiziale. Un annuncio che nel giro di poche ore ha scatenato una serie di conseguenze. In primis la reazione della Corte costituzionale peruviana, il cui Presidente Francisco Morales, ha definito quanto accaduto come “un golpe destinato al fallimento”. Poco dopo sono arrivate anche le dimissioni di cinque ministri di alcuni dei dicasteri più importanti (degli Esteri, dell’Economia, del Lavoro, della Giustizia e della Difesa). I parlamentari nel frattempo hanno aperto una sessione per la proposta di impeachment. Con 101 voti favorevoli, 10 astensioni e 6 contrari, il Parlamento ha destituito il Presidente e ha convocato la vice-Presidente Dina Boluarte per ufficializzarne la successione presidenziale. Anche le Forze armate e la Polizia nazionale hanno abbandonato Castillo motivando il loro distacco con la necessità di “rispettare l’ordine costituzionale stabilito”. Mentre accadeva tutto ciò, Castillo e la famiglia avrebbero cercato di rifugiarsi nell’ambasciata messicana per richiedere asilo politico. Una fuga interrotta grazie al pronto intervento della polizia che ha preso in custodia il presidente, condannato nell’immediato a dieci giorni di carcere per “sedizione, turbativa dell’ordine pubblico e eccesso di potere”. In un discorso durato poco più di dieci minuti Dina Boluarte, prima donna presidente del Perù, ha assunto l’incarico “consapevole dell’enorme responsabilità, con la profonda convinzione che è imprescindibile riprendere il cammino della crescita economica e dell’inclusione sociale, e della riforma politica di cui il Paese ha bisogno”. “La mia prima misura – ha proseguito – sarà affrontare la corruzione in tutte le sue forme”, perché questo cancro dev’essere estirpato”. In una giornata di grande caos, dunque, il 7 dicembre 2022 l’ordine del Paese è stato sovvertito. Il giorno seguente sono iniziate a circolare una serie di voci, tra cui l’ipotesi sostenuta dal parlamentare del partito “Peru’ libre” ed ex premier del primo governo di Castillo, Guido Bellido, secondo il quale l’ormai ex Presidente “è stato vittima di un complotto mirato a farlo incorrere in una violazione della costituzione”. Secondo Bellido dietro il colpo di stato c’era dunque qualcuno che avrebbe scritto quel discorso e ne avrebbe imposto la lettura al Presidente, con l’obiettivo di farlo destituire. Ipotesi e presunte strategie tuttora da chiarire. Nel frattempo sono iniziate a montare le proteste da parte di alcune fasce della popolazione che, contrarie alla destituzione di Castillo, ne chiedevano la liberazione.
Crisi Perù – La reazione popolare antigovernativa e antiparlamentare
Le strade della capitale Lima si sono gradualmente popolate di manifestanti che sfilavano chiedendo la scarcerazione dell’ormai ex Presidente. I dimostranti hanno bloccato le strade con pietre, legna e pneumatici in fiamme chiedendo interventi da parte del Governo, in particolare le elezioni anticipate. La tensione è aumentata a tal punto da coinvolgere per diversi giorni molte aree del Paese. Migliaia di persone, fra cui studenti, aderenti a sindacati, e contadini scese in strada in Cajamarca, Arequipa, Lambayeque, Tacna, Andahuaylas, Ica, Cusco e Puno, per chiedere il rilascio di Castillo, le dimissioni di Boluarte, lo scioglimento del Parlamento e la possibilità di tornare alle urne. Altra area critica in quei giorni di grandi disordini è stata il tratto meridionale dell’autostrada panamericana, con parecchi scontri tra la polizia e i manifestanti. Il 12 dicembre una folla di circa 2.000 manifestanti ha invaso le strutture dell’aeroporto ‘Alfredo Rodríguez Ballón‘ di Arequipa. A poco è servito l’intervento del neo-Presidente Boluarte che ha offerto la possibilità di anticipare le elezioni generali dal 2026 al 2024. Dal carcere, intanto, Castillo ha fatto arrivare una lettera in cui si rivolgeva al “caro popolo peruviano grandioso e paziente” spiegando di trovarsi “nel momento più critico del mio governo, umiliato, in isolamento, maltrattato e sequestrato, ma pur in queste condizioni confortato per la fiducia e la lotta di tutti voi”.
“Vi dico – si legge nella missiva – che sono totalmente fedele al mandato popolare e costituzionale che ho ricevuto come presidente e al quale non rinuncerò, né abbandonerò le mie alte e sacre funzioni. Il popolo non deve cadere nel suo gioco sporco di nuove elezioni. Basta abusi! Subito l’Assemblea costituente! Libertà immediata!”. Un messaggio di incitamento, dunque, per dar forza al suo popolo in piazza. Il drammatico bilancio delle vittime, tuttavia, è continuato a crescere fino ad arrivare a 28 e centinaia di feriti. Per giorni diverse infrastrutture del Paese in tilt, dagli aeroporti alle stazioni ferroviarie, mentre il Governo decretava lo stato di emergenza per la durata di 60 giorni nelle zone di Apurímac, Ica e Arequipa, esteso il giorno dopo a livello nazionale (per 30 giorni). Il 13 dicembre, poi, la notizia della sentenza di rigetto della Corte Suprema del ricorso presentato da Pedro Castillo contro la carcerazione preventiva. A ciò è seguito un nuovo messaggio del Presidente incarcerato, diffuso dalla sua cella, in cui chiedeva alle forze di polizia e all’esercito di deporre le armi e al popolo di restare vigile e ottimista.
Crisi Perù – Il graduale ritorno all’ordine, in attesa di un nuovo assetto
Nella seconda metà del mese è tornata gradualmente la calma per le strade del Paese. Quanto accaduto ha mostrato che una porzione piuttosto estesa della popolazione ha percepito quanto accaduto il 7 dicembre come un “golpe” del Congresso a scapito di un Presidente democraticamente eletto. Il 16 dicembre la Corte Suprema del Perù ha deciso che Castillo resterà in carcere 18 mesi. A nulla è servito il tentato ricorso, poiché anche il 30 dicembre la Corte ha confermato la condanna all’ex Presidente, attualmente detenuto nella prigione di Barbadillo. Le istituzioni, nel frattempo, si impegnano a tenere sotto controllo il malcontento popolare. Una situazione caotica e delicata in un Paese che negli ultimi anni ha attraversato una lunga serie di ondate di proteste. Basti pensare che dal 2016 ad oggi il Perù ha cambiato sei presidenti della Repubblica in seguito a scandali di corruzione e a proteste varie della cittadinanza. Secondo alcuni esperti, però, questa volta la situazione è singolare in quanto Castillo era visto da molti come l’ultima speranza di risolvere l’annoso problema della corruzione della classe politica peruviana e di procedere verso una redistribuzione della ricchezza che favorisse una maggiore equità sociale.
Il 25% della popolazione vive in povertà assoluta, con il tasso di insicurezza alimentare più alto del Sud America e con una crisi economica galoppante dovuta, tra l’altro, al caro energia per la guerra in Ucraina. A giudicare dall’estensione di queste ultime proteste, il Perù confidava in gran parte nel programma di Castillo, un programma fondato su tre punti: cambiare la costituzione ereditata dalla dittatura di Fujimori, ridistribuire la ricchezza attraverso un piano di nazionalizzazione delle risorse minerarie del Paese e, infine, combattere la corruzione delle elites insediate nel congresso. Lo stesso congresso che negli ultimi sedici mesi si è opposto strenuamente alle proposte dell’ormai ex presidente, al punto da impedirne la realizzazione, arrivando a questa frattura definitiva. Ma quale è il perché di tale distanza tra il Presidente e l’assemblea? La ragione, sottolineano gli analisti, sta nel fatto che in Perù il Congresso non corrisponde quasi mai alla maggioranza elettorale che, invece, elegge il Presidente della Repubblica incaricato di formare il governo. Questo cavillo istituzionale, insieme ad altre contingenze esterne, ha causato negli ultimi vent’anni un susseguirsi di fasi di ingovernabilità del Paese e a pagarne le conseguenze, ancora una volta nel 2022, è il popolo peruviano che adesso è in attesa di sapere se e quando, potrà esprimere il proprio voto alle urne.