Tutto quello che c’è da sapere su uno dei linguaggi più complicati in assoluto: sfaccettature e tradizioni che rischiano di crollare
Capita spesso di porsi domande sul principio, l’origine di qualcosa o qualcuno. Capita, altrettanto spesso, di non trovare risposte complete ed universali. Ci sono domande spontanee, insite in ognuno di noi per natura, che vengono riassunte dal classico: “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”. Ce ne sono altre, invece, frutto di interessi personali, “domande personalizzate”, che variano da individuo ad individuo. La filosofia, la religione e le varie scienze tentano di rispondere a qualsiasi tipo di quesito non senza contraddizioni. Proviamo, però, a puntare la lente d’ingrandimento sul verbo “rispondere”. Rispondere significa, appunto, fornire una risposta.
La risposta è, tra i vari significati, la soddisfazione della domanda. La parola “domanda” deriva dal latino demandare, cioè richiedere. Richiedere ha, come prima definizione, chiedere di nuovo, oltre ad essere sinonimo del verbo domandare. Un albero i cui rami potrebbero non aver mai fine. Una sola parola e già c’è il rischio che giri la testa. Avremmo, dunque, la presunzione di voler conoscere l’origine della vita e dell’universo, quando anche il solo pensiero di sviscerare una singola parola ci manda in confusione?
LIS, la lingua italiana dei segni
È qui l’origine di tutto, nelle lettere, nei vocaboli e nella lingua, non intesa come organo della cavità orale, ma come un prodotto sociale, dato dall’insieme di convenzioni di vario tipo, necessario per la comunicazione. Ovviamente, può essere comunicativo tutto ciò che ha a che fare con almeno uno dei cinque sensi, ma ciò non implica che debba costituire una lingua. I requisiti fondamentali, affinché una lingua sia tale, sono il lessico, il sistema fonologico, la morfologia, la sintassi e la pragmatica.
Sulla base di ciò la LIS (lingua italiana dei segni) è a tutti gli effetti una lingua. Forse sarebbe più facile associarla ad un linguaggio, ad un metodo comunicativo alternativo. Il linguaggio del corpo è, invece, il mezzo tramite il quale viene espressa la lingua dei segni, alla pari del linguaggio verbale nel caso della lingua italiana. Si pensi che la lingua dei segni italiana, oltre a differenziarsi da quella francese o americana, presenta anche dialetti molto diversi tra loro. In una società udente dominante, che ha infinite parole, ma che tende a ripetere sempre le stesse, la comunità sorda viene sufficientemente compresa ed integrata? Sicuramente viene sottovalutata. La LIS è in grado di fare tutto ciò che fa qualsiasi altra lingua, pur senza utilizzare le parole e pur non avendo una forma scritta.
Tuttavia, numerosi sono i corsi destinati alla volontà della singola persona. L’Italia è stato l’ultimo Paese a riconoscere la lingua dei segni come lingua ufficiale, nonostante la sua storia abbia origini molto più remote. Sicuramente son stati fatti progressi, considerando che nell’antica Grecia i bambini nati sordi venivano uccisi poiché menomati. Una delle prime forme di linguaggio gestuale risale al XIII secolo d.C.: il cardinale francese Jacques de Vitry, durante una visita ad un monastero, osservò come i monaci utilizzavano le loro mani per comunicare l’uno con l’altro nel rispetto della regola del silenzio.
“Eh” e “No”, le prime parole pronunciate dall’uomo
I secoli ed i popoli avanti Cristo hanno forgiato quella che oggi è la lingua italiana. Poeti l’hanno trasformata in arte, studiosi hanno tentato di comprenderla, geni se ne sono serviti, politici ne hanno fatto un’arma. Ma sappiamo qual è stata la prima parola pronunciata dall’uomo? Si ritiene che sia stato l’Homo Habilis a pronunciare le prime sillabe. Ipotesi plausibile poiché esistono studi effettuati sui resti del cranio di questi ominidi che mostrano l’esistenza di determinate aree del cervello coinvolte nell’elaborazione e nella comprensione del linguaggio. Quasi sicuramente non erano in grado di dire “improcrastinabile”, ma riuscivano a capirsi con la semplicità di alcuni versi. Come in ogni ambito troviamo interpretazioni e spiegazioni differenti, anche lì dove ci sono fonti inequivocabili, figuriamoci quando tutto ciò che abbiamo sono semplici supposizioni.
Due genetisti spagnoli affermano che è stata “no” la prima parola pronunciata dai cuccioli di uomo per segnare il passaggio dalla fase di imitazione dei propri genitori a quella dell’apprendimento. Altri studi, invece, riportano una ricerca olandese secondo la quale, dopo aver analizzato le lingue di tutto il mondo, si è giunti alla conclusione che a raggrupparle è l’utilizzo del monosillabo “eh” oppure “uh”, in situazioni di difficile comprensione, cioè quando non si è capito cosa sia stato detto. A differenza della scrittura, la tradizione orale non è tracciabile in maniera precisa ed evidente, è dunque bene ricordare che nulla di tutto ciò è inconfutabile.
Accademia della Crusca
Ciò che può esser certa è, invece, l’evoluzione della lingua italiana: soggetta all’influenza del latino, priva di genuinità, un bacino di saperi che cresce ogni giorno. A testimoniare questa crescita, e a raccoglierne in qualche modo i frutti, è l’Accademia della Crusca, un’istituzione made in Italy fondata nei primi anni Ottanta del 1500, con lo scopo di essere un punto di riferimento per la lingua da noi utilizzata. La crusca è, infatti, lo scarto della farina setacciata, e sta ad indicare metaforicamente la pulitura dell’italiano da tutte le impurità rappresentate dall’utilizzo di forme non corrette. L’opera principale dell’Accademia è il suo vocabolario, che viene costantemente aggiornato. Le parole che noi utilizziamo quotidianamente sono giuste se presenti al suo interno. Ogni neologismo racconta, però, una storia e tutte le dinamiche sociali e culturali in cui si è sviluppata.
”Una parola nuova non entra nel vocabolario quando qualcuno la inventa, anche se è una parola bella ed utile. Perché entri in un vocabolario, infatti, bisogna che la parola nuova non sia conosciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma che la usino tante persone e che tante persone la capiscano”. È stata questa la risposta dell’Accademia ad un alunno di terza elementare che nel 2016 aveva diffuso il termine “petaloso”, portando l’Italia a credere fosse stato inserito nei dizionari. Un neologismo prima che diventi tale deve, dunque, sopravvivere al passaggio del tempo e delle generazioni. Il termine “boomer”, invece, ha avuto la sua massima affermazione tra il 2019 e il 2020, ma compariva in articoli di giornale già a partire dai primi anni Novanta. La fantasia e la creatività, pur essendo appartenenti all’intero genere umano, risultano più evidenti in età infantile. Parole e trasformazioni che un giorno potrebbero rientrare, magari per caso o per gioco, in quella che è la Bibbia della lingua italiana.