Si parla già di emergenza umanitaria, di bisogni crescenti della popolazione in fuga e di un territorio che, molto probabilmente, vedrà svanire la sua identità così come è stata rivendicata e combattuta negli ultimi trent’anni. Il Nagorno Karabakh è tornato ad essere un argomento di discussione all’interno della comunità internazionale dopo che, lo scorso 19 settembre, le forze militari dell’Azerbaijan hanno lanciato un’offensiva sul territorio che è durata circa 24 ore. Il 20 settembre è stato proclamato un cessate il fuoco, ma continua la rivalità tra i due paesi che ne contendono l’influenza politica: Armenia e Azerbaijan. Domenica 1 ottobre una delegazione delle Nazioni Unite ha raggiunto la regione, mentre tutta la popolazione di etnia armena fuggiva lasciando un territorio ormai in gran parte deserto. Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato che la squadra delle UN, appartenente alla prima missione ONU nella regione in 30 anni, “identificherà i bisogni umanitari” sia per le persone rimaste che per “quelle che si stanno spostando”.
Cosa ne sarà del sogno del Nagorno Karabakh – Il rischio di una crisi umanitaria
Al 27 settembre 2023, secondo i dati di ECHO- European Civil Protection and Humanitarian Aid Operation – circa 54mila persone risultavano fuggite dalla regione del Nagorno-Karabakh verso l’Armenia. Più di 35 mila di queste sono state attualmente registrate ma il flusso di arrivi è in costante aumento e per la maggior parte di loro i bisogni principali individuati sono l’alloggio e beni primari come acqua e cibo. Fonti interne nelle autorità armene, invece, parlano di più di 75 mila profughi su una popolazione di 120mila persone. L’Armenia finora è riuscita ad offrire meno di 3 mila alloggi e si rischia una crisi umanitaria. Cosa spinge un’intera popolazione a scappare da quella che, da sempre, ha considerato essere la sua terra? Gli armeni temono per i loro diritti e per la loro libertà. L’accordo siglato tra Armenia ed Azerbaijan appare come una vera e propria resa: l’intesa raggiunta prevede, infatti, il completo disarmo e la smobilitazione delle forze dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, nome con il quale il Nagorno Karabakh ha, di fatto, segnato la sua indipendenza dall’Azerbaijan con un referendum confermativo nel 1991.
Cosa ne sarà del sogno del Nagorno Karabakh – La fine della Repubblica dell’Artsakh
Dopo anni di sanguinosa resistenza ad una cessione di sovranità, il Nagorno-Karabakh cesserà di esistere – così come si presenta oggi da entità statuale – a partire dal prossimo 1° gennaio 2024. A seguito della sconfitta militare contro le forze armate azere, il presidente della Repubblica dell’Artsak, Samvel Shahramanyan, ha firmato un decreto con il quale si stabilisce lo scioglimento di tutte le istituzioni e organizzazioni della Repubblica – non riconosciuta a livello internazionale. La fine del Nagorno Karabakh decreta la fine del sogno indipendentista e lascia una profonda amarezza nella popolazione civile che sperava in un intervento militare di difesa da parte della confinante Armenia e/o della Russia, da sempre vicina alla causa e contraria alla rivendicazione di controllo da parte di Baku. Le forze militari di pace russe, infatti, sono schierate sul territorio dal 2020, quando ci fu uno dei conflitti più accesi della regione, durato poco più di un mese e che causò circa 7 mila vittime tra militari e civili di entrambe le parti. Da allora decine di migliaia di residenti della regione sono fuggite in Armenia attraverso il cosiddetto corridoio di Lachin, che collega il territorio armeno alle aree del Nagorno Karabakh ancora sotto il controllo dell’etnia armena ed è stata sempre, di fatto, l’unica strada per il suo rifornimento di viveri e beni di prima necessità. Dopo ben nove mesi di blocco deciso dal governo azero nel 2023, il corridoio è stato riaperto recentemente da Baku, accelerando così la fuga in massa delle persone.
Cosa ne sarà del sogno del Nagorno Karabakh – L’annosa questione del Karabakh
La complessità della questione richiede una più ampia argomentazione storica e geografica, politica e culturale. Ci troviamo nel Caucaso meridionale, in una regione senza sbocco sul mare, circondata dall’Azerbaigian e distante circa 140 km dal confine con l’Armenia. Da anni, la regione, è teatro di un conflitto silente e cronico per il controllo del territorio in questione. Con l’inizio della dissoluzione dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno Karabakh è divenuta cruciale negli equilibri e squilibri geopolitici della macroarea di riferimento. Il 30 agosto 1991 l’Azerbaigian dichiarò la sua indipendenza da Mosca e tre giorni dopo il Nagorno Karabakh si proclamò Repubblica autonoma sostenuta dall’Armenia, per via della forte presenza di armeni nel territorio. Quella data segnò l’inizio di una guerra che negli anni ha alternato fasi conflittuali dalle differenti intensità tra l’Azerbaigian e l’Armenia. La popolazione civile, in maggioranza armena e cristiana, convive con la minoranza azera e musulmana. A giocare strategicamente in ombra in questa diatriba territoriale, ci sono sempre stati la Russia e la Turchia. La prima, che sostiene l’Armenia, da anni ha cercato di ritagliarsi il ruolo di arbitro regionale, e l’Azerbaigian, in posizione di forza, ha risposto con un rafforzamento della sua alleanza energetica con la Turchia, paese con una annosa rivalità con l’Armenia che si riconduce storicamente ad una delle pagine più buie della storia: il genocidio armeno avvenuto tra il 1915 e il 1921. Dopo l’auto -proclamazione della Repubblica dell’Artsakh, mai riconosciuta a livello internazionale e che seguì ad una guerra che causò circa 30mila morti e migliaia di sfollati, si consentì ai separatisti, sostenuti da Yerevan -capitale dell’Armenia– si assumerne il controllo. Quello che accadde successivamente fu un susseguirsi di tentativi di negoziati e conciliazioni portati avanti dall’Ocse – L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – senza mai, però, raggiungere nessun risultato di pace risolutiva.
Cosa ne sarà del sogno del Nagorno Karabakh – Il controllo dell’Azerbaijan e la fuga della comunità armena
I fatti attuali raccontano una storia già nota, fatta di pretese di controllo di territori sulla pelle delle persone. Molti tra coloro che lasciano le loro case nel Karabakh lo fanno nel timore di persecuzioni da parte dell’Azerbaigian. A conferma di ciò, ci sono stati diversi arresti sommari a danno di rappresentanti istituzionali del Nagorno Karabakh come Ruben Vardanyan, un ex ministro della repubblica dell’Artsakh arrestato mentre cercava di attraversare il confine con l’Armenia, o come David Babayan, un politico locale e consigliere del presidente Shahramanyan. La rapida fuga delle persone in una sola settimana ha portato il premier armeno Nikol Pashinyan a definire l’esodo come una sorta di “pulizia etnica” e chiedendo “azioni internazionali” contro l’Azerbaijan. Le ripercussioni interne alla stabilità politica, economica e sociale armena potrebbero essere di ampia e preoccupante portata. Nonostante, infatti, il governo guidato da Pashinyan ha detto di voler accogliere “le sorelle e fratelli del Nagorno-Karabakh con tutta la cura necessaria”, allarma la condizione nella quale riversa l’Armenia stessa; un paese di circa 2,8 milioni di persone che dovrebbe ospitare fino a 120 mila profughi.
Cosa ne sarà del sogno del Nagorno Karabakh – Il non intervento della Russia e l’isolamento dell’Armenia
Il facile passo in avanti fatto dalle autorità di Baku nel far concludere l’esistenza di una repubblica indipendentista, si è compiuto anche grazie ad una inerzia diplomatica che è risultato di un’altra guerra in corso: quella in Ucraina. La decisione di Mosca, infatti, è stata quella di non intervenire a sostegno dei separatisti armeni per contrastare l’aggressione. Una decisione, questa, decisiva nell’evoluzione degli eventi a favore di Baku. Già dall’inizio del conflitto in Ucraina il dialogo e la cooperazione tra Yerevan e Mosca hanno iniziato ad irrigidirsi dopo che il premier armeno Pashinyan ha criticato l’invasione russa a danno del territorio ucraino, iniziando un graduale avvicinamento al blocco occidentale. Le prossime settimane potrebbero essere cruciali nella determinazione di una possibile crisi umanitaria e questo nonostante l’Azerbaijan continui a negare di voler attuare una pulizia etnica, dichiarando, semmai, di voler reintegrare l’etnia armena in una condivisione pacifica del Karabakh con la popolazione azera. La realtà, presente e storica, sembra però dimostrare altro; negli ultimi giorni, ad esempio, un convoglio di camion che, secondo l’Armenia, stava consegnando aiuti umanitari alla regione, è rimasto fermo non lontano dal posto di blocco azero. Solo due settimane fa il governo dell’Azerbaijan aveva ordinato la chiusura del traffico dicendo che i mezzi umanitari della Croce Rossa Internazionale, costantemente attiva nel portare aiuto umanitario nella zona, avrebbero trasportato nella regione beni di contrabbando, fra cui telefoni, sigarette e benzina. Nonostante la negazione di tale versione da parte del Comitato Internazionale della Croce Rossa, si continua ad ostacolare gli aiuti facendo temere sempre di più per la vita dei civili.