Guardare ma non toccare. L’universo femminile conferma la virilità dei boss della droga, e accresce anche la sete di potere e la convinzione di essere onnipotenti. Una volta che hai finito di comprarti le cose, inizi a comprarti le persone, a collezionare donne e uomini. Attori, attrici, cantanti, modelle e conduttrici nelle mani di psicopatici doppiogiochisti e abili burattinai, mentre incesti e Benson & Hedges intinte nella coca fanno da sfondo a crimini efferati. Eppure, senza le signore del narcotraffico, spesso rinchiuse in gabbie dorate, niente di tutto questo sarebbe possibile. Emma Coronel Aispuro è una di loro ed è il punto di partenza del libro Emma la regina del Chapo, ma anche il punto di ripartenza e di rinascita per tutte le donne intrappolate in queste dimensioni parallele. Anabel Hernández ha iniziato con il “toalla gate” passando per pratiche esoteriche messe in atto dal governo. Garantisce che ci sarà un po’ di occulto anche nel seguito di questo libro (in uscita oggi per l’Italia con Bibliotheka Edizioni, 18 euro e 352 pagine, clicca qui per acquistare il libro), ma ora tanto vale godersi questo con la consapevolezza di avere tra le mani un’opera maestra.
Anabel, hai scritto sei libri: dove collochi questo per grado di difficoltà?
È dal 2005 che faccio inchieste sul narcotraffico, ma ho pubblicato il mio primo libro solo nel 2010. Ci ho messo tantissimi anni per addentrarmi nel groviglio del cartello di Sinaloa. All’inizio, quello che vedevo era solo la superficie ma con gli anni sono riuscita a scendere sempre più in profondità, fino ad arrivare a questo livello ancora più intimo e profondo. Fonti, informazioni e documenti mi hanno dato questo spessore nella ricerca. Non ci sarei mai potuta riuscire nel 2005 o nel 2010 perché quello che si legge in Emma la regina del Chapo è il nucleo della questione. Los señores del narco è uscito nel 2010, El traidor (il diario segreto del figlio del “Mayo” Zambada) nel 2019 ma l’ho iniziato a scrivere nel 2011. Poi è arrivato quello di Emma nel 2021: è una trilogia dove ognuno è collegato all’altro. La prefazione di Roberto Scarpinato e la mia introduzione servono proprio a trovare collegamenti con gli altri due libri.
In diversi punti del libro ci sono note a fondo pagina che sottolineano che hai intervistato più volte i testimoni oculari nel corso dell’inchiesta: c’è una tecnica particolare per estrapolare tutti i dettagli?
A questo livello di giornalismo descrittivo con i dialoghi e i dettagli si arriva sempre ad un livello di narrazione che fa sembrare tutto un romanzo. Personalmente ho sottoposto tutte le mie fonti a veri e propri interrogatori, arrivando a parlarci dieci, venti o trenta volte. Per il libro che sto scrivendo ora, ad esempio, ho più di 40-50 ore di intervista che sono come un interrogatorio di un PM. Ci metto tempo anche per verificare che le versioni coincidano, anche solo quando si parla del colore del vestito di qualcuno. In più, un elemento chiave è che quando faccio queste interviste le faccio sempre in hotel, in posti dove la gente può sfogarsi, dove si crea un ambiente di confidenza e intimità e dove sanno che non verranno giudicate da parte mia. Per molti di loro si tratta di veri e propri momenti di catarsi perché chiudono l’intervista in lacrime.
Ci racconti gli ostacoli incontrati lungo il percorso?
Quando si scrivono questo tipo di libri ci sono sempre due sfide. La prima è quella dell’autenticità dei testimoni perché quando sono coinvolti in queste reti criminali, parto sempre dal beneficio del dubbio. Il Traidor, per esempio, è un caso molto affascinante perché l’avvocato del “Mayo” Zambada, il più potente del mondo, viene da me e mi consegna il diario del figlio scritto in carcere, tradendo appunto il cartello. Sapeva che sarebbe morto di tumore e mi consegna questo diario come atto espiatorio. Nonostante questo, ci ho messo tantissimo a verificare che tutto quello che era scritto fosse vero. E la stessa cosa è successa e sta accadendo con il libro di Emma: ho dovuto verificare tutte le informazioni perché alla fine tutto quello che mi interessa è solo ed esclusivamente la verità. Per questo in Messico i miei libri hanno questi livelli di vendita: sono tutti best seller perché la gente si fida di me. L’altra sfida è quella al potere. Nel caso di Genaro García Luna, ex ministro della Sicurezza ai tempi del presidente Felipe Calderón (2006-2012), già dal 2009 avevo scoperto che era coinvolto nel cartello di Sinaloa: parliamo del poliziotto più potente del Messico e il nome più vicino al presidente. Iniziai a pubblicare le testimonianze e ad elencare ricchezze che non corrispondevano certamente al livello del suo stipendio. È lui il protagonista de Los señores del narco, perché parlo proprio di come il Chapo pagava questi funzionari pubblici, motivo per cui ho subito tantissime intimidazioni: undici uomini armati hanno fatto irruzione in casa mia, mi hanno pedinata a Città del Messico, ho trovato teste mozzate di animali sulla porta di casa. Nel mentre, García Luna andava a dire in giro che era innocente e che avevo scritto delle falsità. Tre mesi fa è stato condannato a New York per narcotraffico. Arrestato nel 2019, processato e dichiarato colpevole proprio per i fatti verificatisi nel periodo da me indicato. Si sono presentati vari testimoni che dicevano che García Luna lavorava per il cartello con gli stessi identici dettagli che avevo scritto io nel 2010. Significa che il metodo di inchiesta è giusto e che l’informazione che pubblico è assolutamente verificata e veritiera. Quello di Emma, come gli altri d’altronde, è un libro che è stato scritto da una giornalista che ha lottato contro questo tipo di persone e cartelli che distruggono il Messico ogni giorno.
Hai parlato di autenticità. Emma era stanca di vivere una vita finta: chi o cosa semina verità nella sua esistenza prima di arrivare a costituirsi?
Quando l’ho conosciuta nel 2016, in quella prima intervista che mi ha concesso su Telemundo, dice tutte bugie perché il messaggio principale è semplicemente che vive una storia d’amore con il Chapo. Aveva 17 anni quando lo conosce e non aveva alternative perché altrimenti sarebbe stata rapita e violentata. Quando poi si sposa con lui, viene completamente assorbita dal cartello e partorisce le gemelle stabilendo anche un vincolo di sangue molto difficile da sciogliere. Finisce per agire come messaggera del Chapo e lo aiuta nell’evasione nel 2015. Quello che succede dopo l’intervista è che si rende conto che lei da sola è già un personaggio e non dipende più dal marito: io ho visto la trasformazione ed è stata impressionante. All’inizio era super truccata, vestita benissimo, poi ha iniziato a viaggiare per il mondo e ha iniziato a rendersi conto che aveva un potere tutto suo, trasformandosi in una sorta di influencer. Dopo l’intervista mi scriveva dicendomi che la gente la fermava per strada per chiederle una foto: è diventata una sorta di Kardashian. Poi arriva il processo del Chapo e la famiglia la obbliga ad andare e lei mi scrive su WhatsApp poche settimane prima del processo. Era l’alba e immaginavo che fosse preoccupata per il marito ma in realtà era preoccupata per se stessa. Stava diventando indipendente. E l’ultimo passo è stato il giudizio in sé dove si è resa conto che il Chapo aveva un’altra moglie, Lucero (la “chapodiputada”) con cui passava addirittura più tempo rispetto a lei. E quando emerge che lei stessa non era l’innocente che diceva di essere, tanto che quando tornava in hotel piangeva e strillava, è quello il momento in cui dice basta. Nel 2019, quando il marito viene condannato all’ergastolo, lei esce dal tribunale e i giornalisti le chiedono come si sente, al che risponde che “non è morto nessuno”. Partecipa ad una trasmissione tv e poi si consegna alla giustizia americana.
Emma è stata appena scarcerata e il suo avvocato, Mariel Colón, ha detto che nell’anno che verrà si potrà vedere la vera Emma: è così?
Può essere un fenomeno importantissimo per il crimine organizzato anche a livello mondiale. Se queste donne imparano ad essere indipendenti, i cartelli, queste cupole machiste, avranno un problema enorme. Per questo per me è importante che si conoscano le loro storie perché la gente guarda tante serie tv e legge libri, ma è sempre tutto molto divertente e superficiale mentre qui i morti sono veri e le storie di queste donne, che siano spose o concubine, non finiscono mai bene. Tutta la famiglia di Emma è in carcere e non uscirà come ha fatto lei. In questo percorso di rottura, ha perso tutto. La lezione che ci dà Emma è importante perché ha due alternative: tornerà al cartello a comandare o sceglierà di cambiare vita? Se lei riesce a costruirsi questa nuova vita, forse da imprenditrice nella moda, sarà un esempio per tante donne, comprese le italiane vincolate alla mafia o alla ndrangheta. Senza di loro, i cartelli non potrebbero sopravvivere. Per questo è importante capire queste dinamiche antropologiche e familiari. Ci sono sicuramente altri tipi di donne che entrano nei cartelli, come Alicia Machado (Miss Universo) che aveva avuto successo e non era sottomessa a nessuno. Chiaramente i soldi sono l’elemento più allettante. Soldi che scorrono come un fiume di sangue. Desaparecidos, gente torturata, decapitata…non gli importa da dove provengano quei soldi perché vogliono spenderli e vogliono essere le regine. E la stessa cosa succede in Italia e in Albania. In Messico la cosa è sicuramente più accentuata per via della cultura patriarcale, del controllo che la Chiesa Cattolica esercita sulle donne, e per il livello di impunità che vige: se in un Paese puoi comprarti il presidente o sotterrare persone vive senza finire in carcere, significa che in quel paese sei praticamente incoraggiato a fare il criminale.
Oltre alle donne come vasi comunicanti, menzioni attori e personaggi dello show biz: che ruolo hanno?
Questi re narcos hanno una corte: sposa e cortigiane, facendo a gara per vedere chi va in giro con la più bella e soprattutto la più famosa perché è come un rubino nella corona del re. Poi ci sono attori e cantanti che sono i giullari di corte: cantano, ballano, fanno film e…riciclano denaro. Come c’è scritto nel libro, quando finisci di comprarti oggetti, inizi a comprarti le persone.
Parli di “saturazione”: gioielli, abiti di lusso, soldi a palate, appartamenti, automobili. Esiste un limite al senso di onnipotenza?
Entrano in gioco due aspetti: queste persone vivono in una sorta di mondo parallelo e hanno accesso a così tanti soldi che non sanno che farci. In più siamo di fronte ad un fenomeno sociale perché è evidente questa attitudine della gente dove conta solo quello che ho, se sono bello, se mi mettono like, dove conta solo il materiale, viviamo sempre più in un mondo disumanizzato dove a vari livelli e in diversi contesti, la gente cade in queste trappole descritte nel libro: costi quel che costi voglio quella borsa di Chanel, o voglio fare quel viaggio. Questa mancanza di scrupoli è sempre più comune. Siamo di fronte ad una decadenza sociale. Questo libro descrive la conseguenza estrema di quello che può succedere a molta gente che ha intrapreso questa strada. Per questo è un libro che parla di aspetti sociologici che riguardano tutti e fenomeni che possono accadere in varie parti del mondo. Si potrebbe pensare che stiamo parlando solo di gente povera e ignorante ma nei miei libri dimostro ampiamente che non è così. In linea di massima, ci obbliga a riflettere come società.
Per catturare il Chapo hanno impiegato 25 anni, ma analogamente anche in Italia ce ne hanno messi 30 per prendere Messina Denaro: perché alle autorità serve sempre così tanto tempo?
Nessuno di questo tipo di mondi criminali può esistere senza la complicità di una parte dello Stato: è semplicemente impossibile. Non vederla così è di una ingenuità assurda. E qui come società possiamo essere tutto tranne che ingenui. Per diversi motivi del mio percorso professionale, sono sempre finita a fare indagini su queste tematiche e l’ho sempre fatto da un altro punto di vista: nel mondo esiste una sorta di apologia del delitto in tante serie tv e si parla del narcotraffico come se fosse una storia di fantascienza e non della realtà. Io ho sempre voluto dargli un altro volto e quando l’ho scritto nessuno ne parlava in questi termini. Nessuno spiegava che questa gente esisteva perché c’era un sistema corrotto alle loro spalle che gli consentiva di esistere. E quando la gente si rende conto che accanto a questi “mostri” c’è gente apparentemente normale, e che la società, se si organizza, può mandarli in carcere a prescindere dal loro status sociale, è lì che la gente si emancipa. Non puoi andare nel Triángulo Dorado, ma puoi fare una manifestazione pacifica per mandare il presidente in prigione. Anche se sembra un fenomeno incurabile non è così e ci sono tante soluzioni. Quella di Emma è una soluzione di una parte del problema e può spezzare da dentro l’organizzazione criminale.
Hai mai avuto la sensazione che dietro i narcos e lo Stato potrebbe esserci qualcun altro ancora a garantire questa protezione aggiuntiva?
Imprenditori, sacerdoti e vescovi che vanno ai battesimi, ma soprattutto governi collusi in tutto il mondo perché il cartello di Sinaloa esiste nel 60% del mondo e quindi stiamo parlando di autorità e governi di tante parti del mondo. È lì il vero mostro. La gente vede i messicani come dei selvaggi ma è un fenomeno globale. E questi cartelli esistono perché esistono i consumatori di droga. Idem con la pornografia infantile. Si potrebbe riflettere come società a livello generale. La gente che consuma droga solo per divertimento dovrebbe interrogarsi. Magari altri la consumano perché sono sotto stress, perché alla fine passa sempre il messaggio che valgo solo per quello che possiedo: c’è una corsa all’oro e si crea un circolo vizioso.
Sei sempre stata abituata a lavorare sotto pressioni enormi sin dagli esordi della tua carriera da giornalista, hai detto che “vivere in silenzio è come morire”: qual è stato il momento più duro e quale invece quello che ti ha fatto capire che era giusto che tu proseguissi su questa strada del giornalismo d’inchiesta?
Il più duro è stato sicuramente quando nel 2011 hanno iniziato ad uccidere alcuni dei miei informatori, il peggiore invece quando, nel 2013, mi sono resa conto che non potevo più vivere in Messico e sono dovuta andar via per far sì che i miei figli potessero vivere. Ci sono stati e ci sono ancora momenti di esitazione perché se faccio questo lavoro non è perché voglio fare il supereroe o desidero morire, ma mi sono sempre detta che era importante continuare. Ci sono state volte in cui mi sono detta che tutto questo non mi avrebbe portato a niente, che non avrei potuto cambiare niente. Quando nel 2019 García Luna è stato arrestato, quel giorno mi sono messa a piangere e mi sono detta che ne valeva la pena. Poi a marzo sono stata a New York e l’ho guardato in faccia e sono stata lì nell’aula di tribunale. E quando il giudice ha emesso il verdetto di colpevolezza per me è stata una catarsi, uno dei momenti più importanti della mia vita. Ho capito davvero il valore della resistenza, il valore della perseveranza, di mantenersi saldi e, come giornalista, ho capito il valore del vero giornalismo. Ero arrivata alle stesse conclusioni 13 anni prima e alla fine ne è valsa la pena. Sono uscita in lacrime dal tribunale e ho pensato che dovevo continuare perché non era finita qui: ci sono ancora tanti García Luna in Messico e nel mondo.