Come stanno i reduci di guerra

Karina viene abbracciata da sua madre nella stanza dell’ospedale pediatrico a nord di Kyiv. Entra poca luce dai finestroni, è una giornata piuttosto grigia e nonostante sia primo pomeriggio pare già sera. Ha la faccia un po’ intimorita, durante l’intervista cerca spesso lo sguardo della dottoressa che le sorride e la tranquillizza, io con il piccolo quaderno e la penna prendo delle pause perché non voglio metterle pressione. Siamo al reparto di neurologia e Karina come tanti suoi coetanei è lì perché soffre di attacchi di panico, iniziati proprio con lo scoppio della guerra in Ucraina. “Vengo da Cherniv, siamo andati subito via dalla città e da quasi un anno viviamo a Kyiv, da pochi mesi però stiamo qui in ospedale.” Ogni volta che sente le sirene dell’allarme anti aereo ha bisogno di essere portata giù nei sotterranei perché incomincia a mancarle il respiro, e ha bisogno di essere abbracciata, la sua situazione è peggiorata quando la sfortuna più nera è stata quella di vivere vicino la centrale elettrica in città colpita ad ottobre. Le esplosioni hanno fracassato le finestre dell’appartamento e lei non ha retto, ci sono voluti giorni per stabilizzarla. Durante l’intervista Karina esprime il suo desiderio di tornare nella sua vera casa, ma proprio in quel momento scoppia a piangere ed è evidente che sta incominciando ad agitarsi. Solo il pensiero di Cherniv la fa stare male, è ancora lungo il lavoro che i dottori devono fare per questa ragazzina. “Per favore, chiudiamo qui l’intervista, è meglio che torni in camera sua.” La dottoressa me lo dice come se dovesse convincermi, ma a vedere una scena del genere capisco che non c’è bisogno di altro, si spiega tutto da sé. L’importante testata scientifica “The Lancet” già a marzo del 2022 aveva lanciato l’allarme che il danno maggiore di un conflitto si vedrà a lungo termine sulla popolazione: ed è lo stress post traumatico. Centinaia di migliaia di ucraini ne soffrono a diversi livelli di gravità, in particolare i civili che sono stati coinvolti nelle zone più bombardate e i civili che hanno deciso arruolarsi nella difesa territoriale. Attacchi di panico e incubi sono i disturbi più diffusi, non a caso il governo ucraino ha vietato la vendita di alcolici per mesi quando molti erano rifugiati nelle stazioni della metropolitana. 

Come stanno i reduci di guerra
Foto di Alfredo Bosco

Come stanno i reduci di guerra – Il trauma colpisce tutti in maniera trasversale

E proprio in prossimità dell’anniversario sono tanti i giovani in città a Kyiv che mi confessano i problemi di alcolismo che hanno avuto nei primi tre mesi di guerra. “Il 99% delle persone che abbiamo consultato hanno disturbi gravi causati dal conflitto in corso”, queste le parole di Oleksii Kostiuchenkov, membro del WHO (World Health Organization). Il trauma si deposita e colpisce tutti in maniera trasversale, negli ospedali visitati, oltre a traumatologia, è proprio neurologia il reparto che sta affrontando il numero sempre più alto di pazienti. Ad est dell’Ucraina nell’ospedale di Kostjantynivka i medici di MSF (Medici Senza Frontiere) sono perplessi tra i corridoi di traumatologia. Decine di pazienti da Bakhmut feriti dalle esplosioni degli ordigni si lamentano con i dottori: “Voglio tornare a casa mia, non m’importa cosa volete dirmi, devo prendermi cura delle mie piante e del mio cane!”, queste le parole di Valentina, una signora che ha perso una mano per l’esplosione vicina di un mortaio. Le si illumina il viso quando mi parla di musica, in particolare de “La Traviata”, ma poi si incupisce di nuovo quando il medico nella camera le dice che non può ancora tornare a Bakhmut. Il medico finita la visita/intervista mi ferma nel corridoio: “Non si rende conto di cosa le è successo, è come se avesse rimosso l’idea che c’è una guerra, il cane è morto ma continua a pensare che debba tornare per dargli da mangiare.” Da tutt’altra parte del paese il trauma non è solamente nella psiche ma si manifesta sui corpi dei veterani mutilati che affrontano la sfida della riabilitazione, tra le belle colline di Sukhodil l’associazione “Dolony Dotyk” cura i soldati veterani con l’ippoterapia. Molti di loro arrivano con le famiglie o fidanzate, e nonostante il disturbo di alcuni fotografi che documentano le lezioni si concentrano ad eseguire gli esercizi a cavallo. L’ippoterapia è indirizzata per lavorare su determinate limitazioni e disabilità come i disordini neuromuscolari e la generale attività motoria, oltre a ridare fiducia nei propri mezzi ai pazienti che devono iniziare di nuovo un capitolo della vita con un nuovo corpo. I cavalli sono docili ed è impressionante vedere un ragazzo senza una gamba che sale sul dorso per tenersi in equilibrio mentre la fondatrice Natalka li osserva e attenta li corregge e l’incoraggia. I figli dei veterani giocano e guardano affascinati i loro padri come se fossero ad uno spettacolo circense. La figlia di Natalka suona lo hang, uno strumento a percussione che emette un suono molto dolce, creando un’atmosfera rilassante. Finita la giornata tutti tornano a casa, la guerra pare lontana e la strada di rientro fino a Leopoli non ha posti di blocco, solo verdi colline, alberi da frutto e vacche che pigramente pascolano lungo la strada. Lungo il tragitto Natalka mi spiega perché ritiene importante questa terapia: “Vengo da Bucha, voglio rendermi utile e credo che ora sia davvero necessario, per i soldati non deve essere una sfida, ma un nuovo modo di vedere le cose, e questi corsi sono un modo per dimostrare la mia gratitudine nei loro confronti.” 

Come stanno i reduci di guerra
Foto di Alfredo Bosco

Come stanno i reduci di guerra – “Sono stato un soldato, non conosco un’altra vita”

Più a sud di Sukhodil si trova Truskavets, città dal forte richiamo turistico per le sue saune. D’estate moltissimi ungheresi ed ucraini vanno a farsi il bagno nei vari laghi dell’area e d’inverno invece sfruttano le temperature fredde per poi godersi la sauna della struttura. Tra anziani che si godono i piatti forti locali e brindisi per scongiurare il freddo, sono molti i soldati che si trovano per strada, tanti di loro mutilati e arrivati da poco dal fronte del Donbass. Nella struttura ospedaliera parlo con Viktor, un soldato che sta ottenendo la sua nuova protesi al braccio: “Io voglio tornare ad essere utile per l’esercito. Non posso più combattere, ma ci sarà un modo per essere ancora d’aiuto, magari con la mia esperienza posso insegnare ai cadetti […] Senza un braccio cosa posso fare? Io sono stato un soldato, non conosco un’altra vita, adesso sono ancora coperto dalle spese ma se non mi reintegrano non so quale possa essere il mio futuro.” La sua preoccupazione è lecita, come tanti la guerra partorisce veterani, una generazione di uomini e donne che dovranno di nuovo essere capaci di vivere una vita da civili. Il programma del Ministero dei Veterani però è nebuloso, non si conosce ancora quanto il governo ucraino sia riuscito a stanziare per i programmi di riabilitazione di queste persone. Sul loro sito solo dichiarazioni generali di sviluppo del programma e di un aiuto di esperti dalla Croazia, paese che conosce bene il lascito di una guerra. Sono circa trenta i soldati invalidi nell’ospedale cittadino di Truskavets che sono in terapia. Chi deve imparare ad usare la sua nuova protesi, chi ancora deve accettare il suo nuovo corpo. Vengono quasi tutti dalle linee più calde: Donbass, Kherson e la regione di Zaporizjia. Essere vivi conta, ma adesso quale è il loro futuro? Nella sala principale di fisioterapia molti di loro si allenano alla sbarra e tentano di imparare a convivere con le nuove protesi. Mentre scatto con la macchina fotografica, non posso non pensare al meraviglioso saggio di Jean- Lunc NancyL’Intruso”, dove il filosofo affronta il tema della sua operazione che lo ha portato ad avere un cuore nuovo che il corpo però rigetterà. Nel saggio l’autore si domanda chi è l’intruso, il suo cuore vecchio, quello nuovo, oppure è lui stesso ad essere l’intruso del suo essere. Tutto diventa estraneo: dai farmaci alle mani degli interventi di persone esterne. E in questa confusa nuova vita bisogna essere forti e capaci di riviverla, nonostante il mondo fuori ha ancora un cielo dove riecheggia l’allarme anti aereo. 

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Amen

La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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