Chi era Benedetto XVI, intervista a Zavattaro

“Con dolore informo che il Papa Emerito, Benedetto XVI, è deceduto oggi alle ore 9:34 (31 dicembre 2022, ndr), nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano”. Poche righe diffuse dalla Sala Stampa vaticana che immediatamente fanno il giro del mondo. Benedetto XVI è morto. Messaggi e testimonianze di cordoglio arrivano da ogni continente, migliaia i fedeli che si mettono in viaggio per raggiungere San Pietro. Iniziava così la lunga settimana dell’addio al Papa teologo. A distanza di un mese dalla scomparsa di Ratzinger, il Millimetro intervista il vaticanista Fabio Zavattaro, il giornalista italiano più a contatto con la Santa Sede durante il periodo dell’agonia e della morte di Papa Giovanni Paolo II, così come per il conclave successivo, quello che ha visto l’elezione del Cardinale Joseph Ratzinger. Zavattaro ha sempre seguito Benedetto XVI nei suoi viaggi e non solo. È anche autore e regista di molti documentari, tra i quali Benedictus XVI. Papa Joseph Ratzinger. Un’intervista fatta di aneddoti, riflessioni e curiosità per capire meglio chi era Benedetto XVI, Sommo Pontefice della Chiesa cattolica, 264esimo successore dell’Apostolo Pietro, ma per tutti “il Papa della rinuncia”.

Chi era Benedetto XVI, intervista a Zavattaro

Nei suoi quasi otto anni sul soglio di Pietro, dall’elezione del 19 aprile 2005 alla storica e scenografica partenza in elicottero per Castel Gandolfo la sera del 28 febbraio del 2013, Benedetto è stato un Papa molto amato, ma anche molto odiato e frainteso. Perché?

“Per diversi motivi. Il primo è legato al fatto che Benedetto è stato eletto dopo Giovanni Paolo II. Ha dovuto quindi affrontare un’eredità molto pesante, quella di un Pontefice che ha regnato per 27 anni. Non ha giocato a suo vantaggio neanche l’essere stato sostituito da Francesco che è visto con grande favore anche dai non credenti. Ratzinger era un professore teologo poi divenuto Papa che era già stato criticato quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per via di alcune sue scelte, veniva visto come il custode dell’ortodossia, quindi l’uomo dei no. Ci sono state poi sue decisioni che hanno pesato negativamente nella percezione dell’opinione pubblica. Penso alla remissione – da parte sua – della scomunica al vescovo Richard Williamson ed agli altri tre vescovi scismatici della Fraternità Sacerdotale San Pio X. La polemica è sorta soprattutto per via della posizione negazionista della Shoah espressa da Williamson e la tempistica sulla remissione. Oppure alla scelta di celebrare la messa in latino che in qualche modo aveva aperto una prospettiva per le comunità tradizionalista. Ha influito anche una sua affermazione in occasione della lectio magistralis tenuta all’Università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera. Cito una frase dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa: ‘Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava’.  Una frase che provocò nel mondo islamico violente reazioni. In realtà quell’intervento fu male interpretato da alcuni media. Un incidente di percorso che ha giocato negativamente nel rapporto tra il Papa e la percezione del suo magistero nell’ opinione pubblica. Si può dire che proprio la profondità teologica di Benedetto e il suo sguardo in una prospettiva molto più ampia non è stato ben compreso dall’opinione pubblica e forse nemmeno ben comunicato”.

Ratzinger e la comunicazione quindi. Hai anche detto che “Benedetto XVI, rispetto a Francesco, dava meno occasioni per raccontare. In che senso? 

“Era anche più difficile da interpretare: Ratzinger usava citazioni e frasi complesse che non venivano percepite immediatamente. In questo Francesco è molto più comunicativo di Benedetto. Una differenza legata alle loro origini, vengono da contesti diversi: Bergoglio è stato vescovo in una realtà povera e Ratzinger è sempre stato il Papa teologo che arrivava dalla Germania. Ricordo l’ultimo discorso che Benedetto fece ai preti romani, pochi giorni prima di lasciare il Vaticano per Castel Gandolfo. Rivolgendosi ai sacerdoti disse ‘non ho potuto preparare un discorso completo e preciso come avrei voluto e quindi dirò poche cose’. Quelle ‘poche cose’ in realtà furono 45 minuti di citazioni a memoria di documenti conciliari e di posizioni di teologici. Un aneddoto per ribadire come alcuni suoi interventi potessero essere considerati importanti e da approfondire per gli addetti ai lavori, ma molto meno chiari per il popolo”.

Non a caso suoi detrattori hanno creato intorno a lui il mito di un uomo difficile, freddo, irraggiungibile. Di Ratzinger Papa si è detto: “Non ha saputo governare”. Che ne pensi?

“È opportuno sottolineare che il governo della chiesa – in realtà – non è fatto solo dal Papa, ma anche dalle persone che collaborano con lui. Benedetto è stato il Pontefice che ha guardato più all’aspetto teologico che a quello di governo. E forse questo non ha giocato a suo favore. Tornando alla vicenda di Williamson, dopo le polemiche, Benedetto chiese pubblicamente scusa per non aver consultato internet perché se lo avesse fatto, probabilmente, non sarebbe caduto nell’errore di togliere la scomunica al vescovo tradizionalista. Un’affermazione che fa capire come la curia avrebbe dovuto in qualche modo sostenere e aiutare le scelte del Papa, ma forse in quel momento (e non solo) era ‘distratta’”.

Tu spesso hai detto che Ratzinger “ha cambiato la percezione della vita della chiesa”. Perché? 

“Perché è stato il primo Pontefice ad intervenire sullo scandalo della pedofilia nella Chiesa. In tutti i suoi viaggi ha sempre voluto incontrare le vittime degli abusi sessuali. Nel 2005, la sera del venerdì santo, nelle riflessioni alla Via Crucis, affrontando proprio questo tema parlò di ‘sporcizia nella chiesa’. Altra scelta importante è stata quella di modificare alcune norme relative all’Istituto per le Opere di Religione (Ior), cioè l’istituto finanziario della Città del Vaticano. Ratzinger stabilì che la banca vaticana si doveva attenere alle norme europee sulla trasparenza. In molti guardano ai cambiamenti in tema di pedofilia e Ior pensando a Francesco, ma quasi nessuno riflette sul fatto che sono due aspetti che hanno avuto inizio grazie a Benedetto. Quella percezione di una novità con il Papa arrivato dall’America latina va letta nella continuità con il suo predecessore. Qui si torna sempre alla questione dell’opinione pubblica e della comunicazione.

Chi era Benedetto XVI, intervista a Zavattaro

Però è ricordato soprattutto per la sua rinuncia al pontificato. Mi spieghi il significato di quel gesto? Secondo te è stata una scelta che ha segnato e continuerà a segnare le prossime epoche della Chiesa?

Per quanto il codice di diritto canonico preveda la possibilità che un Pontefice rinunci alla carica, quello di Benedetto XVI è stato un gesto davvero rivoluzionario e di grande umiltà. Un gesto al quale alcuni suoi predecessori avevano pensato senza poi dar seguito alla cosa. Mi riferisco a Pio XII, che alla fine non rinunciò alla carica perché in quel periodo Roma era occupata dai tedeschi e il pericolo di un successivo rapimento da parte degli occupanti sarebbe stato molto alto. Alla rinuncia aveva pensato anche Paolo VI, come abbiamo appreso recentemente da un suo documento. Rinuncia che invece fece Celestino V, la sua e quella di Benedetto sono in qualche modo legate per via di un episodio risalente al 2009. Circa 20 giorni dopo il terremoto dell’Aquila, Ratzinger andò a visitare la Basilica di Collemaggio, distrutta appunto dal sisma. Accolto dal Rettore don Nunzio Spinelli, il Papa entrò in Basilica attraverso la porta santa e venerò l’urna di Papa Celestino V, deponendovi come omaggio il Pallio che gli era stato imposto nella celebrazione di inizio del Pontificato, cioè la stola bianca che aveva indossato il giorno della sua elezione. Non possiamo dire che questo fosse già un segnale, però ci fa capire che questa rinuncia trova spazio nella riflessione di Benedetto XVI. Altro episodio significativo è il viaggio in Messico del 2012. Un viaggio difficile per le sue condizioni di salute che gli impedirono di andare nella Basilica di Santa Maria di Guadalupe per venerare la Vergine. Lui stesso, quell’11 febbraio del 2013, parlando ai cardinali spiegherà che le sue condizioni fisiche e l’incapacità di portare a termine i compiti lo hanno convinto a fare la rinuncia. Una decisione che – prima dell’ufficialità comunicò a pochissime persone. Tra queste l’allora Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. I due si incontrarono i primissimi giorni di febbraio e in quella occasione Benedetto XVI gli parlò della sua scelta.

Prima hai citato quello in Messico. Ma qual è stato il viaggio apostolico che hai vissuto con lui che ti è rimasto nel cuore?

In Polonia, al campo di concentramento di Auschwitz. Era il 2006. Due le immagini che mi porto dentro. La prima è quella di Benedetto XVI che davanti alle lapidi in ricordo dei morti in quel campo disse: ‘Non potevo non venire qui come uomo, come Papa e come figlio della Germania”. Un discorso che commosse i sopravvissuti e anche noi che seguivamo e commentavamo la sua visita. La seconda è l’arcobaleno che apparve sopra al campo di Birkenau proprio al termine del discorso pronunciato da Benedetto.

Tu hai avuto la fortuna di conoscerlo. Che ricordo personale hai di lui? 

La sua capacità di farti sentire uno di casa. Lo incontravo spesso a Borgo Pio, passeggiava indossando il suo immancabile basco nero. Cercava sempre di guardarti prima di fermarsi per un saluto, quasi a non voler disturbare. Da qui si capisce la sua discrezione, la sua umiltà. Un altro ricordo molto bello è la prima vacanza a Les Combes, in Val d’Aosta, pochi mesi dopo l’elezione. Passeggiando per il piccolo borgo montanaro mi ha individuato tra la gente che voleva salutarlo ed è venuto a scambiare due parole con questo semplice cronista chiamato a raccontare la prima vacanza di Benedetto XVI. Io, quando c’è la folla di gente vicino al Pontefice, mi metto in disparte per non disturbare. In quella occasione, invece, è stato lui a riconoscermi e a voler venire da me. Anche questo è un segno dell’attenzione che aveva per chi lo seguiva come giornalista e non solo.

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La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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