Che ne pensa Mariangela Pira di IA e ChatGPT

Le statistiche di una partita di Nba che diventano articoli senza che il giornalista abbia seguito il match. Un robot che riconosce le notizie più urgenti e le presenta con perfetti tempi televisivi sul piccolo schermo. Non è fantascienza, ma quello che accade quotidianamente nelle redazioni dell’Associated Press, nel primo caso, e della Xinhua, nel secondo. Due agenzie di stampa, una americana, l’altra cinese, pioniere del più inedito utilizzo dei mezzi di comunicazione: integrato, sinergico, “intelligente”. Che l’intelligenza artificiale (IA) riempia le prime pagine dei giornali di tutto il mondo è ormai un fatto, ma che sia lei stessa a comporle è cosa meno scontata. E di certo farà storcere qualche naso. Ma se all’estero colossi come Forbes, Washington Post, New York Times, Bloomberg e Wall Street Journal utilizzano algoritmi e piattaforme come fossero un calamaio e un taccuino qualunque, in Italia – e in generale in Europa – la rivoluzione delle macchine (da scrivere) arranca, tra blocchi forzati e borbottii vari. A segnare la strada anche da noi, ancora una volta, un’agenzia di stampa: durante la pandemia, l’Ansa è ricorsa a un sistema che automatizzava il processo di lettura e analisi della miriade di dati provenienti dalla Protezione civile, consentendo ai redattori di lavorare su informazioni organizzate, guadagnando così tempo. Niente più che una cometa, però: il passaggio dell’IA nelle redazioni nostrane è lento, lentissimo. Ma forse inesorabile. Per questo il viaggio de il Millimetro nel mondo del giornalismo e dell’intelligenza artificiale continua. Dopo la radio e la carta stampata, è il momento della tv: come impatteranno gli algoritmi sul giornalismo televisivo? Lo abbiamo chiesto a Mariangela Pira, anchor economico-finanziaria di punta di Sky TG24.

Che ne pensa Mariangela Pira di IA e ChatGPT

Sei una delle giornaliste più amate della all-news più seguita d’Italia. Come credi che impatterà l’intelligenza artificiale sul tuo lavoro e, in generale, sul giornalismo televisivo?

«Di certo va conosciuta meglio. La domanda che mi faccio è: perché rilasciarla ora? In poco tempo l’impatto è stato maggiore di quello che social network come Facebook o Twitter hanno avuto in anni. Però faccio una riflessione: nel film Will Hunting Genio Ribelle, Will è un genio. Sa tutto. Ma Robin Williams, psicologo che lo segue, a un certo punto gli dice: puoi sapere a memoria cosa sia la Cappella Sistina, ma se non ci sei stato non ne conoscerai mai l’odore, la sensazione di guardare in alto. Ecco, io credo sia così. Il quid in più che può mettere una nostra sensazione, un nostro vissuto, una cosa di cui solo noi sappiamo Chat GPT et similia non potranno metterlo».

Come impatta uno strumento come ChatGPT sul lavoro di un giornalista? Nel medio-lungo periodo, con i progressi sempre più evidenti dell’intelligenza artificiale, strumenti simili non rischiano di “rubare” il lavoro ai redattori?

«Vale quanto ho detto sopra. Certo, non sappiamo cosa sarà nel futuro, visto ciò che tool simili già sanno fare oggi. Sai, quasi il 3% del PIL americano è prodotto da chi scrive sceneggiature, testi per la tv, persone che operano nel cinema e nella televisione. Gran parte di quel lavoro, quello meccanico, automatico, potrà essere sostituito. Se però oggi provi a scrivere “La divina commedia di Leopardi”, il software non ti dice che l’ha scritta Dante. Andrà perfezionato. Credo che il futuro ci riserverà sorprese. Non per forza belle».

C’è il rischio che il giornalista diventi una specie di “capo macchine” in una catena di montaggio, dove a scrivere l’articolo è l’intelligenza artificiale sulla base degli input forniti dal redattore il quale, alla fine, controllerà il risultato?

«Spero di no. Per alcuni lavori, però, ci sarà il rischio. Ripeto, sul fronte della creatività, flessibilità, capacità di fare il passetto in più io dubito ci possano sostituire. Sono, peraltro, software ideati da noi: la cosa grave è che possono anche essere creati da persone con bias importanti. In quel caso riprodurrebbero fedelmente quei bias. Non è proprio un risultato ideale da raggiungere».

C’è ancora spazio per la creatività del giornalista? Ma poi, è davvero necessaria la creatività o contano solo i fatti?

«Non è tanto la creatività ma il tuo vissuto, quello che puoi aggiungere. Prendo il mio caso o quello di altri divulgatori: una macchina potrà convincermi a vedere quel quadro? L’espressività dove sarà? Sono un po’ scettica. Pensa anche a una partita di pallone e a quanto sbaglia il Var».

Rispetto ai progressi sempre più rapidi della tecnologia e dell’IA che, come visto, impattano e impatteranno sempre più anche sul tuo lavoro quotidiano, come ti poni?

«Io sono rinfrancata dal fatto che di cambiamenti ce ne sono stati tanti ma che il racconto del nostro passato resiste. Ha resistito quando c’era solo la forma orale. Ha resistito quando ci sono state le prime tecnologie e quelle più avanzate. Il racconto resisterà anche a questo».

In definitiva, secondo te l’intelligenza artificiale applicata al giornalismo produrrà più vantaggi o svantaggi?

«Alcuni svantaggi: eliminerà molte professioni, non abbiamo idea di quante. Leggevo che a oggi non sono neanche noti i posti di lavoro che ci saranno tra dieci anni. Ma creerà anche vantaggi, nel senso che questi strumenti permetteranno una ricerca rapida di fonti (che poi vanno sempre verificate!). Per come è ora, mi affido all’intelligenza dell’uomo, che spero mantenga una propria indipendenza. Più dell’intelligenza artificiale temo la stupidità umana».

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