(Adnkronos) – Nelle donne con tumore della mammella metastatico l’impiego di abemaciclib, inibitore di Cdk4/6, in combinazione con la terapia ormonale in prima linea ha registrato una sopravvivenza globale mediana di più di 5,5 anni. Sono i risultati dello studio clinico Monorch 3, discussi in una presentazione late-breaking al San Antonio Breast Cancer Symposium (Sabcs) 2023 in corso negli Stati Uniti. Lo studio – spiega in una nota la farmaceutica Lilly – ha valutato abemaciclib, in combinazione con un inibitore dell’aromatasi (Ai) rispetto a solo quest’ultimo come terapia endocrina iniziale, nelle pazienti in post-menopausa con tumore del seno avanzato o metastatico positivo al recettore ormonale (Hr+), negativo al recettore del fattore di crescita umano epidermico di tipo 2 (Her2-). Al follow-up di 8 anni le donne trattate con abemaciclib avevano una sopravvivenza globale mediana di più di 5,5 anni – un incremento di 13,1 mesi rispetto al braccio di controllo nella popolazione intent-to-treat (Itt) (66,8 rispetto a 53,7 mesi), sebbene la significatività statistica del risultato non sia stata raggiunta. Nelle donne con metastasi localizzate a livello viscerale – con tumore diffuso a fegato o polmoni – i dati hanno mostrato una sopravvivenza globale mediana di più di 5 anni, con un aumento di 14,9 mesi nel braccio abemaciclib rispetto al braccio di controllo (63,7 rispetto a 48,8 mesi). Le pazienti con malattia viscerale presentano un rischio maggiore di progressione di malattia e morte rispetto alle pazienti senza metastasi viscerale. Anche in questa popolazione i risultati non erano statisticamente significativi. “Al follow-up a 8 anni – osserva Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore Clinica di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova – quando la storia naturale del carcinoma mammario metastatico inizia ad avere un impatto sostanziale sulla sopravvivenza delle pazienti, è molto incoraggiante vedere che abemaciclib in combinazione con un inibitore dell’aromatasi ha prodotto una differenza di sopravvivenza di 13 mesi nella popolazione Itt e di oltre 14 mesi nelle donne a rischio ancora più elevato a causa della malattia viscerale. Nonostante la mancanza di significatività statistica, questi dati sono clinicamente rilevanti e altamente coerenti con l’insieme delle evidenze relative ad abemaciclib nel carcinoma mammario avanzato o metastatico”. Il beneficio in sopravvivenza mediana libera da progressione (Pfs), endpoint primario dello studio Monarch 3, è stato mantenuto (29,0 vs 14,8 mesi), con una differenza sostanziale nei tassi a 6 anni (23,3% nel braccio abemaciclib vs 4,3% nel braccio di controllo). La significatività statistica della Pfs è stata raggiunta all’analisi ad interim del 2017, che ha portato nel 2018 alle approvazioni regolatorie per questa indicazione. Non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza nell’utilizzo a lungo termine. “Questi dati – spiega Michelino De Laurentiis, direttore del dipartimento di Oncologia senologica e Toraco-Polmonare, Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli – supportano ulteriormente il ruolo di abemaciclib nella sopravvivenza delle donne con carcinoma mammario metastatico HR+, HER2-. Una mediana di sopravvivenza di 5,5 anni significa che metà delle donne vive più di 5 anni e mezzo. Gli inibitori di Cdk4/6, inoltre, permettono di evitare il ricorso alla chemioterapia in prima linea o di posticiparla, con grandi vantaggi in termini di qualità di vita e di minori tossicità”. “In Italia vivono circa 52mila persone con tumore della mammella metastatico, un numero in costante aumento – sottolinea Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione Associazione italiana medicina oncologica (Aiom) – Queste pazienti devono essere prese in carico da un team multidisciplinare, cioè dai centri di senologia, in grado di intercettare e soddisfare il loro bisogno di cura globale e duraturo. Queste pazienti sviluppano spesso resistenza alle terapie ormonali attualmente disponibili per la malattia avanzata e vanno incontro a progressione del tumore. Da qui la necessità di trattamenti ancora più efficaci. I dati dello studio Monarch 3 evidenziano come la combinazione di abemaciclib con la terapia ormonale sia in grado controllare la malattia a lungo termine”. Al Sabcs saranno inoltre presentati, in una discussione poster nella sezione spotlight, i risultati aggiornati dello studio Ember di imlunestrant in monoterapia e in combinazione con abemaciclib, con o senza un AI, nelle pazienti con carcinoma mammario avanzato positive al recettore degli estrogeni (HR+), HER2- . Al follow-up prolungato di 5,5 mesi dall’ultima divulgazione, imlunestrant più abemaciclib con o senza un inibitore dell’aromatasi ha dimostrato un tasso di risposta oggettiva del 62% e 32%, rispettivamente, e un tasso di beneficio clinico del 79% e 71%, rispettivamente. Questo rappresenta la percentuale di pazienti con tumore avanzato o metastatico che hanno raggiunto risposta completa, parziale e malattia stabile e prolungata per 24 settimane e oltre. I più comuni eventi avversi derivanti dalla terapia nei pazienti trattati con imlunestrant più abemaciclib erano diarrea, nausea, fatigue, e neutropenia. Non sono stati osservati segnali di sicurezza relativi a tossicità oculare o cardiaca. Gli effetti secondari di imlunestrant – conclude la nota – erano generalmente di basso grado e sono state effettuate poche riduzioni del dosaggio o interruzioni di imlunestrant. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
- il Millimetro diventa una casa editrice di giornalismo d’inchiesta. Cari lettori, dobbiamo darvi una grande notizia che ci stiamo tenendo ormai da troppo tempo. Si tratta di un’evoluzione elettrizzante in un percorso intrapreso quasi tre anni fa, tra lo scetticismo generale e i troppi dubbi che affiorano ogni qualvolta si pensa a un progetto simile. Eppure, con il passare