Nella torrida cittadina di Sparta, nello stato del Mississippi, viene rinvenuto – dal vicesceriffo di turno – il cadavere di un ingegnere, che risiedeva temporaneamente in città per lavorare alla creazione di una fabbrica. È stato derubato e la polizia si mette a perlustrare gli eventuali luoghi dove poter individuare il colpevole. Un uomo di colore che sta aspettando il suo treno alla stazione locale è brutalmente arrestato: il colore della sua pelle è già un primo elemento sospetto in questo piccolo paese dove il razzismo è uno stile di vita. Condotto nell’ufficio dello sceriffo Gillespie (Rod Steiger), l’uomo si presenta: è un poliziotto di Filadelfia, l’ispettore Virgil Tibbs (Sidney Poitier), che è anche il miglior specialista in omicidi nel suo Dipartimento. Costretto a metterlo in libertà, lo sceriffo gli chiede comunque aiuto per le indagini. Tibbs, logicamente contrariato, rifiuta ma il suo capo gli ordina telefonicamente di mettere al servizio della polizia di Sparta la sua esperienza. Inizia così una complicata e pericolosa indagine per il poliziotto nero, bersaglio di attacchi e beffe, che deve affrontare una popolazione ostile per svolgere le sue indagini.
«Mi chiamano Mr. Tibbs!»: questa frase, pronunciata come uno sparo, è rimasta famosa nella storia del cinema in quel 1967, quando apparve La calda notte dell’ispettore Tibbs/In the Heat of the Night
Nonostante il coraggio mostrato da Rosa Parks nel rifiutarsi di cedere il suo posto a un uomo bianco su un autobus, ci sono voluti quasi dieci anni prima che la segregazione razziale negli Stati Uniti fosse completamente abolita! Quando Norman Jewison iniziò a girare l’omonimo romanzo di John Ball, solo due anni dopo il Civil Rights Act del 1964, le mentalità locali non erano ancora cambiate. «Mi chiamano Mr. Tibbs!»: questa frase, pronunciata come uno sparo, è rimasta famosa nella storia del cinema in quel 1967, quando apparve La calda notte dell’ispettore Tibbs/In the Heat of the Night. È pronunciata da un uomo che si trova nel sud razzista degli Stati Uniti per visitare sua madre e che viene sequestrato dalla polizia come sospettato di omicidio semplicemente perché la sua carnagione è scura. Stanco di essere trattato in modo odioso e condiscendente, e di essere continuamente chiamato «Ragazzo», afferma con rabbia il suo diritto ad essere trattato con dignità e rispetto, come individuo con una propria identità e non come un essere anonimo di razza presumibilmente inferiore. Poco dopo i moti della popolazione nera, che portarono all’adozione di una nuova legge sui diritti civili che aboliva la segregazione, ecco che arriva sugli schermi, in un contesto ancora difficile e doloroso, un’opera ambiziosa che prende di petto la società americana.
Distribuito dalla United Artists, In the Heat of the Night è prodotto da Walter Mirisch – all’interno della Mirisch Corporation -, il famoso produttore di grandi nomi come Billy Wilder, Blake Edwards, Robert Wise e John Sturges: un uomo d’affari scaltro, orgoglioso della sua indipendenza all’interno del meccanismo di Hollywood, spesso capace di dare mano libera ai registi che ha ingaggiato. Condizione che accadde anche a Norman Jewison, fino ad allora regista di garbate commediole (ma reduce dal grande successo di Cincinnati Kid con Steve McQueen), di emergere in film più impegnativi come Arrivano i russi, arrivano i russi, Il caso Thomas Crown e appunto questo dramma razziale. A partire da In the Heat of the Night, Norman Jewison farà il salto nel cinema impegnato, spesso assimilato all’opera del più grande Sidney Lumet, entrambi accomunati dalla volontà di mettere in discussione le istituzioni del proprio Paese e di enfatizzare i difetti e gli eccessi autoritari della società americana. Jesus Christ Superstar, Rollerball , F.I.S.T., …e giustizia per tutti, Storia di un soldato, Agnese di Dio, I soldi degli altri sono esempi di film che testimoniano il suo impegno; e se in ciascuno di essi possiamo trovare grandi pregi, oltre che alcuni difetti (un po’ troppa applicazione didattica, Lumet è più originale e sottile), è indiscutibile l’intelligenza e l’integrità delle proposte.
Il 1967 coincide con l’exploit della “New Hollywood” – Gangster Story/Bonnie and Clyde e Easy Rider, per intenderci – e La calda notte dell’ispettore Tibbs a prima vista può apparire semplicemente buono sul piano formale e poco audace
Il 1967 coincide con l’exploit della “New Hollywood” – Gangster Story/Bonnie and Clyde e Easy Rider, per intenderci – e La calda notte dell’ispettore Tibbs a prima vista può apparire semplicemente buono sul piano formale e poco audace sul versante di un soggetto (in fondo, un pulp scritto da John Ball) che altrimenti avrebbe potuto essere ben più coraggioso. Ma il “giallo” non è banale, concede poco spazio alla retorica e utilizza dialoghi brevi, sgargianti e concisi. Una costruzione di frasi secche, scarne, che tengono il lettore con il fiato sospeso tra un capitolo e l’altro. Il romanzo descrive con minuzia di particolari, vera novità per l’epoca, le tecniche investigative della polizia, con nozioni di medicina legale, di diritto, di anatomia. Ball dimostra di saper usare “i ferri del mestiere” costruendo una struttura destinata a durare nel tempo.
La prima caratteristica del film è di aver saputo perfettamente ricreare l’atmosfera appiccicosa dei paesini del sud affogati nel loro conservatorismo sfrenato descritti nel romanzo
La storia e la messa in scena obbediscono quindi perfettamente ai codici ultra-classici del genere. Come indica il titolo, per una volta fedele all’originale nella traduzione, la prima caratteristica del film è di aver saputo perfettamente ricreare l’atmosfera appiccicosa dei paesini del sud affogati nel loro conservatorismo sfrenato descritti nel romanzo. Aprendo il suo film con scene notturne, Norman Jewison accentua il disagio trasformando i vicoli in zone di illegalità dove ognuno si fa giustizia da solo, bloccato in una stupidità grossolana che lascia il posto a ogni stigmatizzazione. E non si deve dimenticare, tanto per fare una puntualizzazione, che il film fu girato in Illinois, proprio per garantire la sicurezza al cast di colore. E allora, lo schiaffo che Virgil Tibbs restituisce all’arrogante e razzista coltivatore di cotone assume una valenza inusitata, impensabile sino ad allora dove, semmai, il “nigger” prevaricato poteva assumere la tonalità piagnucolosa di Brock Peters ne Il buio oltre la siepe. Qui Sidney Poitier alza la testa e reagisce. E, non a caso, il sindaco dirà allo sceriffo Gillespie: «Non sei più quello di una volta. Un tempo lo avresti ucciso all’istante». Nel concreto, Stirling Silliphant (futuro sceneggiatore de L’inferno di cristallo) scrive un copione a prova di orologeria che sarà reso da Jewison cinematograficamente con la scelta di adottare un ritmo lento – con l’aiuto del suo amico montatore e futuro regista Hal Ashby – che dà densità al film all’interno di una costante sensazione di pericolo incombente per il suo eroe. Il copione è la vera forza di In the Heat of the Night, scritto alla perfezione ed efficace nella trattazione del plot.
L’originalità della trama in sé è meno importante della capacità di creare un contesto di tensione permanente in cui ciascuno dei personaggi fa la sua parte, con una ricca caratterizzazione a livello sociale e psicologico. Silliphant costruisce un dialogo che assolve contemporaneamente a più funzioni: fa progredire la storia (Tibbs decide di tornare sui suoi passi per cercare di risolvere il caso), approfondisce i personaggi (apprendiamo qualcosa della vita di Tibbs), e infine sorprende nello sviluppo. Si potrebbero fare innumerevoli esempi. Il ragionamento di Gillespie che cerca di convincerlo a rimanere con argomentazioni “sociali” inaspettatamente non fa breccia in Tibbs, si comprenderà che la sua vera motivazione è dimostrare ai bianchi quanto sono fessi. Quando Gillespie sbotta con una delle sue frasi odiose («Come mi piacerebbe prenderti a frustate») l’esito è inaspettato: Tibbs si mette a ridere, perché associa la minaccia alle punizioni che gli infliggeva suo padre da ragazzo, senza minimamente cogliere la sfumatura razzista.
Un film mai manicheo, capace di descrivere anche Tibbs preda di fortissimi pregiudizi come risposta all’odio di cui è vittima, come quando cerca di incriminare il già citato ricco notabile che puzza di razzismo e di schiavitù
Un film mai manicheo, capace di descrivere anche Tibbs preda di fortissimi pregiudizi come risposta all’odio di cui è vittima, come quando cerca di incriminare il già citato ricco notabile che puzza di razzismo e di schiavitù. Di contro, lo sceriffo Gillespie progredirà gradualmente nella direzione opposta e si avvicinerà al poliziotto nero, ammirato di fronte alla sua intelligenza, sagacia e coraggio. Una sceneggiatura scritta meticolosamente, che dà origine a una serie di scene esemplari che non contengono nessuno dei passaggi obbligati che spesso appesantiscono i “film a tema”, un equilibrio quasi perfetto tra il “Whodunit” e la dimensione chiaramente militante del soggetto, senza che mai la didattica prenda il sopravvento (a differenza, per esempio, di Indovina chi viene a cena?). L’altro grande pregio di In the heat of the night è naturalmente dovuto all’interpretazione complessiva, magistrale. Fra tutti i due protagonisti: Sidney Poitier e Rod Steiger. Poitier si era specializzato fin da giovanissimo nel ruolo di vittima del razzismo (al punto da essere accusato da alcuni membri della comunità afroamericana di svolgere l’utile ruolo del “simpatico nero”), dopo il suo esordio in Uomo bianco, tu vivrai! (1950) di Joseph L.Mankiewicz. Con film come Il seme della violenza (1955) di Richard Brooks e La parete di fango (1958) di Stanley Kramer fino a Indovina chi viene a cena? (1967, lo stesso anno del film di Norman Jewison), sempre di Stanley Kramer, l’attore non smetterà mai di combattere i pregiudizi nel cinema grazie al supporto di registi e produttori progressisti, nel contesto di un’industria molto sensibile alla questione razziale.
Il grasso e irascibile sceriffo Gillespie, testardo come un mulo e “naturalmente” razzista come tutti i suoi elettori, caratterizzazione formidabile di Rod Steiger, attore bulimico di interpretazioni memorabili
Ma il suo impegno non deve mettere in ombra il suo talento di attore. Dotato di grande carisma, Sidney Poitier dà forza al personaggio di Virgil Tibbs, costantemente all’erta e in grado di dominare le situazioni anche più pericolose con la sua intelligenza e naturale autorità. Di fronte a lui, il grasso e irascibile sceriffo Gillespie, testardo come un mulo e “naturalmente” razzista come tutti i suoi elettori, caratterizzazione formidabile di Rod Steiger. Attore bulimico di interpretazioni memorabili (Le mani sulla città, L’uomo del banco dei pegni, Non si maltrattano così le signore, Giù la testa...), concepisce un poliziotto rozzo e brutale al limite della caricatura. Ma l’intelligenza interpretativa di Steiger spazza via ogni facile scorciatoia che il personaggio potrebbe offrire. L’attore riesce a dare una dimensione complessa al suo sceriffo che, osservando Tibbs nel suo agire, intravede in quest’ultimo una sorta di doppio (concetto esposto nell’unica sequenza di complicità tra i due uomini a casa dello sceriffo, destinato a franare per il timore di Gillespie di svelare troppo il suo animo). L’umanità di Gillespie affiora grazie alla sua interpretazione che sa quando alternare tra grossolanità e finezza, e che ha ampiamente giustificato l’Oscar ottenuto per questo ruolo.
La pellicola si aggiudica ben cinque statuette: oltre all’interpretazione maschile, miglior film, adattamento, montaggio e mixaggio sonoro. E segnerà la storia degli Oscar diventando il primo film americano vietato ai minori di tredici anni ad ottenere la statuetta. Essenziale, infine, la partitura di Quincy Jones (e la canzone di Ray Charles): la sua colonna sonora blues contribuisce al fascino ammaliante di questo thriller che vuole essere febbrile e che raggiunge la sua piena efficacia durante la risoluzione dell’indagine, il cui risultato finale smaschera una comunità malata con i suoi odi collettivi e i suoi piccoli o grandi “aggiustamenti” con la morale e la legge. È passato oltre mezzo secolo e, anche se gli Stati Uniti hanno saputo scegliere il loro primo leader nero, il problema al centro de La calda notte dell’ispettore Tibbs resta più che mai attuale. Ma il film è anche la dimostrazione che il cinema impegnato può esprimersi attraverso un film di genere – in questo caso, un romanzo giallo.