Quanto è davvero importante per la salute scegliere sempre cibo biologico?
I consumatori di tutto l’Occidente, quando si tratta di compiere delle scelte, sono oggi alle prese con una sorta di percorso a ostacoli pieno di insidie, specie per quanto riguarda l’alimentazione. Internet, infatti, è la Mecca di chi cerca risposte di ogni tipo. Il problema è che le risposte che offre cambiano a seconda di chi pone la domanda: un amante della carne rossa avrà alle spalle un certo tipo di ricerche e acquisti che lo condurrà a ottenere come risposta che sì, la carne rossa fa bene perché, ad esempio, ricca di vitamina B12.
Un vegano, invece, otterrà una risposta opposta: la carne rossa fa male anche in piccole quantità e non ce n’è affatto bisogno, anche perché gli animali più forti in natura la carne non la mangiano.
A soffrire maggiormente questa mancanza di certezza oggettiva sono forse i neogenitori, che sono gli utenti più sensibili in quanto a scelte importanti, sentendosi responsabili di piccoli corpi intenti a formare organi vitali. Specie se hanno avuto una professoressa di filosofia ‘in fissa’ con Ludwig Feuerbach (il famoso autore della frase “siamo quello che mangiamo”).
Quando un anno fa il figlio di una mia amica italiana residente negli Stati Uniti era nella fase dello svezzamento, lei si è ritrovata a chiedersi quale scelta fosse per lui migliore, non avendo sempre accesso a cibo bio fresco: cibo fresco, ma non biologico, oppure omogeneizzati bio? Internet non seppe risponderle.
Sua cugina, invece, sì: avendo un master in Agroecologia, Sovranità Alimentare, Ecologia urbana e Cooperazione allo Sviluppo Rurale, una scuola di specializzazione in Gestione dell’Ambiente Naturale e delle Aree Protette, una laurea alla facoltà di Agraria e in Agricoltura Tropicale e Subtropicale, le disse che sarebbe stato meglio usare quell’omogeneizzato biologico, meglio ancora se di agricoltura biodinamica, ammesso che il portafoglio ovviamente se la sentisse.
Rassicurata da questa informazione, la mia amica seguì il suo consiglio, per poi essere messa in crisi da una vicina di ombrellone, medico, che le disse che il benessere che apportano le sostanze nutritive del cibo fresco supera il rischio di incorrere in problemi di salute per i pesticidi.
Inutile dire che la mia amica chiese a internet quale parere riguardo il cibo fosse più attendibile, se quello di un medico o quello di una dottoressa in agraria.
L’importanza dei legumi
Su una cosa, però, medici, dottori e nutrizionisti di tutto il mondo, e persino internet, sono d’accordo: i legumi fanno bene. Specie da secchi, specie se biologici. E non solo fanno bene a chi li consuma, quindi a noi essere umani, ma anche al pianeta. E trovare qualcosa che faccia bene sia all’essere umano che al pianeta è cosa rara.
Anche i semi oleosi mettono tutti d’accordo, ma a differenza dei legumi hanno un costo elevato. Ovunque. Specie se di agricoltura biologica.
C’è un posto in cui la differenza tra bio e non bio ha letteralmente il doppio, a volte più, del prezzo: New York City, che non a caso è anche una delle città più care al mondo.
Un barattolo di mandorle biologiche, a New York, arriva a costare quasi venti dollari. Un pacco di pinoli da 170 grammi, diciotto dollari. A rendere le nuts così costose c’è la lentezza del processo di maturazione che una pianta di semi oleosi impiega: ci vogliono anni prima di maturare, e il lavoro conseguente che porta la frutta oleosa dall’albero ai supermercati è lungo e complicato.
Organic food e i prezzi insostenibili
La realtà del cibo biologico americano, che in inglese viene chiamato organic food, ha visto un boom di domande negli ultimi anni, e ciò ha causato un incremento dei prezzi senza precedenti: le aziende produttrici non riescono a rispondere all’altissima richiesta dei consumatori e questo si traduce, ad esempio, in un pacco di fragole bio che hanno un costo di circa 8 dollari, contro i 4 di un pacco di fragole conventional (non biologiche).
Di conseguenza, le scelte alimentari delle famiglie americane sono senza dubbio legate all’income: più guadagni, meglio mangi. Non è un caso, infatti, che i colossi americani simbolo della globalizzazione come Mc Donald’s, Starbucks, Dunkin’ Donuts, ecc. siano di solito meta di chi non riesce a rientrare nella middle class.
Un menù completo lì costa meno di una confezione di petto di pollo biologico, ed è già cucinato, il che vuole dire che non consumi nemmeno luce, gas, acqua, sapone per i piatti e i piatti stessi. Una confezione da dodici di uova biologiche costa undici dollari. Perché comprarle, cucinarle, quando puoi andare da Dunkin’ Donuts e mangiartela in un English muffin, anche con una fetta di formaggio, per un totale di soli 4 dollari?
Chi non ha grandi possibilità economiche si lascia conquistare dal prezzo e ultimamente anche dalle informazioni sulle calorie, ma di certo non si ferma a leggere gli ingredienti, la cui lista, nel caso del panino English Muffin con uova e formaggio, ha ben 27 righe, tra cui si leggono ingredienti quali Lecitina di Soia ed enriched flour (farina rinforzata spesso usata anche nei prodotti di origine italiana destinata al mercato americano).
La sporca dozzina – i cibi non bio più pericolosi
Quanto, quindi, è importante non dimenticarsi del mantra feuerbachiano quando scegliamo cosa mangiare?
Secondo vari siti di ricerca scientifica americani, i cibi che non andrebbero mai consumati non biologici sono quelli che, ai controlli, hanno presentato livelli di pesticidi più alti e vengono definiti Dirty Dozen, la sporca dozzina: fragole, spinaci, cavolo nero, pesche nettarine, mele, uva, peperoni, ciliegie, pesche, pere, sedano e pomodori. Mentre altri tipi di frutta e verdura potrebbero essere consumate tranquillamente (o quasi) anche non bio: banane, cocomeri, meloni, zucche, mango, avocado, grazie allo spessore della loro buccia e al fatto che per mangiarli viene rimossa.
Ma secondo alcuni esperti il cibo bio non è perfetto: il latte, ad esempio, ultrapastorizzato proprio perché bio, che in America è considerata la migliore opzione per i bambini, viene accusato di non avere abbastanza nutrienti proprio per i processi di pastorizzazione. Nutrienti che invece sono tutti presenti nel latte crudo. Ma come la mettiamo poi con la Listeria e gli altri batteri pericolosi? La loro risposta è che basta conoscere la mucca. Ma quanti di noi hanno accesso a una mucca? E a New York?
I consumatori meno estremisti sono rassicurati dal fatto che, prima dell’era del biologico, mangiavamo tutti in modo “convenzionale”, e che nonostante questo l’aspettativa di vita continua ad allungarsi. Negli anni 2000 la globalizzazione era considerata uno dei peggior nemici della generazione dei millennials e con essa tutti i suoi frutti. Si sapeva già allora che le bibite gasate (in America chiamate soda) facessero male, ma quanto effettivamente ha inciso su quella generazione?
La carne fa bene o fa male?
Proprio ultimamente, grazie alla condivisione di alcuni personaggi noti, si è parlato del preoccupante incremento di casi di tumore nei giovani tra i trenta e i quaranta anni, abbassando quindi l’età media dei pazienti oncologici. Gli esperti puntano il dito a cibo ultra processato e bibite gasate, che i nostri nonni e genitori non consumavano in quantità elevate come hanno fatto i loro figli e i loro nipoti.
Ma non sono invece tutti d’accordo sulla carne: secondo alcuni non andrebbe proprio consumata, secondo altri in piccole quantità ma biologica, secondo altri ancora, specie per il pianeta, solo se di piccoli allevamenti locali. Ma come sradicare la cultura onnivora dei boomers? Un amico sardo un giorno mi disse che chi non mangia carne o è ricco o è matto.
E per non diventarci, matti, in questa giungla di notizie che inseriscono nella lista dei nemici della salute nuovi protagonisti ogni giorno, potremmo aggiungere a Feuerbach un pizzico di Aristotele, perché se c’è un’arma a cui possiamo ricorrere per sentirci protetti è la moderazione, come il semplice mantra dei boomers “il troppo storpia” (va bene il cibo organico ma senza impazzire se non si può mangiarlo sempre) o il meno elegante slogan di mia nonna: “bisogna essere parchi, non porci”.