Abituiamoci, siamo un Paese tropicale

“In 36 ore è caduta la metà delle precipitazioni che di solito si registrano nell’arco di un anno”, ha dichiarato il ministro della Protezione civile Nello Musumeci, che ha parlato di una “tropicalizzazione dell’Italia. È la descrizione di un disastro ambientale e umano, quello che sta accadendo in Emilia-Romagna proprio in questi giorni. “Siamo di fronte a eventi imprevedibili”, ha commentato il presidente della Regione Stefano Bonaccini. “In sole ventiquattro ore, in alcune zone sono caduti più di 300 millimetri d’acqua. Il fenomeno riguarda una vasta area da Reggio Emilia alla Romagna”. Secondo la protezione civile, quattordici fiumi hanno rotto gli argini e ventiquattro comuni sono stati allagati. “Siccità e alluvioni si alternano, aumentando notevolmente i rischi. Non agire immediatamente per affrontare la realtà climatica amplificherà, purtroppo, le conseguenze sulla sicurezza e sul benessere della comunità”, afferma il WWF Italia. Il futuro climatico, in Italia, sembra già essere scritto. Viviamo in una penisola fortemente esposta ai cambiamenti climatici, causati dal riscaldamento globale, ai quali si aggiunge la cementificazione di territori inadatti a essere abitati. Non a caso citiamo l’Emilia-Romagna, che in questi giorni, sta mostrando, a tutto il mondo, quali conseguenze comporta una cementificazione dissennata. L’Emilia-Romagna è una terra bonificata, perciò, oltre ai tanti fiumi e torrenti che scendono dalle Alpi e dall’Appennino, ha migliaia e migliaia di chilometri di canali di scolo e di irrigazione. Ha uno degli assetti idrogeologici più artificiali e ingegnerizzati del mondo. Queste premesse dovrebbero comportare una scarsa cementificazione del territorio e invece l’Emilia-Romagna è la terza regione più cementificata d’Italia, col suo 9% circa di suolo impermeabilizzato – contro il 7,1% nazionale, percentuale già altissima – ed è la terza per incremento del consumo di suolo nel 2021. La sola provincia di Ravenna è stata la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021 (più 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale) con un consumo pro capite altissimo (2,95 metri quadrati per abitante all’anno); è quarta per suolo impermeabilizzato pro capite (488,6 m²/ab).

Siamo un Paese tropicale – L’Italia deve abituarsi

Piogge improvvise, bombe d’acqua, alluvioni e allagamenti, ne avremmo letto un tempo tra le raccomandazioni meteo da sapere prima di partire per i Paesi tropicali, nella stagione delle piogge. Oggi, invece, è quello che sta accadendo in Italia. Persino Legambiente ha presentato un dossier sull’impatto attuale, nella vita degli italiani, del riscaldamento globale, per capire come l’Italia si stia tropicalizzando. Negli ultimi 20 anni le temperature medie nel nostro Paese sono cresciute di 0,4 °C al Nord e di 0,7 °C al Sud. Il più importante danno sanitario riportato è l’aumento di mortalità registrato in occasione di acute ondate di calore, come l’estate del 2003. A questo si aggiunge la comparsa di nuove malattie, tipicamente africane, come la leishmaniosi viscerale umana e l’encefalite trasmessa da zecca. Anche nel campo delle patologie animali, l’Italia si sta tropicalizzando: i mutamenti climatici stanno importando nel nostro paese malattie tipicamente africane: come la “Bluetonge”, infezione virale che colpisce tutti i ruminanti, presente dal 2000 in Sardegna, nel Lazio, in Toscana, in Basilicata, in Sicilia e in Calabria. Un altro aspetto preoccupante dei cambiamenti climatici è l’intensificazione di eventi meteorologici estremi. Negli ultimi 15 anni l’Italia è stata colpita da quattro grandi alluvioni e sono triplicati i fenomeni di inaridimento del suolo: si stima che un terzo del territorio nazionale sia a rischio desertificazione. Anche il mare risente del riscaldamento: il 20 per cento delle specie di pesci presenti nel Mediterraneo è ormai di origine tropicale. “In Europa dovremmo essere i più pronti e reattivi nello sforzo di riduzione delle emissioni di CO2, che sono la causa principale di questi sconvolgimenti”, ha riferito il direttore generale di Legambiente Francesco Ferrante. Invece, dal 1990 le emissioni prodotte in Italia sono considerevolmente aumentate. Così, a poco più di un anno dall’inizio della fase attuativa di Kyoto (1° gennaio 2008), l’Italia si trova a dover abbattere non più il 6,5 ma il 18,7 per cento dell’inquinamento prodotto nel 1990. (fr.c.). Ai microfoni di Askanews il Tenente Colonnello Paolo Capizzi ha spiegato che quanto avvenuto nelle zone centrali adriatiche della nostra penisola è frutto di una combinazione di effetti.

Abituiamoci, siamo un Paese tropicale

In primavera di norma si formano i cosiddetti “minimi africani”, cioè fenomeni di ciclogenesi tra Tunisia e Libia che influenzano anche le regioni italiane (soprattutto meridionali) ma che poi tendono a spostarsi verso est. In questi giorni, tuttavia, il transito della bassa pressione in cui queste circolazioni cicloniche si producono viene impedito dalla situazione in quota, dove persistono due aree di alta pressione, una sull’Atlantico e una nell’Est europeo. “Di fatto, impediscono il movimento di una bassa pressione con continue formazioni di ‘minimi’, proprio sull’area mediterranea centrale”, ha detto Capizzi. Il maltempo forzato si è acuito sulle nostre aree appenniniche, e in particolare nel romagnolo, per via di un fenomeno meteorologico che prende il nome di effetto Stau, che si verifica quando una corrente d’aria, mentre risale lungo una catena montuosa, perde parte della propria umidità, che condensa e precipita al suolo sotto forma di neve o pioggia. Questo, che è un normale fenomeno meteorologico tipico delle zone limitrofe alle catene montuose, unito alla permanenza forzata del ciclone nordafricano, sono le concause delle piogge abbondanti e incessanti dell’ultimo periodo in Centro Italia. Nel caso dei nostri climi per tropicalizzazione si devono soprattutto intendere le brusche variazioni meteorologiche che nel corso dell’anno si vanno manifestando con maggiore ricorrenza. Le repentine e consistenti variazioni termiche, l’avvicendarsi di condizioni estremamente siccitose con situazioni addirittura alluvionali, le violente manifestazioni atmosferiche improvvise dopo periodi di stabilità, sono aspetti che certo preludono a modificazioni del quadro climatico nel suo complesso. In definitiva, ciò che induce a propendere per processi di tropicalizzazione in atto alle nostre latitudini, sono più i passaggi dalle gradualità tipiche dei climi temperati agli improvvisi e bruschi cambiamenti meteorologici caratteristici viceversa dei climi tropicali, che non le variazioni dei valori medi che caratterizzano le grandezze climatiche individuali.

Siamo un Paese tropicale – Aree a rischio alluvione in Italia

Ogni anno, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) diffonde dati aggiornati che mostrano quanto l’intero territorio italiano sia esposto al rischio idrogeologico, cioè legato a frane e alluvioni. Le indagini e i report servono soprattutto per dare informazioni puntuali a chi gestisce il territorio, tecnici e politici, e in questo modo incentivare interventi per ridurre i rischi. La grave alluvione che negli ultimi giorni ha colpito l’Emilia-Romagna è la conferma di un dato noto da tempo: quasi tutti i comuni della regione si trovano in aree a pericolosità idrica media o elevata. L’ISPRA ha identificato tre possibili scenari legati al rischio di alluvioni: le aree a rischio basso possono essere colpite da alluvioni con una frequenza di ritorno superiore ai 200 anni (in idrologia si usa il tempo di ritorno, il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore, per esprimere una probabilità), le aree a rischio medio tra i 100 e i 200 anni e quelle a rischio alto tra i 20 e i 50 anni. In tutta Italia il 14% del territorio è in aree a pericolosità bassa, il 10% è in aree a pericolosità media, il 5,4% in aree a rischio elevato; la rimanente parte di territorio – quindi la grande maggioranza – non è considerata a rischio. Ferrara è la provincia con la più alta percentuale di popolazione esposta almeno al rischio medio: il 100%. Sono sette le province in cui la percentuale supera il 50%: oltre a Ferrara, anche Rovigo, Ravenna, Venezia, Mantova, Reggio Emilia e Bologna. La Sicilia è la regione con meno aree a rischio alluvione. Il rapporto dell’ISPRA contiene anche molte altre informazioni. Per esempio, viene fatta una stima degli edifici a rischio in caso di alluvione. In Emilia-Romagna sono quasi 590mila, pari al 60,2% del totale.

(foto copertina LaPresse)

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