L’attrice, ospite della nostra redazione, per parlare di guerra, informazione e della sua battaglia personale
Inizia con l’attrice Paola Michelini il nostro viaggio tra le voci di chi si è esposto pubblicamente in merito al tema palestinese. Un’intervista che parte con una domanda, ossia se non sia fastidioso il fatto che solamente adesso, in tanti, si siano accorti dell’esistenza di un problema e delle atrocità che stanno accadendo.
Non mi dà fastidio che se ne parli adesso, perché meglio tardi che mai. Mi dà fastidio che se ne parli come se tutto fosse iniziato il 7 ottobre, come se proprio non ci sia un “pre”. Il 7 ottobre è la reazione ad anni e anni di occupazione, di soprusi. È semplicemente ignoranza a volte, malafede in altre. Per carità, il 7 ottobre è stata una cosa gravissima, certamente. Però non è una cosa che non si può comprendere o giustificare, sapendo la storia che c’è stata.
Sei d’accordo sul fatto che la Palestina, come si dice spesso, “non sia tutta Hamas”?
Il discorso è che in queste elezioni che furono indette nel 2006 in cui vinse Hamas, il 50% della popolazione di Gaza praticamente era composta da minori di 18 anni, perché gli adulti purtroppo sono stati in qualche modo eliminati. Quindi, già una larghissima fascia di popolazione non ha avuto accesso al voto. In più, c’è stato un 23% di di astensionismo nelle elezioni del 2006. Per carità, niente rispetto ai nostri livelli di astensionismo, però comunque è una buona porzione, quindi non è corretto dire che “la Palestina è Hamas”, soprattutto considerato che poi Hamas non ha consentito altre elezioni dal 2006. Il discorso è che la sottilissima linea tra cosa è resistenza e cosa è terrorismo in queste situazioni è sempre molto labile. Anche perché uno dice “il diritto di Israele di difendersi”, ma dov’è che inizia il diritto di difendere te stesso nel momento in cui tu occupi illegalmente un territorio? A livello giuridico, diventa un po’ nebulosa la questione. Poi bisognerebbe essere lì dentro veramente per capire cos’è Hamas, chi lo appoggia… Senza considerare che allo stesso Netanyahu, quando gli faceva comodo, anni addietro, serviva come sempre il nemico acerrimo, in modo che tu poi possa risultare come il salvatore nel momento in cui gli vai contro. Ci sono prove, non sono certo io a dirlo, che è stato proprio Netanyahu a finanziare in qualche modo l’ascesa di Hamas, perché serviva avere, appunto, questo public enemy number one da sconfiggere.
Sei d’accordo con chi dice che Israele sta attuando nei confronti della Palestina lo stesso trattamento dei nazisti sugli ebrei?
Assolutamente sì. Sono d’accordo, poi uno può andare a ricavare tutte le ragioni. Non so dove, leggevo questo discorso su come il popolo ebraico ha subìto un tale trauma che, come tutte le persone che subiscono, ad esempio, traumi in famiglia, si cresce con questi e molto spesso c’è una grande percentuale per cui l’oppresso diventa oppressore, semplicemente perché non conosce nient’altro. Però questo discorso secondo me si può fare in parte; il trauma collettivo di un popolo vale in questo caso fino a un certo punto. Qui c’è un preciso disegno politico ed economico di voler neutralizzare un popolo, perché fa comodo a Israele e agli Stati Uniti. Due Stati che hanno bisogno l’uno dell’altro. Sono inscindibili da un punto di vista politico-economico.
Sui social hai fatto una cosa che ha creato un po’ di “casino” a livello di follower. È una parodia con sfondo molto amaro e che fa riflettere moltissimo.
Siamo io, Niccolò Senni e Luca Vecchi. Ora non so bene nemmeno a quando risale La striscia di casa, però era abbastanza agli inizi, insomma. Quindi, quando ancora era molto tabù parlare della questione palestinese. In quel periodo ricordo che Luca aveva un contratto con Tim per non so che cosa, quindi c’era stata anche una sorta di pressione, della serie: “Aspettate un attimo, aspettate che lui faccia prima questa campagna e poi pubblicate”. Ce ne siamo fregati, però io mi ricordo proprio il momento in cui clicchi su “post”, stavamo tutti un po’ in tensione. La shitstorm che poi è arrivata ce l’aspettavamo. Devo dire che di pari passo è arrivato anche un grande appoggio di tanti altri che, invece, hanno detto proprio questa cosa qui: “Finalmente qualcuno che si espone, finalmente qualcuno che dice le cose in maniera chiara”. Però anche ironica e divertente, che non è la solita mattonata di chi ti vuole fare la lezione di storia. Dire delle cose facendo ridere e riflettere.
Ci dici nel dettaglio cosa accade ne La striscia di casa?
C’è un tizio che a un certo punto entra in casa di Luca Vecchi, che nella nostra narrazione è il palestinese, e dice: “Bene, adesso io abito qui”. Si piglia questo pezzo d’armadio, si piazza in camera da letto e dice che è stato deciso così, che quella è la sua casa, da questo libro di fiabe che gli presenta. Nella fattispecie, io rappresento l’amministratrice di condominio, ovvero l’ONU, che sta lì a guardare impotente, complice impotente. Anche oggi ho letto questa cosa che i rappresentanti delle Nazioni Unite strongly condemn quello che è successo, questo massacro. Ok, ma in pratica riusciamo a fare qualcos’altro? Qualcos’altro oltre a condannare? Sembra di no, perché poi la legge internazionale è carta straccia a quanto pare, visto che non si riesce a fare niente per fermarli.
Che ne pensi della posizione del nostro Paese in merito?
Ho sentito proprio l’altro giorno la Meloni al G7. Una giornalista le ha fatto una domanda su come ci poniamo noi di fronte a queste 37.000 vittime, tra cui bambini innocenti e donne. Perché comunque poi gli Stati Uniti sono quelli che inviano la più grande fascia di armi, visto che dal 7 ottobre l’amministrazione di Biden ha mandato 16 billions a Israele. Poi c’è la Germania e poi, ancora, nel nostro piccolo ci siamo noi, che in genere non contiamo un cazzo, però vederci così fa orrore. La Meloni ha completamente glissato la domanda, parlando del diritto di Israele a difendersi, la solita solfa sul fatto che si sta cercando di minimizzare al massimo le casualties dei civili. Ma non ci crede più nessuno, anche questi rappresentanti americani. Ogni tanto mandano avanti donne di colore, come a dire le minorities si coprono dietro questa cosa per cui se è una donna e se è di colore non può essere attaccata. Dischi rotti, non ci credono neanche loro e ti chiedi solo come facciano a dormire la notte.
Stai pensando a qualche spettacolo su questo?
Sì, sto lavorando su questo, voglio parlare di questo. Io scrivo i miei pezzi, faccio un po’ di stand-up. Quindi voglio farlo con questa vena comunque sempre ironica, però siccome questo è il mio tema del momento, non riesco a pensare ad altro e ho bisogno di parlarne. Chiaramente è Palestina ma è mondo, perché la questione palestinese purtroppo ci riguarda tutti e a me la cosa che uccide e che però, appunto, mi interessa molto da scandagliare è proprio la questione dell’informazione, cioè di come se controlli l’informazione controlli l’opinione pubblica. Abbiamo visto tutti le parole che vengono usate in questi articoli. A parte le notizie che proprio non vengono date (non si dice “uccisi”, ma “morti”), le parole vengono manipolate in modo che all’orecchio arrivi in modo diverso dalla realtà. Riguardo la ragazzina di 6 anni, palestinese, ammazzata dagli israeliani, i media non hanno mai parlato di “bambina”, hanno sempre parlato di young lady o young woman. Perché chiaramente dire child ha tutto un altro effetto all’orecchio. Quindi, finché non cambiamo questo e non riusciamo ad arrivare all’opinione e all’emotività delle persone non cambierà mai niente.