“Mica capita tutti i giorni di giocare con l’Ermafrodito! Lo guardo e lo riguardo, e devo dire che è veramente ipnotico. Questa statua è un mistero. La osservi e immagini questo scultore che duemila anni fa ha creato un corpo nel quale l’identità sessuale non ha un confine. Dentro quest’opera, la più fluida della storia dell’arte, si concentra tutto il dibattito contemporaneo sulla problematica dell’ambiguità, ma con così tanta grazia che rimani lì e dici: ecco, tutto è risolto”. “Giocando”, come dice lui, in maniera erotica con reperti importantissimi, alcuni dei quali mai esposti al pubblico, provenienti dai depositi del Museo Nazionale Romano, Francesco Vezzoli scrive una nuova narrativa capace di riconnettere lo spettatore con la storia attraverso i reperti. “Induco a guardare alla storia senza filtri e senza quel senso di inadeguatezza” spiega l’artista. Lo abbiamo incontrato al Palazzo delle Esposizioni di Roma durante la presentazione alla stampa di Vita dulcis. Paura e desiderio nell’Impero romano, l’ultimo omaggio dell’artista bresciano all’archeologia di Roma. Un viaggio trasversale percorribile fino al 27 agosto, una mostra non di capolavori, ma “delle emozioni”, come la definisce Vezzoli, che abbraccia archeologia, arte digitale, cinema, in un gioco di intrecci ammiccanti tra cultura classica (solenne ed eterna) e sentimento pop. Prodotta dall’Azienda Speciale Palaexpo la mostra, il cui titolo è una latinizzazione de La dolce vita di Federico Fellini, è ideata con il Museo Nazionale Romano e lo Studio Vezzoli. L’Ermafrodito dormiente, marmo della metà del II secolo d.C in prestito da Palazzo Massimo, special guest del percorso, da solo vale la visita. Di fronte al suo corpo disteso, Traiano, Platone ed Euripide, ma anche Satyricon (2023), la testa di un Giano bifronte dal titolo BI (2015), o la Musa della Satira (2023), opere realizzate dall’artista che celebra la Settima Arte come “medium” privilegiato per l’interpretazione della realtà, sembrano impegnati in un colloquio fuori dal tempo. A fare da cornice il Satyricon di Fellini (1969) con la sequenza della cena di Trimalcione. Cosa è antico e cosa no? Quali sono i busti realizzati da Vezzoli e quali quelli autentici non è dato sapere.
L’archeologia “pop” di Francesco Vezzoli – Tra i depositi del Museo Nazionale Romano
D’altra parte, come spiega Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano, è proprio questo il fascino suscitato dall’artista, “la capacità di generare un delicato contrasto estetico tra l’opera moderna e quella antica che ci induce a domandarci quale sia l’una e quale l’altra, tra divertimento, emozione, riscoperta”. “Grazie a questa mostra – continua Verger – il pubblico scoprirà molti oggetti poco conosciuti o addirittura mai visti, che abbiamo tirato fuori dai depositi in occasione della mostra”. Immersi in un suggestivo allestimento firmato Filippo Bisagni, esaltati da un gioco di luci poste da Luca Bigazzi sulle opere, come aureole, i reperti selezionati da Vezzoli e Verger dialogano in un percorso fatto di stratificazioni. Cosa direbbero gli antichi scultori vedendo Achille! (2021), il busto settecentesco dell’eroe truccato in chiave pop contemporanea? “Penso che loro non si prendessero troppo sul serio intellettualmente – ipotizza Vezzoli – ma si vivessero come artigiani più che come artisti”. Quindi racconta la genesi della mostra.
L’archeologia “pop” di Francesco Vezzoli – “Giocare con i reperti per connettere il pubblico con la storia”
“Come un Virgilio, Stéphane – spiega Vezzoli – mi ha accompagnato nei depositi della bellezza dimenticata. Ho giocato con reperti importantissimi senza cercare l’approvazione degli accademici, ma cercando di riconnettere lo spettatore con la storia, inducendolo a guardare alla storia senza filtri e senza quel senso di inadeguatezza”. Dalla Rotonda, perno centrale della mostra, sei sculture luminose di grandi dimensioni, simili a lightbox pubblicitari, provenienti dal progetto 24H Museum, realizzato nel 2012 in collaborazione con Fondazione Prada, presentano Afrodite Sosandra, la Menade danzante, Venere de’ Medici, Vibia Sabina, Venere Callipigia e Afrodite Cnidia trasformate da Vezzoli in dive contemporanee. I volti di Sharon Stone, Michelle Williams, Anita Ekberg sono innestati sui corpi di sculture antiche. Proseguendo tra le sette sezioni tematiche, ciascuna dedicata a un aspetto peculiare della storia dell’impero romano, il controverso film Sebastiane (1976) sfodera le gesta di un piccolo gruppo di soldati abbandonati al piacere omosessuale. Queste innescano il tema del secondo episodio della mostra dedicato al culto di Antinoo, il giovane greco che rubò il cuore dell’imperatore Adriano e il cui busto proveniente da Palazzo Altemps è al centro di un’installazione circondata di opere di Vezzoli. Incrociamo Antinoo truccato come David Bowie sull’iconica copertina di Aladdin Sane (1973), mentre Self-Portrait as Emperor Hadrian Loving Antinous (2012) presenta Vezzoli nelle sembianze dell’imperatore intento a guardare il compagno con occhi innamorati.
L’archeologia “pop” di Francesco Vezzoli – Gli uteri ex voto
L’omaggio alla figura femminile, in tutte le sue personificazioni, esplode nel richiamo alla Venere paleolitica di Willendorf, ingrandita e replicata in bronzo, con una testa marmorea romana del III secolo d.C., che strizza l’occhio alle forme voluttuose di Kim Kardashian. Lo sguardo si ferma di fronte a un altare piramidale composto da 69 reperti votivi fittili che rappresentano uteri, equivalente degli odierni ex voto. “Visitando i depositi del Museo Nazionale Romano questi uteri mi hanno stregato – confessa Vezzoli –. Tecnicamente non sono opere d’arte, ma ex voto che raccontano emotivamente molto più di un’opera. Come le lapidi, sono testimonianze della vita del dolore umano”. Tra i volti e i busti degli imperatori romani appartenenti alle collezioni di Palazzo Massimo e delle Terme di Diocleziano si dispiega la storia di Roma dal 27 a.C. al 476 d.C. . Fino a che limite giunge il potere? Vezzoli scardina la dimensione storica, innesta le teste di Marco Aurelio e Domiziano nel busto di un corpo femminile, a sua volta integrato su una colonna in marmo. Il gesto artistico visualizza una domanda aperta: cosa rende queste immagini ancora in grado di parlarci? A fare da sfondo a questi diversi stadi di potenza, e ad abbassarne ironicamente la portata, sono i frammenti del film Mio figlio Nerone (1956), una commedia da Alberto Sordi, Brigitte Bardot e Vittorio De Sica.
L’archeologia “pop” di Francesco Vezzoli – Una passione venuta da lontano
La mostra affronta anche il tema del danneggiamento dei reperti archeologici, con l’intento di suscitare interesse per tutti i pezzi attualmente conservati nei depositi museali. Parrucche, volti con occhi cavi, colonne e leoni si mimetizzano tra le opere. Un piede votivo in argilla del III secolo a.C. ritoccato con smalto per unghie, un rettile in bronzo che divora una testa in marmo di Palmira del III d.C. guardano Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, strutturato come il promo di un film che non esiste. A partire dal film originario Caligola, del 1979, sceneggiato da Gore Vidal prende forma un’irriverente commedia dell’arte. In una villa decadente di Beverly Hills, attrici e attori del film originale si uniscono a un cast internazionale selezionato ad hoc da Vezzoli. Ciascuno interpreta un personaggio storico costruendo una parodia del cinema hollywoodiano e del suo interesse per Roma. Prima di lasciarlo chiediamo a Vezzoli le origini di questa sua passione per l’antico. “È un grande amore iniziato quando frequentavo il liceo classico. Queste sono le mie radici, i luoghi dove ho incontrato specchi della mia identità. Queste radici le rielaboro nel mio lavoro”. Ultimissima domanda: prossimi progetti? “Continuare a lavorare sulla storia. Ancora per un po’ lasciatemi nell’impero romano, poi andrò nel futuro”.