In molti si sono chiesti se il problema delle fiction su Rai 1 non fosse proprio la scritta “Rai 1” in alto a destra. Perché appena uno legge quella piccola scritta pensa subito: “Vabbè, sarà una merda”
La libertà di espressione è spesso il termometro dello stato di salute di una democrazia. Per anni, le fiction prodotte dalla televisione pubblica italiana sono state sotto il giogo della censura. Bisognava stare attenti alla presenza occulta della Chiesa cattolica, al Movimento Italiani Genitori (il temutissimo MOIGE), ma anche semplicemente a quella che i dirigenti della Rai pensavano fosse la soglia della moralità. E questo ha avuto effetti devastanti sul risultato finale. Trame timidissime, se non proprio pavide, una montagna di cliché e personaggi totalmente inverosimili.
Il tutto ambientato dentro a un mondo che esisteva solamente nella fiction italiana. Ricordo la trama di una fiction che si chiamava Le ragazze di piazza di Spagna. È la storia di quattro amiche disoccupate e in grandi difficoltà economiche. Poi a una di loro viene un’idea geniale: «Apriamo un negozio di vestiti a piazza di Spagna!». Le sue amiche si dicono entusiaste e nella scena seguente – pensate – il negozio è già avviato. E da lì parte tutta la storia.
Vietato disturbare l’utente medio
Ma in quegli anni, gli stessi sceneggiatori delle fiction avevano sviluppato, per senso di sopravvivenza, una censura preventiva dentro di loro. La frase più frequente durante la scrittura delle sceneggiature era: «Questa non ce la faranno mai passare», e si rinunciava alla scena. E così, già nella sua fase embrionale, il progetto era spacciato per sempre. Inoltre, gli sceneggiatori hanno presto capito che il vero monarca di tutto ciò che scrivevano era l’utente medio. Che è un’entità astratta ma decisiva, un essere umano che non esiste, che è solo nella testa dei dirigenti Rai. Nelle fiction è molto importante non disturbarlo in alcun modo. E ricordarsi che è cieco (quindi tantissimi primi piani), sordo (battute scandite in modo surreale) e soprattutto molto lento di comprendonio (quindi le battute oltre che essere ben scandite devono essere estremamente informative e semplici, a volte, meglio ripeterle più di una volta). Per evitare di turbare l’utente medio non si poteva parlare, ad esempio, dei buddisti. Perché non si capiva se collocarli tra i buoni o tra i cattivi e quindi era preferibile evitarli.
Cioè, il personaggio islamico era o buonissimo o cattivissimo e questo rilassava lo spettatore, il buddista lo disorientava. E non c’è da stupirsi che, se in una fiction di quegli anni un personaggio tossiva, dopo tre scene moriva. Perché non era concesso che morisse e basta. La sua malattia andava seminata, altrimenti l’utente medio non capiva, dava di matto e poteva sterminare tutta la sua famiglia. Qualcuno a un certo punto si è chiesto se il problema delle fiction su Rai 1 non fosse proprio la scritta “Rai 1” in alto a destra. Perché appena uno legge quella piccola scritta pensa subito: “Vabbè, sarà una merda”. Levandola, forse il prodotto sarebbe stato percepito in modo diverso, chissà. Ma poi, a un certo punto è cambiato tutto. Sono arrivate le grandi piattaforme internazionali e le reti generaliste dovevano per forza tenerne conto. Perché il pubblico stava fuggendo e non se lo potevano assolutamente permettere.
La censura nella televisione pubblica
Intanto si è deciso di non chiamarle più fiction (che aveva assunto una connotazione negativa) bensì “serie”, che suona meglio. E per stare al passo con le piattaforme internazionali, la televisione pubblica italiana ha cercato di cambiare, di includere, di essere più fluida. Nelle fiction attuali (per semplicità continuerò a chiamarle così) è sempre più probabile vedere un ragazzo di colore. Addirittura, certe volte, l’immigrato africano può finalmente parlare senza usare solo l’infinito (“io essere stanco”). Può avere anche un barlume di felicità… ma è importante che in passato abbia sofferto molto.
Nelle fiction attuali, i disabili sono sempre più benvenuti ma non hanno il diritto di essere dei pezzi di merda. Il disabile pezzo di merda ancora non è contemplato. Al più, può covare un po’ di livore… ripensando a quella maledetta Smart. Ma poi, sotto sotto, deve aver capito che la vita è bellissima anche così. Comunque, per bilanciare tutto il doloroso passato è preferibile che i disabili abbiano un grandissimo senso dell’umorismo. Il disabile che fa molto ridere crea nell’utente medio un misto di allegria e commozione. Anche i rom vengono rappresentati con molta più disinvoltura. E non sono più baffoni con denti d’oro che frustano bambini, ma rom pentiti (che se ci si pensa, è la forma di razzismo più alta), totalmente integrati, stanziali e a volte addirittura pagano il mutuo. Nelle fiction attuali, gli omosessuali hanno finalmente diritto di cittadinanza. Possono avere un bellissimo rapporto con la loro famiglia e un lavoro come tutti gli altri, possono vivere felicemente una storia d’amore ma… non hanno ancora il diritto di tradire. Perché, se tradiscono, l’utente medio pensa: “Ah, pure?!”. In realtà, nelle fiction della televisione pubblica, la censura esisterà sempre. Con diversi gradi di invadenza, certo, ma esisterà sempre. Perché essendoci di mezzo i soldi degli italiani, ci sarà comunque qualcuno che avrà il compito di selezionare i progetti presentati dagli autori.
E mi chiedo come mi comporterei io se fossi quella persona. Cioè, se fossi un dirigente che ha la possibilità di scegliere quali proposte produrre. Mettiamo che due giovani sceneggiatori, pieni di fantasia, mi presentano la sitcom: Brigate Rosse tutte da ridere. I due ragazzi ci tengono a dirmi che fa effettivamente molto ridere. Fanno un esempio: un brigatista con i baffi entra in scena e chiede agli altri: «Sono Moretti o sono Morucci?». I due sceneggiatori ridono forte e si danno il cinque per la trovata. Probabilmente tenderei a storcere il naso, non solo per la qualità della proposta ma anche per motivazione etiche. Magari chiederei se hanno pensato ai parenti delle vittime. Loro probabilmente non demorderebbero e mi direbbero che hanno pensato una parte divertente anche per i parenti delle vittime. E così mi ritroverei a essere a mia volta censore e, ai loro occhi, un vecchio stronzo che tarpa le ali alla loro fantasia.