La guerra (fredda) dei prigionieri

Rifiuto di negoziare. È così che si potrebbe riassumere la politica del Governo americano portata avanti per mezzo secolo nei confronti dei suoi concittadini rapiti all’estero. Rifiuto di negoziare e scendere a ricatti: è così che nel 1973 l’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon aveva commentato fermamente la sua politica di non ricatto dopo che l’Ambasciatore Usa in Sudan Cleo A. Noel e l’incaricato d’affari statunitense G. Curtis Moore, vennero presi in ostaggio da 8 membri del gruppo terrorista palestinese Settembre Nero facendo irruzione nell’Ambasciata Saudita a Khartoum. Insieme ad un collega belga, i due diplomatici statunitensi furono uccisi a qualche ora dal sequestro. Dopo quasi 50 anni da quell’attacco all’Ambasciata Saudita, la politica del Governo a stelle e strisce è cambiata cos come i suoi Presidenti, tra negoziati, scambi di prigionieri in stile Guerra Fredda e polemiche. Perché i nomi dei protagonisti dell’ultimo scambio recitano Brittney Griner e Viktor Bout: giocatrice di basket statunitense la prima, condannata a 9 anni di carcere e un milione di rubli di multa per detenzione e contrabbando di stupefacenti, trafficante di armi russo il secondo, condannato nel 2010 a 25 anni di carcere. Arrestata per un reato minore, Griner è stata liberata dal centro di detenzione in cui si trovava in Russia, in uno scambio di prigionieri con il trafficante d’armi russo Viktor Bout, che era detenuto negli Stati Uniti da 10 anni. Il mercante di morte, soprannome conquistato da Bout negli anni per essere diventato uno dei trafficanti d’armi più influenti al mondo, faccia a faccia con la cestista della Phoenix Mercury alta più di 2 metri, Brittney Griner, 32 anni, fermata in Russia lo scorso febbraio in uno degli aeroporti di Mosca con l’accusa di contrabbando di droga – la perquisizione è avvenuta mentre stava lasciando il Paese dopo aver giocato per un periodo con una squadra russa durante la pausa del campionato americano.

Dalla realtà alla finzione

Due storie che si incrociano solo negli sguardi tra Griner e Bout all’aeroporto di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, l’8 dicembre, in uno scambio che ricorda quelli storici di agenti tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda, anche se lontani dal deserto. Washington e Mosca di nuovo uno contro l’altra dopo le storiche immagini sul ponte di Glienicke in Germania, quelle al check point Charlie di Berlino, o allo scalo aeroportuale di Vienna. Tra gli scambi più famosi, quello avvenuto il 10 febbraio 1962 nella capitale tedesca quando agenti sovietici e americani si trovarono insieme lungo il ponte di Glienicke, sul confine tra le due Germanie, fatto storico che ispirò nel 2015 il film “Il ponte delle spie”. Dieci anni prima, nel 2005, un’altra vicenda suggerì al regista Andrew Niccol il soggetto per la pellicola “Lord of war”, liberamente ispirata alla vita di Viktor Bout. La perfetta padronanza di inglese, francese, persiano portoghese e arabo, la dimestichezza di vendere armi come fossero caramelle, il pragmatismo di fare affari con dittatori come il leader libico Muhammar Gheddafi, con i gruppi ribelli come le milizie in Sierra Leone o con i talebani. E farla franca.

La guerra (fredda) dei prigionieri
Viktor Bout

La storia di Viktor Bout, nato in Tagikistan nel 1967, all’epoca Repubblica Socialista Sovietica del Tagikistan nell’ambito dell’URSS, aveva infatti tutte le caratteristiche per essere una perfetta trama per Hollywood più che alla realtà. Soprannominato “il mercante di morte” (oltre al film la storia è stata anche raccontata nel libro “Merchant Of Death: Money, Guns, Planes, and the Man Who Makes War Possible”), dopo la caduta dell’Unione Sovietica, Bout si trasferisce negli Emirati Arabi Uniti dove inizia a costruire un vero e proprio impero legato al traffico di armi. E dopo Osama bin Laden diventa uno degli uomini più ricercati al mondo: arrestato nel 2008 a Bangkok da agenti della Dea americana, Bout viene estradato negli Stati Uniti nel 2012 e poi condannato a 25 anni con l’accusa di terrorismo. Grazie allo scambio con Brittney Griner è ora tornato libero in Russia.

Paul Whelan e gli altri cittadini Usa detenuti all’estero

Russia, Cina, Iran, Venezuela, Siria; Paul Whelan, Austin Tice, Luke Denman e Airan Berry. Sono solo alcuni dei nomi dei cittadini Usa detenuti all’estero, senza una lista certa, senza un numero preciso: dal giornalista scomparso in Siria dal 2012, agli ex Berretti Verdi accusati di voler rapire il presidente venezuelano Nicolas Maduro fino al Marine condannato a Mosca per spionaggio, quest’ultimo citato anche dalla famiglia di Brittney Griner in occasione del suo rilascio. “Preghiamo per Paul e per il ritorno a casa suo e di tutti gli americani ingiustamente incarcerati”, si legge in un comunicato dei Griner. Un caso, quello di Whelan, 52 anni, che la Casa Bianca ha tentato di inserire nella trattative Griner-Bout, senza ottenere però buoni risultati. Ex Marine diventato manager di una multinazionale nel campo della security, Whelan era stato arrestato in un albergo con l’accusa di spionaggio: è in carcere dal dicembre 2018 e attualmente detenuto in una colonia penale in Mordovia, la stessa regione russa dove era stata trasferita a novembre anche la giocatrice di basket. All’indomani del rilascio di Griner, l’agenzia giornalistica russa Readovka ha affermato che ad Abu-Dhabi sia stato raggiunto anche un accordo sul prossimo scambio di detenuti tra la Russia e gli Usa: Paul Whelan per Artiom Uss, figlio del governatore di Krasnoyarsk, arrestato in Italia su richiesta Usa per violazione delle sanzioni contro la Russia, riciclaggio di denaro e il contrabbando del petrolio venezuelano e di tecnologie militari, e in attesa di estradizione negli Stati Uniti.

La guerra (fredda) dei prigionieri
Paul Whelan

Nessuna conferma da Washington e una trattativa che “continua a livello dei servizi segreti”, come ha invece dichiarato l’avvocato russo di Whelan, Vladimir Zherebkov. Se persino Vladimir Putin ha ventilato la possibilità di continuare negoziati per lo scambio di altri prigionieri tra Stati Uniti e Russia, le relazioni tra le due potenze non sembrano invece migliorare. “Sono possibili altri scambi? Sì, tutto è possibile – ha dichiarato Putin – Questo è il risultato dei negoziati e della ricerca di compromessi. In questo caso, i compromessi sono stati trovati e non ci rifiutiamo di continuare questo lavoro in futuro”. A mettere i puntini sulle i è stato anche Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, “lo scambio di prigionieri non significa che i rapporti tra Russia e Stati Uniti sono migliorati”. Una conferma che arriva anche dal Dipartimento di Stato americano con la richiesta nei confronti dei suoi cittadini di non recarsi in Russia o di lasciare immediatamente il Paese. Tra i motivi, possibili arresti arbitrari.

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