Il Surrealismo è (…) “automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. È il primo dicembre 1924. A Parigi il poeta André Breton pubblica la sua raccolta di prose “Poisson Soluble”. Un libro oggi esposto in una teca. L’elogio al Surrealismo: l’introduzione diventerà infatti il Primo Manifesto del Surrealismo. Inizia così il percorso della mostra “DALÍ, MAGRITTE, MAN RAY E IL SURREALISMO. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen”. Un viaggio, nella più onirica tra le avanguardie del XX secolo, alla scoperta delle oltre 180 opere esposte nelle sale del Mudec di Milano. Dipinti, sculture, disegni, documenti, manufatti – tutti provenienti dalla collezione del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam – che raccontano e descrivono i temi della ricerca surrealista: sogno e realtà, psiche, amore e desiderio, un nuovo modello di bellezza.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – L’universo surrealista
Un racconto che offre all’ospite una visione a 360 gradi dell’universo surrealista, quell’universo in cui gli artisti cercarono di esplorare la psiche umana oltre i limiti imposti dalla ragione, di espandere la realtà oltre i suoi confini fisici, per attingere a una dimensione più piena dell’esistenza. Rifiutando i valori di una società che non riconoscevano più, i surrealisti diedero voce a una nuova realtà, dove il sogno, l’inconscio e le pulsioni più nascoste si esprimeranno. Ispirati dalle innovative ricerche psicanalitiche di Freud, esplorarono in modo rivoluzionario il potenziale creativo dell’inconscio, rifiutando le limitazioni imposte dalla logica e dalla razionalità a favore di una totale libertà di espressione. La fusione tra realtà e sogno si esplica nel libero accostamento di oggetti e materiali diversi, che riproducono contenuti onirici e visioni inconsce. Utilizzando oggetti trovati, tecniche automatiche o regole simili a giochi, tentarono di escludere il razionale, nella speranza di creare uno shock poetico che avrebbe cambiato il mondo. Ed è proprio tra l’irrazionalità delle loro opere che ci si perde, si entra in quel mondo fantastico, tra le nuvole di “Couple aux têtes pleines de nuages” di Salvador Dalí e gli oggetti che assumono nuove vite il come ferro con i chiodi di Man Ray.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – Da Rotterdam a Milano: 6 sezioni per 6 universi
La visita, dunque, si snoda attraverso i momenti e i temi cardini di un movimento poliedrico che ancora vive nella produzione creativa dei giorni nostri, sfiorando e influenzando moda, design e cinematografia. Una visita resa possibile grazie al Museo Boijmans Van Beuningen, che possiede una collezione di arte surrealista unica e famosa in tutto il mondo. La scelta di curare una mostra per il Mudec ha portato, ovviamente, a una selezione della collezione, con un focus particolare sull’interesse dei surrealisti per le culture native. La loro critica alla cultura e alla società occidentale industrializzata li spinse, infatti, a cercare modelli alternativi. Questa ricerca portò Breton e i suoi a studiare e collezionare gli oggetti etnografici, che entrarono a far parte dell’orizzonte concettuale del movimento. Sei le sezioni della mostra che raccontano la poetica surrealista in un percorso suggestivo, dai toni onirici. Ognuna è introdotta da una scultura chiave o un oggetto iconico, che parla al visitatore evocando il tema della sezione, e da una citazione, che racconta e ricorda al pubblico come il surrealismo fu anche manifesto filosofico, pensiero poetico, sguardo incantato su una realtà “altra”. Le loro storie, i loro tormenti e le loro fantasie trapelano dalle tele, dagli oggetti che tornano ad avere una vita. La mostra permette di scoprire quali tecniche utilizzavano i maestri del Surrealismo, in che modo riuscivano a comporre immagini libere e quali sogni, incubi e storie vi nascondevano, misteriosamente, all’interno. Corpo, mente, realtà e sogno, inconscio e razionalità, contrasti solo all’apparenza insanabili, sono il campo di sperimentazione e di gioco degli artisti, desiderosi di dare voce a quelle ferite, a quelle visibili fratture di una società rotta dagli eventi storici e da cui aspirano separarsi.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – Una rivoluzione surrealista
La prima sezione, porta di ingresso nel mondo surrealista, contiene alcuni straordinari capolavori che fanno capire allo spettatore come il surrealismo non sia uno stile, ma un vero e proprio atteggiamento. Non a caso si parla di “mentalità” surrealista, che si esprime in diversi stili e discipline artistiche. Accanto al libretto originale del Manifesto del Surrealismo di André Breton, si può ammirare “Mae West Lips Sofa”, l’iconico sofà di Dalí a forma di labbra. Un’opera d’arte degli anni ’30 caratterizzata dalla particolare forma sinuosa, come labbra femminili, e dall’acceso colore rosso rubino. Icona della sensualità, dai contenuti esotici e scioccanti; Dalí ha voluto realizzare, con quest’opera artistica, una scultura che unisse, al tempo stesso, arte e arredamento. Disse che il suo divano non nasceva per essere usato come divano, ma per diventare l’oggetto simbolo dell’attrice statunitense Mae West, dalla quale rimase colpito. Dalí rimase affascinato dalle sue abbondanti curve sinuose, le sue labbra formose, dal colore – appunto – rosso rubino, e dai suoi comportamenti esuberanti. Icona del design e tributo alla genialità artistica e al talento di Dalí, in qualità di design d’arredamento, il divano Mae West, ancora oggi, viene riconosciuto in tutto il mondo, dopo quasi novant’anni dalla sua creazione e la realizzazione in diverse edizioni.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – Dadaismo e Surrealismo
La seconda sezione mostra le origini dadaiste del Surrealismo – con opere e pubblicazioni di Kurt Schwitters, Tristan Tzara e Francis Picabia. Presenta tre artisti Dada che hanno avuto un ruolo importante nel gruppo surrealista: Max Ernst, Man Ray e Marcel Duchamp. In mostra tra gli altri lavori, oltre al “Cadeau (Audace)” di Man Ray, anche la “Scatola in valigia” di Duchamp. Una sorta di opera nell’opera. Una valigia in pelle contenente copie di opere in miniatura. L’idea dell’autore era quella di costruire una sorta di album in cui raccogliere le riproduzioni di tutte le sue opere realizzate fino a quel momento. Duchamp realizzò concretamente l’idea in maniera nuova, rendendo il “catalogo” non cartaceo, ma contenitore tridimensionale: il raccoglitore delle riproduzioni delle sue opere diventa quindi opera in sé. La mente sognante “Siamo tutti in balia del sogno. E dobbiamo sottometterci al suo potere in uno stato di veglia” scrivevano i surrealisti. Fortemente influenzati dalle idee della psichiatria e della psicoanalisi del loro tempo hanno esplorato l’inconscio ed evocato mondi onirici, in una fusione perfetta tra psicologia e arte. A questo proposito, la terza sezione indaga in modo particolare la visione artistica di Salvador Dalí. Dalí era interessato a Freud e dipingeva anche paesaggi onirici, ma si accorse nel tempo che la sua tecnica pittorica era troppo lenta e che le immagini diventavano coscienti. Di conseguenza sviluppò il suo “metodo paranoico-critico”, che di fatto lo portò a creare immagini multi-interpretabili e “stratificate”. Tra le più significative, la “Venere di Milo a cassetti”: una scultura che riproduce la statua classica con una variante. Il corpo della statua greca è composto da cassetti apribili che alludono metaforicamente alle zone più profonde e segrete del nostro subconscio. Secondo Dalì significa oltrepassare i consolidati canoni di bellezza ideale tipica dell’arte classica.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – Il caso, l’irrazionale e il desiderio
La quarta sezione si concentra sui vari metodi usati dai surrealisti per ottenere l’accesso all’inconscio: dai giochi d’azzardo al collage, passando per scrittura e disegno. Alcuni addirittura hanno cercato mezzi e modi per avere le allucinazioni o hanno usato esperienze psicotiche nel loro lavoro. Uno dei capolavori più rilevanti di questa sezione è la tela di Eileen Agar che si intitola Figura seduta. Un lavoro che combina strutture di antichi animali, piante e alghe marine con il mondo aereo della sua immaginazione, nel tentativo di avvicinare nuovamente la cultura occidentale alla natura. Ma è nella sezione successiva che si arrivano a scoprire i desideri più intimi. La quinta sezione, infatti, raccoglie le opere che – in modo più o meno esplicito – trattano di amore e desiderio sessuale. I surrealisti esplorarono la loro sessualità per accedere ad aree che società borghese aveva represso da tempo. Un esempio ne è la Venere restaurata di Man Ray, presente in mostra. L’artista produsse sempre, con inesauribile ispirazione, quelli che chiamò “Oggetti d’affezione” e che rappresentano, in un certo senso, la versione antropomorfizzante della sua poetica. Un procedimento mentale che vuole sconvolgere i confini dell’arte tradizionale e della realtà quotidiana. Questi oggetti misteriosi, conturbanti, spesso ironici affondano le loro radici nel territorio poetico ed enigmatico del dadaismo, essendo in realtà pensieri-oggetto, forme paradossali di sottili emozioni cerebrali dell’artista. Con questa Venere acefala di gesso, avvolta in un intrico di spago, si entra nel territorio dell’erotismo, in un’atmosfera di fantasia sadica che non disturba, in un’ambiguità tra costrizione ed esaltazione della femminilità e della bellezza che, come scrisse Arturo Schwarz, non appare sottomessa, bensì trionfante.
Il Mudec di Milano ‘racconta il Surrealismo’ – Tra familiare e sud globale
La sesta sezione, intitolata “Stranamente familiare”, accoglie le opere di Meret Oppenheim, svizzera di origine tedesca, considerata una “musa ispiratrice” del movimento surrealista. Oppenheim infatti è ricordata per essere stata una delle modelle preferite del fotografo Man Ray, ma anche l’autrice di diversi dipinti iconici. Tra questi c’è “Sotto le resede”, opera il cui titolo è tratto dal libro “I Canti di Maldoror”. Ed è proprio in questo romanzo gotico del XIX – ammirato profondamente dai surrealisti – che si racconta come le resede, piccole piante che crescono ovunque in Europa, siano usate per descrivere il tipo di modestia dietro cui gli esseri umani nascondono la loro natura vera e malvagia. Infine, nell’ambito della mostra, c’è una sezione particolare che approfondisce il tema del complesso rapporto tra il Surrealismo e le culture del “sud globale”, termine usato negli studi postcoloniali per indicare i paesi identificati come “in via di sviluppo”. Un rapporto che costituisce un filo conduttore che accomuna numerosi protagonisti del movimento, a partire da André Breton, che scoprì l’arte a quel tempo detta “primitiva” sin da ragazzo, diventandone poi un importante collezionista. Per i surrealisti quello per le culture native non fu solamente un interesse di tipo estetico o collezionistico, ma costituì uno dei temi di riferimento del movimento. Avevano infatti una particolare predilezione per gli oggetti etnografici oceanici e dell’America del Nord, che apparivano ai loro occhi poetici e dotati di valenze magiche che ben si armonizzavano con la poetica del movimento.