Movimenti femministi più o meno sviluppati e radicati portano avanti le loro istanze nei diversi Paesi dell’Africa ponendo l’attenzione sull’importanza delle donne per lo sviluppo economico, sociale e culturale. Un continente immenso che negli ultimi anni ha visto una notevole evoluzione dal punto di vista dell’emancipazione delle donne, sia per quanto riguarda l’istruzione sia per l’emancipazione dai vincoli sociali. Le femministe hanno raggiunto grandi traguardi, non senza sfide difficili e battute d’arresto. Nel processo di promozione dei diritti delle donne le attiviste hanno dato un contributo fondamentale alla democratizzazione e alla modernizzazione dell’Africa. Una battaglia che, nei diversi Paesi, si è focalizzata sull’affermazione dei diritti in relazione alla riproduzione, alla violenza domestica, al congedo di maternità, alle molestie sessuali, alla parità salariale, al suffragio femminile e all’abuso sessuale. Volendo risalire alle origini del femminismo nel continente bisogna tornare indietro fino alla prima metà del Diciannovesimo secolo. Fu Nana Asma’u (1793-1864) la prima icona femminista che, con le sue battaglie, ebbe un influsso positivo in varie parti dell’Africa occidentale e persino sulle rive del Nilo e in Medio Oriente. La sua attenzione si concentrò sui deboli e i vulnerabili. Seguendo le orme del padre, trasmise il suo messaggio cercando di promuovere la virtù della pazienza, il bisogno di amore e rispetto nelle relazioni e l’uguaglianza nelle comunità. “Se educhi un uomo, educhi un individuo, ma se educhi una donna, educhi una famiglia (nazione)”, dice un famoso proverbio africano. Asma’u ne applicò il contenuto per illuminare le donne e quindi costruire e ricostruire intere famiglie e quindi intere comunità. Il suo attivismo è stato ricordato per secoli e molte donne hanno preso da lei spunto, portando avanti coraggiose battaglie ancora oggi.
Battaglie e conquiste del femminismo in Africa – Il progresso nella parte nord, movimenti e movimenti
Gli sviluppi più evidenti per il raggiungimento della parità di genere in Africa si sono registrati nei Paesi del nord, dove il femminismo ha un impatto sempre crescente e ha dato un contributo significativo al miglioramento dello scenario di democratizzazione dell’area, in particolare in Marocco. Nel Paese del nord Africa il movimento delle donne a partire dai primi anni Duemila ha lottato per raggiungere l’autonomia politica e finanziaria nei confronti del governo, dei partiti politici e di altre Istituzioni. I movimenti femministi hanno collaborato con alcune organizzazioni democratiche e agenzie governative su alcuni progetti specifici, per esempio quelli riguardanti la promozione dell’alfabetizzazione (l’analfabetismo femminile è sceso dal 78% nel 1962 al 2,4% nel 2021) e quindi dell’istruzione, per migliori condizioni di salute in particolare relativamente alla sfera della riproduzione. In Marocco è attiva da molti anni l’Association Democratique des Femmes du Maroc, fondata del 1985 e guidata dall’attivista storica Rabea Naciri, già protagonista nell’esecutivo dell’associazione non governativa Collectif 95 Maghreb Egalité, una rete di associazioni femminili e di ricercatori provenienti da Algeria, Marocco e Tunisia, il cui scopo è quello di prevenire la violenza contro le donne. Il governo stesso si è impegnato nel mantenere le Ong femministe con dei fondi finalizzati al raggiungimento della parità di genere e di uno sviluppo sostenibile e ha introdotto riforme legali e politiche, come la modifica della Costituzione, la riforma del codice di famiglia, l’aumento della rappresentanza in Parlamento. Pian piano negli spazi pubblici è diventato sempre più comune e usuale incontrare la rappresentanza femminile, così come in ruoli istituzionali. Dal 2016 al 2021 la rappresentanza femminile nel Parlamento del Marocco è aumentata dal 21% al 16% mentre in altri stati, come l’Algeria, è scesa dal 31% del 2017 all’8% del 2021.
Ciò è un riflesso del minore raggio di azione di cui godono i movimenti femministi in Algeria, in particolare quelli che si concentrano sui diritti politici e civili, poiché hanno meno libertà di espressione e meno finanziamenti. Altro caso, quello della Tunisia, dove il femminismo – diversamente dal Marocco – è decollato dopo la primavera araba (2011). Sono aumentate le manifestazioni, le proteste di piazza, i sit-in e le petizioni che hanno raccolto migliaia di firme grazie anche all’uso dei social media. Quando l’islam ha acquisito il potere, le attiviste hanno portato avanti – con successo – la propria battaglia per convincere il primo governo ad interim a impegnarsi a rispettare la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Un importante step è stato raggiunto nell’agosto del 2011 quando il governo tunisino ha riconosciuto l’uguaglianza nel matrimonio, nel divorzio e nell’affidamento. Grazie agli sforzi dei movimenti femministi, inoltre, più di recente è stata promossa una nuova legge che prevede una maggiore parità di genere nell’acquisizione delle eredità. Le stesse battaglie vengono portate avanti in Egitto. Dopo la rivoluzione egiziana del 2011 (che ha portato alle dimissioni di Mubarak e al cambiamento del regime politico in senso democratico), i movimenti femministi hanno trovato maggiore spazio di azione e hanno provato a spezzare i vari tabù sociali, per esempio il fatto che le donne non potessero svolgere tutta una serie di lavori considerati “maschili”. In un sondaggio del 2010 svolto su 1010 donne dal “Centro egiziano per i diritti delle donne“, il 98% delle donne straniere e l’83% delle donne native dichiararono di avere subito molestie sessuali e 2 uomini su 3 dichiararono di aver compiuto atti di molestia. Cifre allarmanti che fanno comprendere quanto sia stato prezioso e fondamentale l’impegno di quelle associazioni che si battono – non senza difficoltà e resistenze – per la difesa dei diritti delle donne. Tra queste c’è la New Women’s Foundation, fondata nel 1984 e guidata dall’attivista femminista Amal Abdel Hadi, che tra le altre cose ha messo in rete le associazioni femministe egiziane dando un forte contributo alla crescita della democrazia egiziana.
Battaglie e conquiste del femminismo in Africa – La rivoluzione delle nuove generazioni
Nel momento in cui – nel 2017 – in tutto il mondo è imperversato il movimento #MeToo, le attiviste africane hanno sposato coraggiosamente la causa, spesso sfidando contesti in cui la libertà di parola era quasi inesistente. In molti casi si è trattato di giovani donne dai 20 ai 35 anni che in Costa d’Avorio, Senegal, Guinea, Camerun e Benin sono scese per strada denunciando molestie fisiche e psicologiche e rivendicando, ancora una volta, i diritti delle donne. L’attivista beninese Chanceline Mevowanou ha sottolineato: “Ovviamente #MeToo ha risuonato con noi. Ma il fatto che le ragazze stiano diventando consapevoli dell’oppressione che subiscono è il risultato dell’accesso all’istruzione di massa. È una vittoria che dobbiamo ai nostri anziani”. Molte attiviste hanno approfittato dell’onda internazionale per lanciare campagne online che hanno avuto più o meno successo. A seguito di una serie di stupri e femminicidi in Senegal, Ndèye Fatou Kane, ricercatrice e femminista, ha creato nel 2018 il movimento #balancetonsaïsaï (“Fuori il tuo mascalzone”). Un’iniziativa molto coraggiosa che ha ricevuto un modesto sostegno. Nel 2020, poi, la giornalista ivoriana Bintou Mariam Traoré ha lanciato l’hashtag #vraifemmeafricaine (vera donna africana) che ha avuto ampio seguito nel mondo francofono come grido di liberazione contro i cliché legati alla donna africana considerata “autentica”. “Questa campagna è stata il nostro Metoo e ci ha permesso di mostrare alle donne africane quanto il femminismo sia liberatorio”, ha dichiarato Megan Boho, presidente della Lega ivoriana per i diritti delle donne. Quella delle organizzazioni femministe è anche una lotta alla sopravvivenza: spesso vengono respinte dalla società in quanto rappresentano una vera e propria minaccia di destabilizzazione per alcuni regimi. Nel portare avanti le loro battaglie, va sottolineato, tanti dei movimenti menzionati hanno subito un clima di forte violenza da parte degli anti-attivisti, ricevendo spesso l’accusa di essere “incaricate” dall’Occidente. Sicuramente c’è ancora molto da fare per colmare quelle disuguaglianze legali, sociali economiche e politiche che in molte aree del continente africano permangono ancora oggi.