Nella notte tra il 2 e il 3 maggio, un drone sorvola il Cremlino prima di essere abbattuto dalla contro area russa. Mentre lentamente scende dal cielo si notano le tribune già allestite per la parata del 9 maggio: il giorno della grande vittoria patriottica contro il nemico nazi fascista occidentale. Proprio a pochi metri dalle cupole, il drone esplode e le ore seguenti il governo russo dichiarerà che non ci sono stati morti e feriti. Mi tornano in mente le immagini di me ragazzino davanti alla televisione l’11 settembre del 2001. Ero di fronte ad una tecnologia oramai obsoleta, un tubo catodico, e degli aerei di linea si schiantavano nel cuore del mondo occidentale. Si scoprirà che gli attentatori legati al gruppo terroristico di Al Qaeda si erano addestrati con un videogioco: Flight Simulator. Si inseriva un cd e davanti un monitor e tastiera potevi pilotare aerei. Ci si domandava quanto la tecnologia fosse oramai evoluta e di come delle persone davanti un computer potessero quindi compiere l’atto terroristico più importante mai avvenuto. Anni dopo in una torrida giornata di maggio 2022, insieme a dei colleghi, mi ritrovo in una zona di campagna nel Donbass. La città di Severodonetsk stava cadendo, i ceceni filorussi avevano sfondato le linee ucraine e ogni giorno una parte della città veniva presa. Eravamo con due uomini delle forze speciali ucraine, due soldati giovanissimi laureati in ingegneria. Li seguiamo con la nostra macchina e li raggiungiamo in mezzo a degli alberi adiacenti ad un grande campo incolto. Nel giro di un’oretta i due soldati posizionano il ripetitore “Starlink”, il sistema satellitare di comunicazione prodotto da Elon Musk, e dal bagagliaio della macchina aprono due cassoni che si rivelano due grandi computer con monitor. Ad un certo punto montano il drone, un “Orlan-10”, inseriscono la scatola nera e lo lanciano tramite elastico nel cielo.
Come la tecnologia ha cambiato la guerra – Orlan-10
Le immagini sono impressionanti, il sistema di ricognizione dell’Orlan ci permette di vedere tutta l’area, la lente montata ha una definizione altissima, su uno dei monitor posso tranquillamente riconoscere le strade e i villaggi in prossimità della città di Severodonetsk. La loro missione era particolare: rintracciare un altro drone ucraino probabilmente disorientato perché disattivato nel controllo da remoto dagli uomini dell’esercito russo. L’Orlan-10 in pochi minuti scompare alla nostra vista, sentiamo solo per i primi secondi il tipico rumore dell’elica, poi niente, solo un cielo azzurro che sovrasta un campo d’erba. I ragazzi con sedie da esterni come fossero ad un picnic si mettono a tagliare il pane, e aprono orride scatolette di conserve, sono calmi perché siamo svariati chilometri dalle zone dei combattimenti. E intanto i due monitor continuano a far vedere immagini e sigle. I droni che sorvolano il cielo possono essere il grande pericolo per i soldati in trincea, che visivamente pare vivano un mondo più vecchio di almeno cinquant’anni. Assi di legno, reti per mimetizzarsi fatti con stoffe tagliate, piccoli fornellini per scaldare una brodaglia che dovrebbero avere il sapore di un caffè. Appena c’è l’avvertimento di un drone che sorvola l’area, gli occhi dei soldati perdono lucidità: dovete immaginare lo stesso sguardo di una lepre che mentre si trova nella boscaglia avverte la presenza di un rapace. Proprio come quei predatori dei cieli, i droni quando senti la loro presenza è già spesso troppo tardi.
E adesso come i caccia tradizionali vengono utilizzati per abbattere e combattere altri droni. L’evoluzione dei combattimenti aerei tra droni è un caso molto interessante, perché getta le basi di quello che sarà un futuro conflitto convenzionale. Sembrano secoli di quando in Siria nel 2016 le forze speciali francesi avevano riportato che ribelli siriani utilizzavano droni economici cinesi per azioni militari. Si tratta degli stessi droni che possiamo tranquillamente comprare per poche centinaia di euro in qualsiasi negozio o ordinare online. Chi ha assimilato molto bene questo fenomeno è un soldato volontario ucraino: “Combat Art” detto anche Dzyhit, lui è un dronista ed è anche un “influencer della guerra”, visto che migliaia di utenti visualizzano la sua pagina social network. Tra le sue storie e i suoi post è possibile vederlo all’opera: magari con un drone di quelli economici lui è riuscito ad installare un piccolo ordigno e la sua missione è di sganciare l’esplosivo dove individua i soldati nemici. In questa fase del suo lavoro vediamo tutta la tecnologia che viviamo anche noi qui in Europa: Instagram, il comando del drone tramite il proprio smartphone, la diretta fatta magari scappando dalla risposta dell’artiglieria russa che lo ha individuato e tenta di ucciderlo. Poi a casa sua nel piccolo appartamento nei pressi di Bakhmut, in una stanzetta invece prepara gli esplosivi su un tavolino e illuminato da una torcetta: pare di trovarsi in un covo di lealisti britannici nell’Irlanda del Nord degli anni ’70.
Come la tecnologia ha cambiato la guerra – Dai Buffalo Soldiers ai droni
La guerra in Ucraina è quindi formalmente una guerra ibrida, nuove tecnologie sono fondamentali per il risultato finale quanto la parte convenzionale dei combattimenti sul fronte. Mentre siamo nelle nostre case, migliaia di utenti nei canali telegram sia ucraini che russi diffondono notizie false per depistare quello che sta avvenendo sul suolo durante i combattimenti, anche tramite i social network è possibile avere risultati strategici. Il governo russo sono anni che insiste su questa tattica, non a caso il nuovo comandante in capo è Valery Gerasimov, uno dei principali teorici proprio di questo tipo di conflitto; secondo il generale russo il nemico si può battere sia sul terreno sia psicologicamente, e l’utilizzo di hackers è intenso perché una centrale elettrica può essere bombardata oppure hackerata nel sistema, l’importante è che sia colpita. Dall’altra parte gli Stati Uniti invece stanno investendo moltissimo nella tecnologia aerea dei droni, solamente nel 2021 il congresso americano ha autorizzato un fondo di investimento di 700 milioni di dollari per la ricerca e lo sviluppo di un sistema di difesa basato su questi mezzi. Si prospetta che l’investimento salirà fino ai 12 miliardi di dollari entro il 2030. Gli Stati Uniti quando devono investire in una tecnologia, o in una strategia, hanno sempre provato un percorso anche se magari non c’erano risultati, basti pensare che 125 anni fa investirono nelle biciclette per capire se potessero rivelarsi un mezzo militarmente utile creando un corpo di soldati, chiamata Buffalo Soldiers, che aveva il compito di muoversi nel paese sconvolto dalla guerra civile americana.
Eppure, tutto questo macrocosmo di tecnologie e ibridazioni sembra un altro mondo quando ci si ritrova nelle città assediate o nelle prime linee con le truppe che stanno combattendo. Si arriva magari in una zona da documentare in un furgoncino van di 30 anni fa, e i soldati hanno divise obsolete, lo stesso kalashnikov che hanno in mano potrebbe avere la mia età, alla fine il proiettile rimane lo stesso della guerra in Afghanistan. Nei dedali delle trincee del Donbass, tra il 2015 e il 2016, quando coprivo l’area occupata dai separatisti, non era raro vedere radio trasmettitori e ricevitori di tecnologia sovietica, e le annotazioni più importanti non venivano riportate su computer o altri mezzi tecnologici, ma su carta perché era il modo più sicuro per non farsi rubare determinate informazioni. Tantissimi reporter possono testimoniare che dalle linee del fronte sono parecchi i soldati che alla fine se devono raggiungere posti anche difficili si affidano a vecchie automobili “Lada” o furgoni “Ural”, che solo a vederli ti domandi come sia possibile che abbiano ancora un motore che si accenda nonostante tutti i fori di proiettile sulla carrozzeria. Alla fine, quindi, rimane il fatto che le guerre, come questa in Ucraina, possono evolversi e mostrare formidabili tecnologie, ma rimane un carnaio di uomini e donne che devono resistere e uccidere, perché il grilletto deve essere premuto e il territorio deve essere occupato fisicamente.
(foto copertina LaPresse)