Alle 9:15 del 17 maggio 1972, in via Cherubini 6, Milano, il Commissario capo di pubblica sicurezza Luigi Calabresi esce di casa per recarsi a lavoro presso l’Ufficio politico della Questura. A poca distanza dalla sua auto, Calabresi venne colpito alle spalle da tre colpi di arma da fuoco, di cui uno mortale. Il delitto venne rivendicato il giorno seguente dall’organizzazione politica extraparlamentare di sinistra Lotta Continua, come atto di vendetta conseguente alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, rimasto ucciso precipitando dalla finestra dell’ufficio della Questura di Milano dove era sottoposto a interrogatorio nell’ambito delle indagini sulla Strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Tra coloro che vennero considerati mandanti dell’omicidio c’è anche il nome di Giorgio Pietrostefani, uno dei dieci ex terroristi italiani ai quali la Francia ha negato lo scorso 28 marzo l’estradizione in Italia. La Corte di Cassazione francese, infatti, ha respinto tutti i ricorsi presentati dal Procuratore generale contro la decisione della quinta Chambre de l’Instruction della Corte di Appello di Parigi che, con dieci sentenze rese in data 29 giugno 2022, aveva espresso parere contrario all’estradizione chiesta dallo Stato italiano il 28 gennaio 2020. Tutta la questione risulta essere molto più complessa della sola mera decisione giudiziaria francese, perché questa è una vicenda che ha inizio in uno dei più sanguinosi e conflittuali periodi della storia della Repubblica Italiana, quella che per due decenni, dal finire degli anni Sessanta fino ai primi anni Ottanta del Novecento, prese il nome degli Anni di Piombo. Venti di terrore si abbattevano su tutta l’Europa, considerata all’epoca uno dei più attivi fronti terroristici mondiali. L’Italia era lo stato europeo col più alto numero di attentati, fra il 1969 ed il 1982 si contarono, infatti, ben 351 morti per atti di violenza politica.
Dieci ex terroristi italiani sono bloccati in Francia – La dottrina Mitterand
I dieci ex terroristi italiani in territorio francese erano stati arrestati nell’aprile 2021 nell’ambito dell’operazione Ombre Rosse. Dalla fine degli anni Settanta, infatti, molti appartenenti a gruppi considerati di matrice terroristica e accusati di essere i mandanti di omicidi a danno dello Stato, fecero della Francia il loro rifugio, agevolati, poi, da quella che nel 1985 prese il nome della dottrina Mitterand. L’allora presidente socialista francese Francois Mitterand, infatti, promise di non estradare i condannati per atti “di natura violenta, ma di ispirazione politica” che avessero rinunciato al terrorismo e alla lotta armata e non fossero implicati in crimini di sangue. Tornando al caso degli ex dieci terroristi italiani in questione, però, la presenza di un collegamento, diretto o indiretto, a reati di omicidi è presente in tutte le domande di estradizione presentate dal governo italiano in questi anni. Tornando al 1981, però, ci furono dei tentativi francesi di collaborazione con il governo italiano. L’allora presidente Jacques Chirac firmò due decreti di estradizione che furono di fatto applicati anni dopo contravvenendo alla dottrina Mitterand: nel 1995 ci fu quello di Paolo Persichetti, ex militante delle Brigate Rosse- Unione dei Comunisti Combattenti, che nel 1991 venne condannato in via definitiva a 22 anni e mezzo di carcere per partecipazione a banda armata. Estradato in Italia nel 2002, ha terminato la sua carcerazione nel 2014. La seconda domanda di estradizione venne fatta per il più noto nome di Cesare Battisti, ex membro dei PAC – Proletari Armati per il Comunismo– la sua fuga in Francia mentre in Italia venne condannato in contumacia all’ergastolo per aver preso parte o fornito copertura armata a quattro omicidi. Nel 2004, però, fugge in Brasile, dove viene arrestato nel 2007 per l’ingresso illegale nel Paese. Due anni più tardi ottenne lo status di rifugiato politico sotto la presidenza Lula, che blocca, di fatto, la domanda di estradizione.
Nel 2019, poi, il leader dei PAC continuò la sua latitanza fino all’arresto avvenuto in Bolivia e successivo trasferimento in Italia, presso il carcere di Ferrara. Gli anni passano e la richiesta italiana, seppur con cadenza poco costante, continua a pressare il governo francese. Qualcosa cambiò il giorno 8 aprile 2021, quando la ministra della Giustizia Marta Cartabia trasmise ufficialmente al suo omologo francese Eric Dupond-Moretti: ‘La richiesta urgente delle autorità italiane di non lasciare impuniti gli attentati delle Brigate rosse’, richiesta, questa, che diede il via in data 28 aprile all’operazione di ricerca e arresto Ombre Rosse. A distanza di due anni, la presa di posizione della giustizia francese che, di fatto, cambia nuovamente le carte sul tavolo, contraddice anche alla linea politica portata avanti dall’attuale presidente Emmanuel Macron, una linea, la sua, di volontà nel collaborare con il governo italiano. Il ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio ha commentato il rifiuto all’estradizione ponendo l’attenzione sulle vittime del terrorismo e sui familiari delle stesse: “Il mio pensiero va alle vittime del terrorismo. Ho vissuto da pm in prima persona quegli anni drammatici e oggi il mio primo commosso pensiero non può che essere rivolto a tutte le vittime di quella sanguinosa stagione e ai loro familiari, che hanno atteso per anni, insieme all’intero Paese, una risposta dalla giustizia francese. Faccio pertanto mie le parole di Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso 51 anni fa, nella speranza che chi allora non esitò ad uccidere ora senta il bisogno di fare i conti con le proprie responsabilità e abbia il coraggio di contribuire alla verità”. Il presidente francese Emmanuel Macron, il giorno dopo, così dichiarò alla stampa: “Quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia”.
Dieci ex terroristi italiani sono bloccati in Francia – Chi sono?
Di cosa sono accusate dallo Stato Italiano? Oltre alla condanna come mandante dell’omicidio Calabresi inflitta a Giorgio Pietrostefani, ex dirigente di Lotta Continua, ci sono i casi di Luigi Bergamin, ex membro dei Pac – Proletari Armati del Comunismo– classe 1948 ha sulla testa una condanna a 25 anni per associazione sovversiva, banda armata e concorso morale negli omicidi commessi da Cesare Battisti del maresciallo Antonio Santoro e dell’agente Andrea Campagna (pena prescritta nel 2008), avvenuti nel 1978 e 1979. Nanciso Manetti è nato nel 1957, ha una condanna all’ergastolo per l’omicidio aggravato dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri, assassinato a Bergamo il 13 marzo 1979. L’ex militante di Autonomia Operaia Raffaele Ventura è condannato a 20 anni per concorso morale nell’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra, avvenuto a Milano il 14 maggio 1977. Ci sono, poi, sei ex appartenenti alle Brigate Rosse: Giovanni Alimonti, di anni 66, accusato del tentato omicidio di Nicola Simone, un vicedirigente della Digos, accaduto nel 1982. Marina Petrella, di 67 anni, è invece accusata di essere responsabile dell’omicidio del generale Galvaligi. La Petrella, dopo aver sposato il brigatista Luigi Novelli, ebbe una prima figlia in carcere in Italia. Dopo la sua fuga in Francia ebbe una seconda figlia da un’altra unione. La primogenita si è battuta per l’amnistia di sua madre, fin da quando nel 2008 l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy fermò l’estradizione per “ragioni umanitarie”: in quel periodo Marina Petrella era ricoverata in ospedale in gravi condizioni fisiche.
Sergio Tornaghi, nato nel 1958, è condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della azienda milanese di metalmeccanica Ercole Marelli, ucciso sulla metropolitana con due colpi di pistola sparatigli da uno dei due componenti del commando terroristico. La cronaca di allora racconta che, prima di fuggire, uno degli autori del fatto gridò: “Siamo delle BR. Non preoccupatevi, tanto era uno sfruttatore”. Il sessantenne Maurizio Di Marzio, anch’esso ex brigatista rosso, oggi fa il ristoratore in Francia, il suo nome è legato all’attentato al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi, risalente al 1981 e al tentato sequestro del vicecapo della Digos della capitale Nicola Simone. Chiude la lista dei nomi Enzo Calvitti classe 1956, deve scontare 18 anni, 7 mesi e 25 giorni di reclusione, oltre alla misura di sicurezza della libertà vigilata per 4 anni, per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi. La sentenza è divenuta esecutiva a settembre del 1992, il mandato di cattura europeo nei suoi confronti è scaduto lo scorso 21 dicembre del 2021. Anche lui, condannato a 21 anni per tentato omicidio di Nicola Simone. Calvitti sarà poi il nome che verrà legato alla nascita di Seconda Posizione, movimento scisso dalle BR dopo un lungo periodo di contrasti interni al gruppo e che ha portato alla definitiva divisione interna dopo il caso del rapimento ed assassinio di Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978.
Dieci ex terroristi italiani sono bloccati in Francia – Le motivazioni della giustizia francese e la Cedu
La giustizia francese ha sempre motivato la sua decisione, da ultima confermata dalla Cassazione a marzo di questo anno, affermando che gli ex terroristi sono stati giudicati colpevoli dalla giustizia italiana “in contumacia”, senza, cioè, aver avuto la possibilità di difendersi in un nuovo processo, visto che la legge italiana non offre questa garanzia. A far leva su tale motivazione è l’incompatibilità della contumacia con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Nello specifico, i giudici francesi richiamano l’articolo 6 della Cedu che cita testualmente: ‘Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.’ Questo perché alcuni dei dieci terroristi si erano già rifugiati in Francia quando vennero giudicati dalla giustizia italiana e dunque non presero parte al processo. In conclusione, poichè il sistema italiano non fornisce la possibilità, per i condannati giudicati in contumacia, di richiedere la riapertura del procedimento penale, queste condanne così inflitte vengono considerate non conformi alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. L’altra motivazione espressa dalla giustizia francese si avvale anche a quanto espresso nell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. La quasi totalità delle persone condannate, infatti, ha vissuto in Francia per circa 25-40 anni, un Paese in cui la loro situazione familiare è divenuta stabile. Sono ripartiti da zero, costruendosi un percorso professionale e personale, inseriti socialmente, senza più nessun legame con l’Italia. Per questo motivo – dicono i giudici francesi – la loro estradizione causerebbe un danno gravoso al loro diritto al rispetto della vita privata e familiare. L’estradizione, dunque, comporterebbe, sempre secondo i giudici francese, un rischio alla loro vita oltre a non essere più considerata attuale la loro pericolosità, il cui giudizio, dice la giustizia francese, non può dipendere soltanto dalla gravità dei titoli di reato commessi molti anni fa e per i quali sono intervenute le condanne ancora in corso. Gli aspetti tecnici legati alla giurisdizione sia italiana che francese, non colmano però il vuoto lasciato dal profondo dolore dei familiari delle vittime e dello sdegno dell’opinione pubblica italiana. Sentimenti di rabbia e frustrazione che da quasi quarant’anni non trovano giustizia.