– Signor Trincia?
– Eccomi.
– Ci scusi per l’attesa. Dove ha impiantato il chip?
– Qui, sul polso sinistro.
– Appoggi pure la mano sul bancone, grazie. Ecco. Le ho abilitato tutti gli accessi.
– Quanto tempo avrò?
– Quindici minuti. Meg la aspetta all’edificio 12. La accompagno.
Hannah, la ragazza alla reception – bassa di statura, capelli rasati ai lati, sneakers bianche, jeans larghi e una felpa hoodie color senape con la scritta nera “Don’t F**k, Masturbate” (“Non scop**te, masturbatevi”) mi fa strada lungo un corridoio pieno di piante verdi fino a una macchinetta elettrica, con la quale attraversiamo l’immenso campus di OurPleasure.
Sfiliamo silenziosamente tra complessi in acciaio, bungalow a schiera in quercia californiana ed enormi depositi in mattoni pitturati di bianco separati da aree verdi dove oziano ragazzi poco più che ventenni con una birra in mano e un badge al collo. Hanno finito il turno, spiega Hannah distrattamente. Qui si lavora sei ore, per un massimo di 30 ore alla settimana. Eccoci, siamo arrivati.