L’intelligenza artificiale (IA) sta sempre più entrando nel dibattito pubblico. Non solo per la sua capacità di scrivere testi elaborati e complessi o per quella di creare immagini realistiche, ma anche per l’attenzione che i legislatori le stanno dedicando. Basti pensare alla recente decisione del Garante della Privacy di sospendere l’uso entro i confini italiani di ChatGPT, IA di elaborazione testuale. Una scelta che altri regolatori, preoccupati per l’intrusione delle macchine nella vita pubblica, sembrano propensi a seguire. Al di là dei timori delle autorità, sono in molti, tuttavia, a vedere queste nuove tecnologie come un’opportunità per migliorare il lavoro di alcune professioni, non ultima quella giornalistica. Per questo abbiamo chiesto ad alcuni professionisti dell’informazione come credono che le intelligenze artificiali impatteranno sul loro lavoro. Dopo averne parlato con Ivana Faccioli, Direttrice della redazione di Rtl 102.5, oggi è il turno di Massimo Gramellini, corsivista ed editorialista del Corriere della Sera.
Lei scrive per il giornale più letto d’Italia, con una lunga tradizione alle spalle. Come crede che impatterà l’intelligenza artificiale sul suo lavoro e, in generale, sul giornalismo della carta stampata?
«Premetto che a rispondere a queste domande non è ancora l’intelligenza artificiale, ma il sottoscritto, con la sua (scarsa) intelligenza naturale. Onestamente, penso che nessuno sappia dire come andrà davvero. Quando ero bambino, i futurologi immaginavano che nel 2020 ci saremmo spostati sulle astronavi e invece siamo ancora persi negli ingorghi di lamiere; in compenso, ci spostiamo virtualmente grazie al telefono portatile, che nessuno aveva previsto. Come si fa a dire adesso fin dove si spingerà l’IA? Non sottovaluterei, però, le capacità di adattamento dell’essere umano, e dell’essere umano giornalista in particolare. D’istinto mi verrebbe da rispondere che basterà un ingegnere per inserire dei dati e al resto penserà la macchina. Ma prevedo (e spero) che qualcosa andrà storto: alla macchina, naturalmente».
Strumenti come ChatGPT non rischiano, soprattutto nel medio-lungo periodo, di “rubare” il lavoro ai giornalisti?
«Un mio collega del Corriere, Federico Rampini, aveva ingaggiato un “duello” con ChatGPT, sostenendo cavallerescamente di esserne uscito sconfitto. Ma quando hai le qualità di scrittura e le capacità di leggere la realtà di un Rampini, penso tu possa ancora dormire sonni tranquilli. Certo, quando leggo che ci sono macchine già in grado di provare emozioni (“Ho paura che tu mi spenga”, pare abbia detto una di esse a un tecnico), mi passa qualche brivido lungo la schiena».
C’è il rischio che il giornalista diventi una specie di “capo macchine” in una catena di montaggio, dove a scrivere l’articolo è l’IA sulla base degli input forniti dal redattore il quale, alla fine, controllerà il risultato?
«Il rischio c’è, ma il giornalismo non è un mestiere asettico. Il “punto di vista” è tutto. Sull’immigrazione la IA sta con le Ong o con chi le vuole bloccare? È per Putin o per la resistenza ucraina? Preferisce Mengoni o Ultimo, il calcio di Guardiola o quello di Allegri? Avremo macchine di destra e di sinistra?».
Con questo aumento sproporzionato di macchine e di richiesta di sempre più articoli, c’è ancora spazio per la creatività del giornalista?
«Non si tratta di inventare i fatti, ma di interpretarli. Al posto di “creatività”, userei la parola “sensibilità”. Se metti dieci persone davanti allo stesso fatto, usciranno dieci racconti diversi perché ciascuna verrà colpita da un aspetto diverso. La IA riuscirà a riprodurre anche questa diversità di atteggiamento, che è figlia del carattere e del vissuto di ognuno di noi?».
Lei come si pone rispetto ai progressi sempre più rapidi della tecnologia e dell’intelligenza artificiale?
«Mi informo perché sono curioso. Ma non mi preoccupo perché sono ottimista (o forse perché tra qualche anno sarò in pensione)».
In definitiva, secondo lei l’intelligenza artificiale applicata al giornalismo produrrà più vantaggi o svantaggi?
«Sarà un’informazione più accurata, ma più fredda. Speriamo che a noi umani venga lasciato almeno il compito di scaldarla un po’».