“In un mondo in cui la velocità e l’accuratezza delle informazioni sono sempre più importanti, l’intelligenza artificiale rappresenta una grande opportunità per il giornalismo di continuare a evolversi e ad adattarsi alle esigenze dei tempi”. Parola di Chat GPT (Generative Pretrained Transformer), lo strumento che sfrutta algoritmi avanzati di apprendimento automatico per simulare conversazioni simili a quelle umane e che, interrogato da il Millimetro sulla possibilità che l’IA possa diventare una minaccia per il lavoro di tanti giornalisti, risponde di no e che, anzi, può essere una grande opportunità. Ma visto che “non domandare all’oste se il vino è buono” è un proverbio mai passato di moda, abbiamo pensato di rivolgere la stessa domanda a giornalisti in carne e ossa. Il Millimetro infatti ha deciso di avviare un ciclo di tre interviste a tre grandi giornalisti italiani, appartenenti al mondo della carta stampata, del giornalismo radiofonico e di quello televisivo: Massimo Gramellini (Il Corriere della Sera), Ivana Faccioli (Rtl 102.5), Mariangela Pira (Sky TG24). Oggi è il turno di Ivana Faccioli, direttrice della redazione di Rtl 102.5.
Lei dirige le news della radio più ascoltata d’Italia. Come crede che impatterà l’intelligenza artificiale sul suo lavoro e, in generale, sul giornalismo radiofonico?
«Una società specializzata, nel 2012, profetizzò che entro quindici anni tutti gli articoli sarebbero stati scritti da un’intelligenza artificiale. In realtà, siamo ancora lontani da questo tipo di futuro e il fattore umano resta fondamentale. Il giornalismo radiofonico ha poi caratteristiche particolari. Si fonda su immediatezza, chiarezza e capacità di sintesi. Aspetti che difficilmente possono essere esercitati se manca la componente tutta umana del pensiero critico. Credo che noi ‘radiofonici’ impareremo comunque a convivere pacificamente con l’IA, che può essere molto utile, per esempio, per confezionare pezzi per il sito internet della radio o per stendere domande non banali per un’intervista».
Come può essere impiegata l’intelligenza artificiale in una radio come la sua?
«Può essere molto più performante per programmatori e speaker che per i giornalisti. Per esempio, può creare un palinsesto musicale ragionato e che prenda in considerazione infiniti incroci di fattori. Oppure può dare una mano ai conduttori in onda per costruire notizie musicali approfondite o per scrivere testi che possano essere da ispirazione per i talk in onda».
Di recente è “scoppiato” il caso ChatGPT. Come impatta uno strumento del genere sul lavoro di un giornalista? Nel medio-lungo periodo, con i progressi sempre più tangibili dell’intelligenza artificiale, tool simili non rischiano di “rubare” il lavoro ai giornalisti? Se no, cos’è che ChatGPT (e l’intelligenza artificiale, in generale) non ha/non può fare che invece ha/può fare un giornalista?
«Come dicevo, il pensiero critico resterà il faro del giornalista, che ha, come unico scopo, quello di comunicare la verità. Dubito seriamente, ma proprio non lo voglio credere, che in un futuro prossimo la figura del cronista possa essere oscurata dall’intelligenza artificiale. Abbiamo provato tutti ChatGPT e, per certi versi, è stupefacente. Però, e questo lo si capisce anche a un primo utilizzo, può commettere errori, soprattutto se in gioco ci sono le storie delle persone. Forse potrebbe invece essere una svolta per l’elaborazione di dati. So che l’IA viene usata in modo performante negli Stati Uniti per notizie piene di numeri, finanziarie o sportive».
Quindi non c’è il rischio che il giornalista diventi una specie di “capo macchine” in una catena di montaggio, dove a scrivere l’articolo è l’intelligenza artificiale sulla base degli input forniti dal redattore il quale, alla fine, controllerà il risultato?
«Preferisco vederla come un’opportunità più che come un rischio. Non mi ci vedo come capo macchina. D’altro canto, l’ultima campagna pubblicitaria di RTL 102.5 è basata proprio sul potere degli esseri umani, su ciò che noi possiamo contrapporre all’algoritmo. Insomma, i computer hanno programmi, ma non hanno storie».
Con questo aumento sproporzionato di macchine e di richiesta di sempre più articoli, c’è ancora spazio per la creatività del giornalista? Ma poi, è davvero necessaria la creatività o contano solo i fatti?
«Più che la creatività, sono convinta che ci sia qualcosa di insostituibile che deve possedere un giornalista: il senso della notizia. Ho visto tanti giovani volenterosi, ma a cui mancava questa parte fondamentale. Una volta che hai percepito quale sia la notizia, poi il lavoro è in discesa. Puoi farlo in modo più o meno creativo, ma hai preso la strada giusta».
Lei come si pone rispetto ai cambiamenti sempre più rapidi imposti dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale?
«Io vivo il rapporto con la tecnologia in modo molto sereno. Non sono una nativa digitale e forse qualche volta sono un po’ ‘boomer’, ma ho sempre cercato di rendermela amica per non farla diventare un problema. Accetto e accetterò volentieri l’aiuto che la l’IA potrà darmi, ma penso che sarà sempre il mio dito a schiacciare quel pulsante che apre il microfono e la mia mente che elaborerà un pensiero, anche avendo pochi secondi a disposizione per deciderlo e farlo».
In definitiva, secondo lei l’intelligenza artificiale applicata al giornalismo produrrà più vantaggi o svantaggi?
«Credo più vantaggi. Farà ordine, darà spunti, idee. Insomma, ci sarà utile, ma il fattore umano ed emotivo resterà la parte più importante del giornalista».