Morire di freddo: il dramma dei clochard

Modesta Valenti aveva 71 anni quando la mattina del 31 gennaio del 1983, dopo l’ennesima notte passata al freddo alla Stazione Termini di Roma, perse la vita. Morì perché a causa delle condizioni in cui viveva, era sporca e aveva i pidocchi, nessuna ambulanza volle soccorrerla. Dopo 4 ore di agonia, una arrivò e decise di caricarla.  Era ormai troppo tardi. Sono passati 30 anni esatti e dopo di lei sono ancora tanti, troppi, i senza dimora che perdono la vita nei rifugi improvvisati, sotto i cavalcavia, vicino alle stazioni o sulle panchine. Muoiono d’inverno, quando le temperature si abbassano e i loro corpi non sono più in grado di proteggersi dal freddo. Storie che addolorano, che sono spesso simbolo dell’indifferenza umana. Per la gran parte della popolazione sono “invisibili”. Eppure, si stima che in Italia, i senza fissa dimora, siano oltre mezzo milione. Ma sono stime. Stime che si aggiungono ai drammatici dati sulla povertà. Nell’ultimo report di giugno scorso, l’Istat calcola che siano cinque milioni e seicento mila le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta nel nostro Paese: il 9,4% della popolazione. Complice la pandemia, la povertà ha raggiunto il livello più elevato dal 2005. Non si sa dunque con esattezza quanti siano e soprattutto quanti ne muoiano ogni anno perché vivono come fantasmi. Oltre a non avere una casa, spesso non hanno documenti, non sono inseriti in nessun’anagrafe. Non si hanno nemmeno indicazioni precise sulla loro nascita o le loro origini. È così un po’ ovunque. Non solo a Roma, ma anche a Genova, Milano, Torino, Firenze, Pescara e in tutte le grandi città italiane. Qui i numeri sono decisamente più elevanti, ma negli anni anche nelle realtà più piccole non mancano situazioni di degrado. Come affrontano i senza tetto le gelide notti invernali? Cosa propongono i Comuni delle metropoli italiane? E soprattutto sono sufficienti strumenti e risorse per arginare questo problema?

Morire di freddo: il dramma dei clochard

Emergenza freddo – Cosa offre il Comune di Roma

Nella Capitale, dal 2002, la Sala Operativa Sociale (S.O.S.) affronta le emergenze sociali attivando percorsi individualizzati. Il servizio, come si legge nel sito istituzionale del Comune, si avvale di un call center in cui lavorano oltre cento operatori sociali, che rispondono tutto l’anno 24 ore su 24 a un numero verde. L’intervento viene attivato sia dopo una segnalazione al centralino, sia grazie alle unità di strada che svolgono un monitoraggio costante della città.  Attraverso le unità di strada, la Sala Operativa interviene sul luogo della segnalazione e, dove necessario, affida le persone ad un referente istituzionale o a strutture del circuito di accoglienza. L’Unità di strada e i centri di accoglienza, inoltre, provvedono alla fornitura di beni di prima necessità nelle situazioni più estreme.

Emergenza freddo – Come affronta il problema Milano

Piano freddo – Milano Aiuta”. È il nome del progetto, attivo da fine novembre a metà marzo, che prevede interventi sul territorio per le persone senza dimora per affrontare il periodo invernale e le temperature rigide. Grazie al progetto, il Comune lavora al potenziamento dei posti letto disponibili e aumenta il numero di uscite delle Unità Mobili di Strada che, ogni sera, percorrono le vie della città alla ricerca delle situazioni più vulnerabili, distribuiscono generi di conforto, monitorano le loro condizioni di salute e attraverso la relazione offrono loro accoglienza. Come per Roma anche a Milano è attivo, 24 ore su 24, un numero verde da chiamare per segnalare le persone in stato di necessità.

Emergenza freddo – L’intervento delle comunità

Quelli di Roma e Milano sono solo alcuni esempi. Nella maggior parte delle città il servizio è quello: un numero verde per le segnalazioni, unità mobili e posti letto. Ma nonostante gli sforzi le difficoltà ci sono. Ma come ci sono le difficoltà – fortunatamente – ci sono anche persone disposte a offrire tempo e professionalità per cercare di togliere il maggior numero di persone dalla strada, spesso collaborando proprio con le amministrazioni locali. Sono molte infatti le realtà associative, come fondazioni, onlus e cooperative, fondate in Italia per rispondere all’emergenza.

Emergenza freddo – L’aiuto di Fondazione Progetto Arca

Tra queste c’è la Fondazione Progetto Arca, nata a Milano nel 1994 e ormai attiva in molte città italiane. “Le grandi città sono ricettacolo perché sono quelle dove ci sono più servizi come mense, dormitori e docce. Sicuramente più una città è grande e più attrae i senza fissa dimora” spiega il presidente della Fondazione, Alberto Sinigallia.

Emergenza freddo – Le unità mobili e il primo approccio

Ed è per questo che nelle città più grandi sono state attivate la maggior parte delle Unità di strada, per offrire un primo aiuto concreto e immediato alle persone senza dimora.  “Sono attive tutto l’anno a Milano, Roma e Napoli. Ad ogni uscita – prosegue Sinigallia – distribuiamo beni di prima necessità, come vestiti e cibo, ma rileviamo anche i bisogni sanitari e psicologici offrendo a chi ne ha bisogno orientamento sui servizi di assistenza del territorio. La distribuzione di pasti caldi e generi di conforto allevia le persone dal disagio della vita in strada ma non è mai solo la risposta ad un bisogno. È il primo passo per instaurare un dialogo e creare una relazione di fiducia: condizione indispensabile per avvicinare ai servizi di assistenza e favorire l’avvio di un percorso di accoglienza e reinserimento sociale. L’assistenza in strada si intensifica durante i mesi invernali, i più duri per chi vive sottozero senza un riparo dal freddo”. Fondamentale è la collaborazione dei cittadini: “grazie anche alle loro segnalazioni su persone senza dimora in stato di particolare fragilità e abbandono, le Unità di strada, in rete fra loro, si muovono per raggiungerle, valutare sul posto la situazione e provare a convincerle ad accettare un posto letto al caldo e al sicuro. Spesso sono loro che ci vengono a cercare per avere cibo, sacchi a pelo e kit igienici. Cercare queste cose poi non significa automaticamente aprirsi a noi e instaurare subito un rapporto. Per quello ci vuole più tempo”.

Emergenza freddo per il 9,4% della popolazione del nostro Paese. Le storie di chi ce l’ha fatta grazie all’amore dei volontari.
Alberto Sinigallia, presidente Fondazione Progetto Arca

Emergenza freddo – L’effetto pandemia di un fenomeno sempre più italiano

Ma l’aiuto non si limita alle unità mobili. Nelle realtà più popolose, Fondazione Progetto Arca ha attivato i dormitori, quei “rifugi da cui la vita riparte”, come dicono loro.  Un letto pulito, una doccia calda, abiti, cure mediche e la sicurezza di un pasto. Ma anche uno sportello di ascolto, aperto ad assecondare il desiderio di cambiamento di ogni persona. Il centro, realizzato a Milano, è aperto tutto l’anno, 24 ore al giorno, accoglie fino a 200 persone senza dimora che “provengono da ogni parte del mondo. Anche se – sottolinea – con il passare degli anni il numero di stranieri si è ridotto e quello degli italiani sta aumentando al punto tale che ha addirittura superato quello degli stranieri”. Si tratta soprattutto di uomini. “Per strada – spiega il presidente – si vedono meno donne perché purtroppo non si deve dimenticare il fenomeno della prostituzione che le vede coinvolte. Capita spesso che donne finite in povertà entrino in questi giri pur di avere un alloggio”. Uomini, donne, italiani o stranieri che siano, ognuno è finito in strada per un motivo diverso. Chi perché arrivato clandestino con la promessa di un lavoro si è poi trovato senza niente, chi per problemi psichici o di dipendenze. A peggiorare la situazione la pandemia che “ha incrementato separazioni coniugali, quindi sfratti che sono sfociati poi in dipendenze. I motivi che portano le persone in strada sono molti, ma quello dei divorzi è uno dei più frequenti. L’uomo va via da casa, se non sa dove andare, dorme in auto, data la situazione inizia a bere o anche ad assumere sostanze e poi finisce in strada”.

Emergenza freddo – Le cucine mobili e gli altri servizi

“La pandemia non solo ha contribuito ad incrementare il numero di senza fissa dimora, ma anche limitato i servizi rivolti a questi problemi a livello di aiuti. Durante la fase più dura dell’emergenza, molte mense erano chiuse e quindi sempre più persone si son trovate senza un pasto caldo. Da qui – prosegue – è nata l’idea delle cucine mobili. Un progetto che, nonostante le mense siano state riaperte, continuiamo a portare avanti in varie città come Milano, Varese, Torino, Padova, Roma, Napoli e Bari”. Oggi, complessivamente, servono oltre 2 mila cene calde, e altrettante prime colazioni, ogni settimana con i food truck: vere e proprie mense itineranti su ruote, attrezzate con forno, fornelli e bollitori.

Emergenza freddo – Dalla casa di accoglienza reinserimento

L’obiettivo finale, però, è quello di far sì che queste persone non tornino più in strada. E per farlo devono riuscire ad ottenere una casa e un lavoro. “Per chi lo vuole, dopo l’accoglienza nei dormitori, noi offriamo prima la casa poi il reinserimento lavorativo perché senza casa non trovi lavoro. Noi abbiamo 130 case su Milano e altrettante in altre città”. Ed è così che, una volta accolte, partendo da un colloquio individuale d’ingresso, un’équipe multiprofessionale composta da assistenti sociali, psicologi, medici, infermieri, OSS e operatori, rileva i bisogni della persona e attiva la rete di supporto funzionale al suo progetto di integrazione sociale. “Affianchiamo ogni ospite nella gestione dei rapporti con i servizi sociali e sanitari del territorio, nelle procedure burocratiche per regolarizzare documenti, ottenere permessi e nell’avvio di consulenze legali gratuite, lo accompagniamo alle visite mediche e agli appuntamenti presso gli uffici pubblici. Le nostre équipe, in rete con i servizi sociali del territorio, seguono e accompagnano la persona nel suo progetto educativo che ha come primo obiettivo la conquista di una stabilità personale e come scopo il passaggio a soluzioni abitative autonome e durature.

Morire di freddo: il dramma dei clochard

Emergenza freddo – Le storie di chi ce l’ha fatta

Sono centinaia le persone che, ogni anno, grazie alla Fondazione vengono reinserite nella società. Tornano ad avere una casa, un lavoro, una vita. Come i due gemelli egiziani, Sameh e Hani, arrivati clandestinamente in Italia quando erano ancora minorenni, che ora hanno un lavoro, una casa e il sogno di comprare anche una pizzeria. Antonella e Raffaele, invece, sono italiani. Hanno vissuto per otto anni in strada e oggi vivono in uno degli appartamenti della fondazione. Lyousi, invece, è una musicista diplomata in pianoforte, che 30 anni fa ha lasciato il suo Paese per fuggire alle discriminazioni che colpivano le persone omosessuali e transessuali come lei. Arriva in Italia con il suo quartetto musicale e in tasca una proposta di lavoro, ma l’esperienza ha purtroppo vita breve. I guadagni sono magrissimi, il gruppo si scoglie e fa ritorno a L’Avana. Lyousi non demorde: resta in Italia per inseguire il suo sogno. All’inizio le cose vanno bene. poi con lo scoppio della pandemia, chiudono tutti i locali, gli spettacoli vengono cancellati e Lyousi, senza un lavoro, non ha più la possibilità di sostenere l’affitto. Comincia così il suo peregrinare da una casa all’altra di amici che le offrono ospitalità, ma con l’andare del tempo gli aiuti si diradano. L’ultimo rifugio è una cantina senza riscaldamento e servizi igienici dove resiste per sette mesi. Quando anche questo riparo di fortuna viene meno e finire in strada non è più una possibilità ma una minaccia sempre più concreta, Lyousi chiede aiuto agli operatori del Centro Sammartini di Milano che subito la mettono in contatto con Progetto Arca. Ora ha un tetto e un nuovo lavoro: all’alba dei 60 anni, Lyousi si reinventa di nuovo, questa volta come addetta alla vendita per una nota catena di pizzerie italiana. Ed è tornata a sorridere.

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