A Paks, cittadina ungherese di poco meno di 20.000 abitanti a circa 110 km a sud di Budapest, è difficile credere che le previsioni non vadano più molto d’accordo con la realtà dei fatti. Almeno da quando è iniziata la guerra su larga scala in Ucraina alla fine del febbraio del 2022, e da quando l’Unione Europea, di cui fa parte l’Ungheria, ha imposto ingenti sanzioni economiche alla Russia. Previsioni che hanno portato incertezza anche nella quasi perfetta cittadina sul Danubio, tra le più ricche del Paese. Il motivo ha le caratteristiche di 4 grandi reattori nucleari a 5km di distanza dal centro che solo la nebbia e la prima neve di metà gennaio fanno sembrare meno imponenti di quanto siano. Entrarci dà l’idea di essere in un film, anche se qui non c’entra nulla la finzione: la centrale nucleare di Paks è l’unica del Paese e genera quasi il 50% della fornitura di elettricità dell’Ungheria; secondo la prima progettazione, l’attività dei reattori si sarebbe conclusa tra il 2012 e il 2017, dopo 30 anni di funzionamento, ma con gli aggiornamenti dei sistemi è stata concessa una proroga di 20 anni. Traduzione, nel 2037 anche il reattore più giovane si spegnerà per lasciare spazio ai 2 nuovi reattori russi, seppur ancora da costruire. Tra squilibri geopolitici, relazioni fragili e accordi miliardari, la vita di migliaia di abitanti di Paks è appesa ad un filo a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni economiche contro la Russia. Anche se l’industria nucleare non è, al momento, soggetta alle penali di Bruxelles: il progetto da circa 12,5 miliardi di euro, in gran parte finanziato dalla Russia, è però fermo nonostante le pressioni del primo ministro ungherese Viktor Orban, e del ministro degli Esteri Peter Szijjarto, che ha promesso la fine dei lavori entro il 2032.
Il futuro russo – Dentro la centrale nucleare di Paks
“La costruzione dei nuovi reattori è vitale per noi e per il Paese, non sappiamo cosa succederà in futuro”. A parlare a il Millimetro è Tóth Zoltán Róbert, responsabile da anni del centro visitatori della centrale nucleare di Paks. È specializzato in energia atomica, anche se prima di iniziare a lavorare presso lo stabilimento di Paks insegnava storia alla scuola superiore locale “Eszi”, l’unica in Ungheria focalizzata soprattutto sul nucleare per preparare nel miglior modo gli studenti al lavoro nella centrale. Un equilibrio fatto di prosperità e occupazione proprio grazie all’impianto costruito negli anni Ottanta dai sovietici in cui oggi sono impiegati quasi i due terzi della popolazione. Non soltanto ingegneri ma tecnici, supervisori, addetti alle pulizie e alla manutenzione, tutti a lavoro 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Duecentoquaranta ettari di estensione e 4 reattori entrati in funzione nel 1982, 1984, 1986 e 1987; per accedere ad uno di questi, il più giovane, le misure di sicurezza sono stringenti: impossibile portare con sé qualsiasi tipo di oggetto personale, da una fotocamera ad un telefono cellulare, necessario indossare un elmetto, passare numerosi controlli insieme ad un accompagnatore e non togliersi mai un gps al collo per tracciare ogni singolo movimento all’interno della struttura. “La telecamera di colore blu sopra il reattore – indica Tóth Zoltán Róbert dietro ad un vetro che si affaccia sul reattore num.4, a 33 metri di altezza – è della AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che controlla costantemente le attività della centrale. Il grande fratello ci guarda”, sorride il responsabile delle visite turistiche.
Il futuro russo – Le mani di Rosatom sul nucleare
L’accordo raggiunto da Mosca e Budapest risale al 2014 quando l’impresa ungherese controllata dal governo Mvs Paks II Atomeromu Fejleszto Zrt e la russa Atomenergoproekt (Rosatom) firmarono 3 intese per la realizzazione 2 nuovi reattori da 1.200 MW alla centrale di Paks. Gli accordi miravano a formalizzare il design, i parametri per il procurement e per la costruzione dei reattori, come specificava una nota congiunta. Neanche un anno dopo, nel 2015, la Commissione Europea avviava una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria per l’attuazione del progetto relativo alla centrale nucleare di Paks II. Per l’Antitrust di Bruxelles ci sarebbero stati dei dubbi sulla compatibilità del progetto con le norme sugli appalti pubblici, poichè il governo ungherese aveva aggiudicato la realizzazione di 2 nuovi reattori in modo diretto, ovvero senza una procedura trasparente. Lasciando ricadere la scelta sul gruppo russo Rosatom. Eppure, prima che i 2 reattori aggiuntivi vedano la luce, gli affari di Putin a casa di Orban sono cosa vecchia, anche nella centrale numero 1: il combustibile nucleare è sempre arrivato da Mosca, anche con la guerra in Ucraina e la conseguente impossibilità di poterlo trasportare su rotaia proprio attraverso il Paese in guerra. “Nel 2022 è stata aperta una ‘nuova’ rotta per portare il combustibile nucleare dalla Russia all’Ungheria – sottolinea Tóth Zoltán Róbert -, il materiale fissile è arrivato via aria in Bulgaria e poi via treno verso nord passando per la Romania”. Una necessità aumentata sempre di più dai tempi dell’Unione Sovietica e che ancora oggi si percepisce, soprattutto a Paks: “Che la costruzione abbia inizio! Questo è un grande passo, una pietra miliare importante”, aveva scritto alla fine di agosto il ministro degli Esteri ungherese in un post su Facebook. “In questo modo garantiremo la sicurezza energetica dell’Ungheria a lungo termine e proteggeremo gli ungheresi dalle oscillazioni selvagge dei prezzi dell’energia”.
A quasi 5 mesi dall’inizio dei lavori, l’unica cosa visibile dall’alto della struttura che ospita il reattore più giovane, è una grande distesa di fango, insieme alle ombre degli affari multimilionari nucleari della Russia fuori dai suoi confini. L’ultima arriva dalle pagine del quotidiano statunitense Washington Post che la scorsa settimana ha pubblicato un’investigazione sul coinvolgimento di Rosatom nella guerra in Ucraina. Nonostante la risposta dell’Unione Europea al conflitto armato nei confronti di Mosca sia stata immediata con l’approvazione di diversi pacchetti di sanzioni con l’obiettivo di colpire l’economia russa e ridurre le risorse finanziarie disponibili per la guerra, non sono mai stati inclusi né il nucleare né le importazioni di uranio. Una resistenza dovuta alla dipendenza dell’Ue proprio alle risorse russe: solo nel 2021 i Paesi membri hanno pagato alla Russia circa 210 milioni di euro per l’uranio naturale e altri 245 milioni al Kazakistan, le cui miniere sono controllate da Rosatom – dopo il Niger e il Kazakistan, la Russia è il terzo esportatore di uranio naturale verso l’Unione Europea. “Lavorare nella centrale è sempre stato sicuro e duraturo, oggi invece è quasi diventato sinonimo di instabilità – racconta a il Millimetro Zsuzsanna, giovane impiegata nel settore alberghiero -, il mio fidanzato adesso lavora a Paks II, anche io avrei potuto ma abbiamo pensato che se dovesse perdere il lavoro lui, non rimarremmo entrambi senza”.
Il futuro russo – “Le sanzioni europee sono peggio delle bombe”
“Le sanzioni europee sono peggio delle bombe”, recitava la campagna ungherese contro la politica sanzionatoria di Bruxelles contro Mosca lanciata lo scorso autunno dal governo magiaro per sponsorizzare delle “consultazioni nazionali” per accertare l’opinione degli ungheresi sulle sanzioni imposte dall’Ue alla Russia. Un sondaggio per posta voluto dallo stesso Orban, secondo il quale le sanzioni “imposte da Bruxelles” alla Russia sono “la vera causa dei problemi economici dell’Europa”. Nonostante il governo abbia tappezzato Budapest con i poster della campagna, meno di un milione e mezzo sugli oltre 8 milioni di abitanti, ha preso parte alla votazione: “quando la politica ti mette di fronte a una cosa così disgustosa non fa nient’altro che allontanarti dal voler prenderne parte – commenta Szofi, 19 anni, tra coloro che non hanno votato al sondaggio -. Quella campagna dà una cattiva impressione dell’Ungheria da fuori. Ma non tutti la pensiamo allo stesso modo”.