(Adnkronos) – "In tante occasioni ho scritto che senza infermieri non c'è ospedale, ma potremmo dire che senza infermieri non c'è il Servizio sanitario nazionale. Gli infermieri sono preziosissimi per la cura degli ammalati e per la guarigione", però devono affrontare "troppi turni, ferie rimandate per mancanza di personale e malati sempre più gravi, sempre più anziani, con sempre più problemi. I nostri infermieri sono pagati un terzo che negli altri Paesi europei. Dobbiamo evitare che si stanchino e vadano via". Sono le parole di Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, intervenuto con un videomessaggio al Forum Risk Management, l'appuntamento dedicato alle novità in materia di sicurezza sanitaria e trasformazione digitale dei servizi di assistenza, dal 26 al 29 novembre ad Arezzo. L'intervento di Remuzzi ha aperto i lavori della sessione 'Ripensare la professione infermieristica, ripensare il Servizio sanitario nazionale', curata da Fnopi, Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche. "Mancano 6 milioni di infermieri nel mondo – sottolinea il direttore del Mario Negri – Dobbiamo dare loro delle opportunità di carriera. Ci sono degli infermieri che organizzano sale operatorie con turni complicatissimi dove non si può sbagliare niente tra un intervento e l'altro, se no tutto si rimanda. Tante cose che i medici non riescono a fare gli infermieri le fanno. Le fanno bene e con passione. Ma dobbiamo dare loro delle opportunità". Remuzzi si focalizza poi sulla necessità di fare rete tra i professionisti che ruotano attorno al malato: "Non devono esserci confini – dice – Dobbiamo mettere a disposizione degli ammalati per primi, ma anche dei nostri colleghi, le capacità che abbiamo in quanto medici, infermieri, tecnici di laboratorio. Dobbiamo fare le cose insieme. Agli infermieri bisogna dare soddisfazione, bisogna utilizzare tutte le capacità che hanno". Per l'esperto "il futuro della sanità è basato sui medici di famiglia che vanno a casa degli ammalati e sulle Case della comunità. Se si lavora bene – è convinto – si avranno molti meno accessi al pronto soccorso". Infine, Remuzzi si sofferma su una riflessione: "Dove vanno gli ammalati quando è il momento di dimetterli? La maggior parte di loro è anziana, ma tanti anziani sono soli. Non è più come un tempo in cui c'erano grandi famiglie in cui sempre qualcuno si occupava di qualcun altro. Adesso la maggior parte delle persone non si occupa di nessuno. E allora dove li mandi i malati? I piccoli ospedali devono essere trasformati, a mio avviso, in ospedali degli infermieri. Ospedali fatti funzionare da infermieri che sanno fare tutto: sanno fare i prelievi, sanno fare gli esami, sanno fare le radiografie, possono benissimo fare l'ecografia e poi mandarla a refertare dove deve essere fatto il referto. Tutti parlano di telemedicina, di intelligenza artificiale, utilizziamo questi strumenti", esorta. "Vi lascerei con un concetto soltanto", conclude Remuzzi: "'Non c'è posto', in ospedale, non esiste. Non vorrei sentirlo proprio più. 'Non c'è posto' non è qualcosa che ci possiamo permettere di dire a qualcuno che sta male e non sappiamo che cosa succederà dopo. Va bene 'non c'è posto, ma c'è posto da un'altra parte'. 'Non c'è posto' non è giusto”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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