I produttori UE saranno costretti a rendere accessibile la riparazione dei loro prodotti
Per tutelare l’ambiente e gli stessi consumatori, costretti e abituati nel corso degli anni a escludere tra le proprie soluzioni quella della riparazione del prodotto rotto o esausto, l’Unione Europea ha annoverato tra i propri obiettivi, specificatamente al centro della direttiva 2024/1799 recante norme comuni che promuovono la riparazione dei beni, il rimodellamento della vita del prodotto.
Secondo le stime sono oltre 35 milioni le tonnellate di prodotti usa e getta potenzialmente minacciose per l’ambiente e sulle quali l’Europa ha dovuto ricalibrare anche medie e piccole aziende.
Fino ad oggi la riparazione di oggettistica di diverso genere è stata totalmente sorpassata dalla sostituzione per questioni meramente economiche e di accessibilità.
La nuova normativa UE obbliga di fatto i produttori a fornire servizi di riparazione a tenere conto del diritto alla riparazione dei propri utenti e di rendere tali servizi accessibili e non eccessivamente costosi.
Per fare in modo di agevolare tale processo, i prodotti ad oggetto di questa revisione otterranno un anno aggiuntivo di garanzia legale che, una volta scaduta obbligherà, nonostante ciò, il produttore a intervenire sui prodotti domestici più comuni come lavatrici, aspirapolvere e smartphone.
I dati riportano una spesa annuale di oltre 12 miliardi di euro per i cittadini europei nel sostituire i propri prodotti al posto di ripararli
A riportare tali dati è la stessa Commissione Europea, la quale asserisce e riporta, inoltre, che anche lo smaltimento risulta fortemente dannoso e inquinante per l’ambiente, soprattutto se questo avviene prima della fine del ciclo vita dell’oggetto. Tale smaltimento, infatti, consuma30 milioni di tonnellate di risorse e produce, come precedentemente citato, ben 35 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno.
La direttiva, oltre a lasciare 24 mesi di “respiro” prima che sussista l’obbligo di recepirla da parte degli Stati Membri, non ha accontentato tutti gli attori interessati dalla stessa.
«Molti prodotti, come stampanti, cuffie stereo, computer portatili, ferri da stiro, tostapane e macchine per il caffè, oggi non sono inclusi fra i beni su cui ha impatto la direttiva: ci batteremo perché lo siano in futuro», ha ribadito Ugo Vallauri, co-fondatore di Right to Repair Europe, realtà che rappresenta oltre cento organizzazioni da 21 Paesi europei. «La direttiva non indica un limite massimo per i costi delle riparazioni e per i prezzi dei pezzi di ricambio. Si parla solo di costi “ragionevoli”».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Giovanna Capuzzo, vicepresidente di Federconsumatori che ha individuato ulteriori lacune della direttiva: «Sarebbe stata importante l’introduzione dell’obbligo e non della facoltà dei riparatori di fornire gratuitamente il modulo europeo di informazioni sulla riparazione; rendere il servizio eventuale di diagnostica gratuito ai fini della riparazione e stabilire l’obbligo di fornire un bene sostitutivo per la durata della riparazione. Infine, rendere obbligatoria la registrazione dei riparatori alla piattaforma online».
La direzione intrapresa è quella corretta, intraprendendo una strada che ci allontani dall’iperconsumismo che inevitabilmente danneggia le tasche dei consumatori ma in primis l’ambiente, anche se la strategia è ancora troppo lieve per dare un vero e proprio segno di discontinuità. Il mondo delle riparazioni è pronto ma le aziende europee?
(Edoardo Galassi)