(Adnkronos) – Una somministrazione precoce e continuativa del trattamento con lecanemab, anticorpo monoclonale contro la proteina beta amiloide, può avere un impatto positivo nella progressione della malattia nei pazienti con Alzheimer in fase iniziale e fornire benefici a lungo termine. Sono questi, in sintesi, i risultati dello studio 'Clarity AD' presentati da Eisai e Biogen alla 17° Conferenza Ctad (Clinical Trials for Alzheimer's Disease) in corso a Madrid. Questi dati – si legge in una nota – ampliano quelli già illustrati a luglio 2024 durante l'Alzheimer's Association International Conference (Aaic), includendo ulteriori valutazioni derivanti dai 3 anni di trattamento continuo con lecanemab in pazienti con bassi livelli di amiloide cerebrale al basale. Lecanemab, grazie al suo doppio meccanismo d'azione – riduce le placche di beta amiloide e previene il deposito di questa proteina nel cervello, ricorda la nota – è l'unico trattamento per la malattia di Alzheimer in fase precoce disponibile in grado di supportare la funzione neuronale eliminando anche le protofibrille, altamente tossiche, che alimentano il danno e la morte dei neuroni, anche dopo che le placche sono state rimosse dal cervello. La quantificazione di queste protofibrille nel liquido cerebrospinale umano (Csf) è però complicata dalla loro bassa concentrazione. I ricercatori di Eisai hanno quindi approntato un nuovo metodo di misurazione che evidenzia il legame tra le protofibrille e i biomarcatori della neurodegenerazione. Grazie a questa nuova tecnica è stato possibile osservare che le protofibrille sono correlate più strettamente ai biomarcatori della malattia neurodegenerativa, indicando un chiaro ruolo significativo delle protofibrille nella disfunzione sinaptica in presenza di malattia di Alzheimer. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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