Il Mose – acronimo che sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico – è un sistema di quattro barriere collocate in tre bocche di porto (due al Lido, una a Malamocco e una a Chioggia) e composte da 78 paratoie, cassoni metallici larghi tra i 18 e i 29 metri attaccati a enormi blocchi di cemento posti sul fondale. Viene attivato nel caso in cui le previsioni meteorologiche “critiche”, che potrebbero causare una serie di danni al centro della città, vengano confermate. Prima che venga messo in moto il sistema e si proceda al sollevamento delle dighe, nelle tre ore precedenti, è il commissario straordinario che valuta e decide il da farsi.
Il Mose – Nel 2022 Venezia si è salvata
Ogni possibile marea è un evento che scatena la messa in moto di una macchina, i cui ingranaggi sono costituiti da vari enti e istituzioni. Circa 120 ore prima del sollevamento, gli ingegneri iniziano ad osservare accuratamente i fenomeni meteo marini cercando conferme per mezzo dei modelli, confrontandosi con i centri meteorologici e con il tavolo tecnico del centro maree. Due giorni prima il margine di errore (solitamente di circa 35 centimetri) si riduce via via. In base alle previsioni più accurate cui si è giunti, a 48 ore dall’evento, le squadre vengono pre-allertate e iniziano le comunicazioni all’esterno. Il Porto avverte la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato, dal Comune di Venezia a quelli della gronda lagunare, dalla Capitaneria di porto alla Prefettura. A 24 ore dalla possibile acqua alta scatta l’allerta vera e propria e dopo 12 ore viene inoltrata una nuova conferma del possibile azionamento. A 9 ore di distanza le squadre si avviano alle bocche di porto (di Lido e di Malamocco). Dopodiché, di tre ore in tre ore, in base agli aggiornamenti si procede con la graduale preparazione all’attivazione o – al contrario – al falso allarme che annulla tutte le operazioni. Una procedura lunga e studiata che nelle ultime settimane – tra novembre e dicembre – è stata portata a termine con successo diverse volte. Alle 9:40 del 22 novembre 2022 l’acqua alta in laguna ha raggiunto un livello di 200 cm alla diga di Malamocco e di 185 cm alla diga di Lido. La città, tuttavia, proprio grazie alle dighe attivate alcune ore prima, non ha registrato alcun danno. A Punta della Dogana sono stati registrati solo 62 cm di marea, mentre non c’è stato alcun allagamento nelle restanti aree. Eppure le previsioni davano un picco di marea di 170 cm, potenzialmente molto dannoso per il prezioso centro storico della città. Senza il Mose Venezia sarebbe stata sommersa dall’acqua, così come accadde tre anni fa, nel novembre del 2019, quando ci fu una delle “acque grandi” più drammatiche della storia recente. Il 12 novembre 2019 una violenta alluvione causò l’innalzamento della marea fino a 178 cm.
Un evento che provocò enormi danni a edifici e infrastrutture, oltre che al patrimonio culturale, tra cui la splendida Basilica di San Marco, sommersa da 110 cm d’acqua. Ecco, dopo tre anni il Mose ha evitato la replica di un disastro simile. Nuovamente, lo scorso 4 dicembre un picco di marea che ha raggiunto in mare i 121 cm ha portato all’innalzamento delle barriere mobili alle bocche di porto di Lido e Chioggia, mentre quella di Malamocco è stata chiusa per permettere l’ingresso in laguna di un traghetto. Il giorno seguente il sistema di sbarramento è entrato nuovamente in funzione per una massima di 102 cm all’altezza delle dighe e di 98 cm in mare. In altre occasioni successive si è reputato invece inutile attivare la diga. Una valutazione che tiene conto anche del risparmio economico che ne consegue. Si stima, infatti, che a novembre l’attivazione sia costata quasi 850mila euro in quattro giorni. In città, senza il Mose, si sono registrate le prime acque alte con allagamenti tra il 5 e l’8%. Un fenomeno che, quando sotto controllo, genera la gioia dei tantissimi turisti che hanno l’occasione di vedere Venezia in una delle sue vesti più uniche e affascinanti.
Il Mose – Una delle infrastrutture più importanti e costose della storia
Si sono visti quest’anno, finalmente, gli effetti positivi di un’opera che in decenni di progetti e lavori ha scatenato scandali e polemiche. Il progetto attualmente è terminato al 90%, dal momento che i lavori dovrebbero finire entro il 31 dicembre 2023, con due anni di ritardo rispetto alla previsione. Ma la storia del Mose inizia alla fine degli anni Novanta. La prima volta che si pensò a una struttura protettiva per il centro storico era nel 1980. Dopo anni di considerazioni sull’impatto ambientale i lavori sono iniziati effettivamente nel 2003. Nel corso degli anni, tra l’altro, il costo stimato per il completamento dell’opera è aumentato progressivamente fino ad arrivare a oltre 6 miliardi di euro, mentre la spesa per ogni sollevamento è variata nel tempo da un massimo di 272 mila euro a un minimo di 211 mila. Ad occuparsi della costruzione e della gestione dell’impianto è il Consorzio Venezia Nuova, unione di imprese e cooperative locali e nazionali, che nel 2014 è stato commissariato dallo Stato a causa di un enorme scandalo per fondi illeciti e corruzione che ha posticipato ulteriormente l’attuazione del progetto. 35 gli arresti nel 2014, a carico sia di dirigenti del Consorzio Venezia nuova sia di politici locali, tra cui il ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture Altero Matteoli, condannato a quattro anni e l’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, che ha poi patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi. Nel 2017 Galan, inoltre, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 5,8 milioni di euro allo Stato. L’Autorità nazionale anti-corruzione (Anac) decise così di commissariare il Consorzio Venezia Nuova e nominare tre amministratori speciali che supervisionassero i lavori. Nel 2019 l’architetto Elisabetta Spitz è stata nominata Commissaria straordinaria per il Mose, con il compito di «sovrintendere alle fasi di prosecuzione dei lavori volti al completamento» della struttura. Lo scandalo ha ovviamente sollevato un dibattito molto acceso nel quale non sono mancate le voci degli ambientalisti contrari alla realizzazione delle dighe. Dibattiti e sempre più polemiche per i ritardi, sfociate nella profonda indignazione dei cittadini che nel 2019, appunto, si sono trovati alle prese con un’acqua alta disastrosa. Da quel giorno ad oggi si è cercato di accelerare i tempi della messa in funzione, processo e burocrazia a parte. Fino ad arrivare alla mattina del 3 ottobre 2020, quando per la prima volta le barriere del Mose si sono attivate. L’opera, realizzata sicuramente in tempi non brevi, è tuttavia un esempio dell’ottimo potenziale ingegneristico del Paese che, se agisce nel rispetto della legge, può concretizzarsi in risultati eccellenti.
La struttura potrà proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a tre metri e da un innalzamento del livello del mare fino a 60 cm nei prossimi 100 anni. Lo Stato, proprio per le attività di manutenzione e gestione dell’opera, ha stanziato 63 milioni di euro all’anno dal 2022. Il Mose, dunque, cerca di recuperare le mancanze del passato proiettandosi però anche al futuro. Il tratto di mar Adriatico che bagna Venezia, così come le acque degli altri mari che bagnano il nostro Paese, sta subendo gli effetti sempre più disastrosi del cambiamento climatico, tra cui l’aumento della temperatura e l’innalzamento del livello. Alcuni esperti, tuttavia, ritengono che oggi il Mose non basti. «Dovremmo già iniziare a discutere del dopo Mose, è necessario capire seriamente quanto può durare la salvaguardia della città attraverso il Mose. Secondo i nostri studi la variabile fondamentale è la velocità con cui si alza il mare e, purtroppo, i fenomeni ambientali sono sempre più veloci. E Venezia rischia di più. Lo dimostrano i grafici di confronto fra il capoluogo lagunare e Trieste. Il problema della subsidenza maggiore a Venezia, rispetto a Trieste resta nonostante non ci sia più la causa originaria: il pompaggio di volumi imponenti d’acqua legato alle necessità di Porto Marghera», sostiene Carlo Giupponi, docente di Economia Ambientale e applicata a Ca’ Foscari e autore di Venezia e i cambiamenti climatici. Altri ancora sottolineano la necessità di aggiornare il progetto poiché esso risale a 40 anni fa, quando si pensava a un innalzamento del livello del mare di 30 cm. Dunque, una volta completato quel 10% di opera ancora incompiuto, è probabile che l’impresa non sia conclusa del tutto. Il nostro Pianeta ci sta dimostrando – mai come in questo 2022 – che non c’è tempo da perdere e che bisogna agire in fretta per proteggere il nostro patrimonio naturale, artistico, storico e culturale. Con uno sguardo più ottimistico bisogna tuttavia riconoscere che Venezia oggi, grazie al Mose, è stata già messa in salvo diverse volte.