Mentre aumenta la domanda di materie prime per sostenere la transizione ecologica, il deep sea mining apre nuovi scenari sollevando concrete preoccupazioni ecologiche e sociali
Il deep sea mining, l’estrazione mineraria dai fondali marini, è una delle nuove frontiere per la ricerca di risorse naturali. Gli abissi oceanici, ricchi di materiali come nichel, cobalto, manganese, indispensabili per la produzione di batterie, armi ed energie rinnovabili, rappresentano l’ultima area inesplorata del nostro pianeta. Tuttavia, questa nuova corsa alle materie prime pone seri interrogativi sui rischi ambientali che comporta.
In Norvegia, nazione da sempre all’avanguardia nella gestione sostenibile delle sue risorse, il tema sta emergendo nel dibattito tra progresso economico e sostenibilità. A seguito dell’urgenza di accelerare la transizione verso energie rinnovabili e tecnologie green, sia il governo norvegese che i privati stanno considerando le opportunità offerte dall’estrazione dai fondali marini. Tuttavia, molte organizzazioni ambientaliste continuano a mettere in guardia sui numerosi rischi, sottolineando la fragilità degli ecosistemi oceanici.
La Norvegia nel contesto globale
La transizione energetica richiede enormi quantità di minerali e metalli rari fondamentali per rendere le tecnologie legate alle rinnovabili efficienti e scalabili. Questi materiali si trovano in quantità limitate sulla terraferma e sono considerate risorse strategiche.
Paesi come la Cina detengono un’influenza geopolitica significativa grazie al controllo di gran parte delle terre rare. Questo ha spinto altre nazioni, tra cui la Norvegia, a esplorare alternative per diversificare le fonti di approvvigionamento.
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