L’attacco sferrato da Israele, per decapitare i vertici di Hezbollah, ha spedito nel baratro un Paese che era già in ginocchio, colpito da una delle crisi più gravi della sua storia recente
Negli ultimi anni una combinazione di fattori economici, politici e sociali ha portato a una situazione di instabilità che ha colpito duramente la popolazione civile. Nel 2019, dopo anni di malgoverno e corruzione, l’economia libanese ha subìto un crollo devastante. La moneta locale, la lira libanese, ha perso oltre il novanta per cento del suo valore, causando un’inflazione galoppante e rendendo i beni di prima necessità inaccessibili per molti.
La classe media, un tempo robusta, è praticamente scomparsa, costringendo milioni di libanesi a vivere in povertà. In questo contesto, le tensioni politiche hanno continuato a crescere inesorabilmente. La mancanza di una leadership stabile e le continue divisioni settarie hanno complicato ulteriormente la situazione.
Dentro il cuore del quartier generale di Hezbollah
Dahiyeh in arabo significa “sobborgo”. Ed è proprio la giusta definizione per descrivere questa zona che si trova a sud della capitale libanese e viene spesso raccontata dai media internazionali come una roccaforte inaccessibile dove Hezbollah coltiva un “sottostato” in opposizione a quello ufficiale. In effetti, qualcosa di reale c’è in questa affermazione.
Nel quartiere, la legge la dettava Hezbollah e c’era un vero e proprio sistema di welfare autogestito: scuole, presidi di sicurezza, perfino ospedali che non dipendono dallo Stato libanese direttamente ma sono controllati da questo potere parallelo che garantiva lavoro e sussidi alla popolazione. Questo quartiere ha sempre avuto una particolarità che lo rendeva diverso dalle altre aree di Beirut: ospita frequentemente i funerali dei cosiddetti “Martiri della Resistenza”.
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