Corno d’Africa, la peggiore carestia dal 1980

Il 2022 è stato un anno segnato da eventi atmosferici estremi: fenomeni – come la siccità – che, non solo hanno distrutto interi ecosistemi e migliaia di vite, ma hanno avuto una serie di conseguenze indirette, e altrettanto dannose. Tra queste c’è la carestia che sta devastando il Corno d’Africa, la peggiore dal 1980 ad oggi. Le siccità consecutive degli ultimi anni hanno aggravato la piaga della fame in Etiopia, Kenya e Somalia, dove due regioni sono a rischio immediato di carestia. Nell’area comprendente i tre Paesi, 22 milioni di persone faticano a trovare cibo sufficiente, 9 in più rispetto all’anno scorso. Si stima che oltre 36 milioni di persone in Africa orientale attualmente vedono la loro esistenza minacciata dalla scarsità di cibo e acqua.  

Corno d'Africa, la peggiore carestia dal 1980

Etiopia, Kenya e Somalia: siccità, inflazione e conflitti interni  

La grave siccità del 2022 e l’inflazione alimentare innescata dalla crisi dovuta al conflitto in Ucraina sono un binomio esplosivo che ha avuto una serie di effetti molto pesanti in alcune aree dell’Africa, come l’Etiopia: nel 2022 l’aumento medio generale dei prezzi del cibo è stato del 44%, con il costo dei cereali che a maggio era salito del 70%, più del doppio rispetto alla media globale. Oggi 5,6 milioni di etiopi hanno urgente bisogno di aiuti alimentari e circa tre milioni di donne e bambini sotto i cinque anni sono in condizioni di grave malnutrizione. Una situazione ancora più drammatica nella regione del Tigray, dove da inizio 2020 va avanti uno scontro tra il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray e il Governo federale etiope. Attriti a causa dei quali per gli enti internazionali è ancora più difficile, se non impossibile, fare arrivare gli aiuti umanitari. Migliaia di persone negli ultimi mesi hanno deciso di scappare in cerca di condizioni di vita un minimo migliori. Una situazione sempre più preoccupante, tanto che la scorsa estate il Direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha denunciato la grave crisi che affligge la regione e il silenzio della comunità internazionale sul conflitto. Altro epicentro dell’emergenza è la Somalia.  Quasi la metà della popolazione – oltre sette milioni di persone – soffre di malnutrizione acuta, e tra loro 213 mila sono rimaste senza cibo. Da mesi, inoltre, manca l’acqua per i campi, ma anche per l’uso domestico, con un pericolo concreto per circa 1,2 milioni di persone. A maggio l’aumento del prezzo del mais era 6 volte superiore (+ 78%) rispetto alla crescita del prezzo medio globale (+ 12,9%). In alcune aree del paese la spesa alimentare è aumentata di oltre il 160% rispetto al 2021. Un chilo di sorgo, per esempio, costa oltre il 240% in più rispetto alla media degli ultimi 5 anni. La situazione si è aggravata particolarmente nel 2022, complice la condizione ambientale catastrofica dovuta alla scarsità di piogge, che va avanti da quattro stagioni consecutive, a causa della quale centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato le proprie case. 

Corno d'Africa, la peggiore carestia dal 1980

Secondo i dati sullo sfollamento diffusi a metà agosto dall’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e dal Norwegian Refugee Council, oltre 755mila persone sono state sfollate in Somalia in quest’anno, portando il bilancio totale dal 2021 a un milione. Per gli esperti, le attuali condizioni del popolo somalo sono paragonabili a quelle di dieci anni fa: nel 2010-2011 per la carestia morirono circa 260mila persone. Anche in Somalia, inoltre, come in Etiopia, la situazione è resa ancora più grave dai conflitti interni. Circa 900mila persone vivono in aree controllate dal gruppo jihadista al-Shabaab, che da oltre vent’anni oppone una strenua resistenza ai governi centrali che si sono succeduti. Jihadisti che, tra le altre cose, sono ostili alla ricezione di aiuti dall’Occidente, impedendo di fatto l’arrivo di beni essenziali alle zone più vulnerabili del Paese. Di conseguenza tanti abitanti di quelle aree cercano di sottrarsi a questo inferno e fuggono verso aree dove gli è garantita maggiore assistenza. Un trasferimento che, purtroppo, porta con sé molti rischi, soprattutto per donne e bambini, vittime di violenza di genere. Altrettanto grave la situazione in Kenya, un territorio che – secondo la Nasa – rischia di diventare desertico a causa degli effetti del cambiamento climatico. 2,7 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti umanitari.Cresce di anno in anno la preoccupazione per la carenza d’acqua, a causa della quale migliaia di donne devono camminare per chilometri per riempire qualche secchio e i pastori scavano fosse sempre più profonde alla disperata ricerca di una fonte idrica. Tale carenza impatta, oltre che sull’alimentazione, anche sulla salute e sull’igiene. Poi ci sono le conseguenze sull’agricoltura e sull’allevamento: migliaia di capi di bestiame e animali selvatici sono morti negli ultimi mesi. 

Urge un maggiore sforzo internazionale 

Purtroppo la malnutrizione non è una novità in queste aree, eppure l’allarme quest’anno è ancora più forte, complice la più grave spirale inflazionistica degli ultimi 50 anni, che coinvolge ogni Nazione. In questo momento in Africa orientale la popolazione paga una fortissimadipendenza dalle importazioni di cibo, arrivando a spendere fino al 60% del proprio reddito per l’acquisto di prodotti alimentari. In questo contesto l’assistenza umanitaria è fondamentale. “Per aiutare i Paesi più fragili a far fronte all’aumento dei prezzi dei beni alimentari – dice Francesco Petrelli, responsabile per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia, un’Ong internazionale con sedi in tutto il mondo – è cruciale che i Paesi ricchi cancellino subito i pagamenti per il servizio del debito a carico delle nazioni a basso e medio reddito nel 2022 e 2023 e tassino chi si sta arricchendo da questa situazione. Solo così i Paesi africani, ad esempio, potranno contare sulle risorse necessarie per salvare milioni di persone dalla fame e pagare le importazioni di cereali. Serve poi una regolamentazione dei mercati alimentari, norme anti -speculative e commerciali più flessibili a favore dei consumatori, dei lavoratori e dei piccoli agricoltori”. Oxfam e tante altre realtà, dalle più piccole alle più grandi, rispondono alla crisi alimentare del Corno d’Africa intervenendo – da anni – con programmi specifici e interventi mirati che hanno interessato e salvato milioni di persone. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), ossia l’istituto creato con lo scopo di contribuire ad accrescere i livelli di nutrizione, aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica mondiale, accoglie annualmente contribuiti da parte dei governi di tutto il mondo che destinano una tantum pacchetti di aiuti all’Africa. Pochi giorni l’Organizzazione ha dichiarato di aver intensificato la risposta umanitaria in Somalia, attraverso trasferimenti di denaro, per mitigare l’impatto della siccità sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza delle comunità rurali colpite

Corno d'Africa, la peggiore carestia dal 1980

Il rappresentante della Fao in Somalia, Etienne Peterschmitt, ha affermato che l’attuale siccità che colpisce il Paese è la peggiore vista da almeno quattro decenni, aggiungendo che alcune parti della Somalia sono sull’orlo della carestia. La Fao assiste ogni anno migliaia di famiglie somale, etiopi e kenyote, fornendo loro cure mediche, acqua, cibo, nutrimenti per il bestiame e cure veterinarie ma anche trasferimenti di denaro e programmi di liquidità in cambio di lavoro.Altrettando capillare l’intervento dell’agenzia ONU World Food Programme (WFP), che quest’anno ha programmato l’assistenza di oltre 8,5 milioni di persone in tutto il Corno d’Africa. Poi ci sono i pacchetti di aiuti stanziati dai governi internazionali, chi più chi meno. Gli Usa hanno impegnato quest’anno 1,7 miliardi di dollari per sostenere l’Africa orientale, di cui 700 milioni destinati alla Somalia, mentre l’Unione europeain occasione del vertice del G20 a Bali, ha deciso di “intensificare il sostegno per aiutare le persone più colpite dagli effetti devastanti dell’aumento dell’insicurezza alimentare a livello globale, pertanto ha stanziato un nuovo pacchetto di aiuti umanitari da 210 milioni di euro fornito a 15 Paesi per soddisfare i loro crescenti bisogni. Sicuramente quanto fatto finora ha salvato migliaia di vite, eppure il triste record di quest’anno (il Corno d’Africa vive la peggiore carestia degli ultimi 40 anni) ci pone di fronte a una dura verità: non è stato fatto abbastanza. Se l’Africa orientale si trova in queste condizioni e 36 milioni di persone pensano di non riuscire a sopravvivere, la responsabilità è in gran parte dei Paesi ricchi e più sviluppati, che contribuiscono in larga parte all’inquinamento terrestre. Tra tutti la Cina, la più grande emettitrice mondiale di Co2, a seguire Usa e Brasile.  Una responsabilità riconosciuta, discussa e in parte accettata, vedi le grandi conferenze del clima in cui, da anni, i grandi cercano soluzioni che migliorino il proprio impatto sui paesi più vulnerabili. La consapevolezza, tuttavia, non ha ancora condotto ad alcun miglioramento concreto e l’entità degli aiuti umanitari arrivati a sostegno delle aree più bisognose è ancora ridotta rispetto al necessario. Mentre i grandi pensano ai propri interessi, migliaia di famiglie nell’Africa orientale, così come in altre aree del mondo, sono costrette a scegliere se dare da bere o da mangiare ai propri bambini, che hanno sempre più fame e più sete. 

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