Cent’anni del parco più antico d’Italia

Già nel 1856 re Vittorio Emanuele II aveva dichiarato riserva reale di caccia le montagne del Gran Paradiso, salvando in questo modo dall’estinzione lo stambecco che in quegli anni aveva ridotto la sua popolazione a livelli allarmanti. Il re formò un corpo di guardie specializzate, facendo costruire sentieri e mulattiere che, ancora oggi costituiscono l’ossatura viaria per la protezione della fauna da parte dei guardaparco e formano il nucleo dei sentieri escursionistici. Nel 1919 re Vittorio Emanuele III si dichiarò disposto a regalare allo stato italiano i 2.100 ettari della riserva di caccia, purché vi creasse un parco nazionale. Nato proprio il 3 dicembre 1922. Ma i meriti della conservazione dello stambecco sono soprattutto dell’allora commissario straordinario Renzo Videsott, un veterinario locale. Fu lui a risollevare le sorti del parco, a salvare definitivamente lo stambecco, a ripristinare il corpo di sorveglianza autonomo, “convertendo” in guardie i bracconieri che conoscevano bene il territorio. Si possono distinguere due fasi. La prima, che corrisponde circa agli anni Settanta e Ottanta, ha visto dei conflitti tra le comunità locali per la definizione dei confini dell’area protetta. La seconda, dagli anni Novanta a oggi, è stata invece più equilibrata: grazie a una nuova legge quadro, il parco ha avuto competenze anche per quanto riguarda lo sviluppo e ha potuto concorrere ad aiutare il territorio, sviluppando pratiche di turismo sostenibile. Nel corso di questi cento anni ha visto nel mantenimento della biodiversità, del paesaggio, nella ricerca scientifica e nello sviluppo sostenibile del proprio territorio le finalità principali attraverso le quali mantenere inalterati i valori naturalistici ed ambientali, migliorandone la conoscenza e il rispetto. Il Parco oggi registra milioni di presenze annuali e vanta una rete di sentieri di 850 km e dieci centri visitatori. Nel solco della sua storia centenaria e senza perdere i suoi elementi fondanti, evolve continuamente; accanto a una ricerca scientifica di livello internazionale e un incremento delle presenze faunistiche, con il ritorno del lupo e la prima nidificazione del gipeto sulle Alpi Occidentali dopo l’estinzione, nascono progetti finalizzati a valorizzare i prodotti e le imprese locali come il Marchio di Qualità Gran Paradiso.

Il corpo di sorveglianza dei guardiaparco

Il parco nazionale del Gran Paradiso, insieme a quello d’Abruzzo, Lazio e Molise, è l’unico parco nazionale in Italia ad avere un proprio corpo di sorveglianza: sin dagli albori dell’area protetta infatti, c’è sempre stata la necessità di tutelare il patrimonio naturalistico, vera grande ricchezza di questo angolo di arco alpino. Il lavoro di questo corpo di sorveglianza ha evitato l’estinzione dello stambecco, contrastando il fenomeno del bracconaggio attraverso un controllo attento e costante e ha offerto un servizio puntuale alle comunità locali e ai turisti. Nasce come lavoro esclusivamente maschile, ma nei decenni sono sempre più le donne che scelgono di fare questo lavoro che segue i ritmi della natura e delle stagioni. Nella loro attività quotidiana, i guardaparco sono spesso accompagnati dai loro cani, compagni fedeli e utilissimi in molte occasioni, come il reperimento di animali feriti e l’individuazione e il soccorso di vittime delle valanghe.

Cent'anni del parco più antico d'Italia

Importante il ruolo a supporto della ricerca scientifica svolto dall’Ente Parco con la partecipazione diretta alle attività insieme a biologi e ricercatori. I guardiaparco sono anche ambasciatori del parco: svolgono infatti attività di educazione ambientale, spesso rivolta alle scuole, utili a sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto e all’educazione nei confronti della natura. Oltre a queste attività, nel corso degli anni si sono anche specializzati nelle rilevazioni in quota: i rilievi nivo-metereologici, i controlli delle fronti glaciali e le verifiche delle attività valanghive richiedono, oltre a specifiche conoscenze tecniche, capacità di spostamento anche in condizioni meteo proibitive. Ma non importano le condizioni metereologiche, perché i guardaparco non si fermano mai: dal loro lavoro e dalla loro presenza continua e discreta dipende infatti la sicurezza del Parco, un’area dove gli equilibri naturali sono fragili e necessitano di protezione e monitoraggio costanti.

La storia di una guardiaparco speciale

La storia di Milena Bethaz, la guardaparco del Parco Nazionale Gran Paradiso tornata in servizio 15 anni dopo essere stata colpita da un fulmine, ha colpito l’attenzione dei media a livello nazionale, sia della carta stampata che della televisione, e sarà protagonista di un servizio a lei dedicato. La produzione della trasmissione La vita in diretta , infatti, si è emozionata dopo aver scoperto la sua storia, e ha deciso di dedicarle ampio spazio nella puntata di giovedì 28 aprile, intorno alle ore 18. La vita in diretta, condotto da Cristina Parodi e Marco Liorni, va in onda ogni pomeriggio su Rai Uno e raggiunge mediamente oltre un milione e mezzo di italiani. Milena sarà in studio in diretta, e potrà trasmettere, attraverso la propria presenza e la propria voce, quella forza interiore che è stato uno degli ingredienti principali del suo straordinario percorso di riscatto. Il ritorno di Milena al lavoro nell’area protetta è stato possibile soprattutto grazie all’impegno di tutti coloro che nell’Ente Parco le sono stati vicini, dai dipendenti della sede di Aosta, al servizio di Sorveglianza e a quello scientifico, e che l’hanno supportata e rincuorata dopo l’incidente, aiutandola giorno per giorno e riuscendo a ottenere un posto per il suo ritorno al lavoro sul campo.

I ghiacciai, in sofferenza

Qui la natura domina selvaggia e la presenza dell’uomo è quasi irrilevante. Tra le vette, le valli, gli animali e gli antichi sentieri c’è la presenza di piccoli paesi, anticamente, che rendono questo parco una giusta commistione tra esseri viventi. Anche qui si fa sentire la crisi climatica, pur sembrando questo posto lontano un paradiso terrestre. Il panorama che si apre davanti a noi è quello dei ghiacciai in sofferenza. Il parco nazionale del Gran Paradiso ospita 57 ghiacciai. Non è difficile crederlo, considerato che solo il 6% del suo territorio è al di sotto dei 1.500 metri e più della metà si estende al di sopra dei 2.500 metri. Eppure, potrebbero scomparire tutti a causa del riscaldamento globale in atto, evidente più che mai con le temperature estreme e la siccità dell’estate che si è da poco conclusa. Le temperature raggiunte sono sempre meno compatibili con l’esistenza stessa dei ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri. Entro il 2050 questi ghiacciai potrebbero scomparire. Le temperature estreme che perdurano dalla fine della primavera ad oggi – lo zero termico a metà luglio si è mantenuto attorno ai 3.600 metri, a volte anche a 3.800, come la vetta del monte Bianco – seguono un inverno estremamente secco in cui le precipitazioni sono state scarse e, di conseguenza, scarsi sono anche gli accumuli nevosi.

Cent'anni del parco più antico d'Italia

Sul Gran Teatret, uno dei ghiacciai del parco, si registrano accumuli di neve medi di soli 127 centimetri. Quelle che si stanno sciogliendo ora sono le riserve di ghiaccio millenario. Perché sì, i ghiacciai sono le nostre riserve d’acqua. La loro ritirata e scomparsa causata dai cambiamenti climatici ha effetti sull’ecosistema montano quanto sulla vita che si trova a quote più basse, fino in città. Il 20% dell’acqua che arriva in pianura proviene dai ghiacciai: quindi la loro fusione e la grande siccità a cui stiamo assistendo sono fenomeni strettamente collegati, anzi fanno parte della stessa notizia. L’idea di mettere lo studio al primo posto è l’obiettivo del parco da sempre. Questo vale per la conservazione della fauna e della flora, per gli effetti della crisi climatica, ma anche per l’impatto del turismo. “Possiamo salvare il parco, e salvarci in senso generale soltanto se comprendiamo che dobbiamo stare al nostro posto”, afferma Bruno Bassano, direttore del parco. “Spero che il parco porti avanti questa idea, di un’area protetta come messaggero di quello che la natura può essere senza che l’uomo la invada”.

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