La Tunisia che ci fa comodo: vince Kaïs Saïed

Con la vittoria alle elezioni presidenziali, Kaïs Saïed conferma il suo secondo mandato in Tunisia. Una poltrona, la sua, che piace all’Europa, anche se sempre più autoritaria

Ieri, 6 ottobre, si sono svolte le elezioni presidenziali in Tunisia. Nella totale calma il vincitore era scontato: Kaïs Saïed, il Presidente uscente. Nessun dubbio riguardo la sua vittoria. Negli anni ha accentrato su di sé molti poteri e ha chiuso i tunisini nella morsa di una deriva autoritaria. Sono stati invani gli appelli della popolazione all’UE per far sì che questa facesse pressioni sul Presidente e così frenare le sue intenzioni dittatoriali. Troppi interessi sulla sua figura hanno fatto sì che i tunisini restassero soli di fronte al loro destino.

La Tunisia che fa comodo all'Europa
I risultati delle elezioni presidenziali tunisine (LaPresse) – ilMillimetro.it

Le elezioni in Tunisia hanno incoronato per la seconda volta il Presidente uscente. Alle 8 di mattina di domenica 6 ottobre sono stati aperti i seggi elettorali in tutto il Paese. Sono stati chiamati alle urne 9,7 milioni di elettori, dei quali 50,4% donne e 49,6% uomini. Saïed ha ottenuto oltre l’89% dei voti nelle elezioni presidenziali di domenica in Tunisia, secondo un exit poll trasmesso dalla televisione nazionale Wataniya. Secondo il sondaggio, ha battuto comodamente Ayachi Zammel, che ha ottenuto solo il 6,9% dei voti, e l’ex deputato della sinistra panaraba Zouhair Maghzaoui, che è arrivato ultimo con il 3,9%.

È stato però l’astensionismo il grande vincitore. Nel 2019 votò il 45% degli aventi diritto, ieri solo il 27,7%, una percentuale bassissima che ci fa capire a fondo il malcontento della popolazione tunisina.

È in un clima di forte tensione che si sono tenute queste elezioni. Dopo che il Presidente ha compiuto diverse mosse autoritarie dal suo simil colpo di Stato del luglio 2021, quando si è concesso pieni poteri, e dopo aver impugnato il Paese e la sua magistratura come fosse tutto suo appannaggio, i tunisini hanno gridato alla dittatura e sono scesi in piazza. Anno dopo anno è stato manifestato un enorme scontento, ma Saïed ha proseguito la sua dura linea battendo la sua strada a piacimento, allontanando oppositori, incarcerando giornalisti.

Un clima dittatoriale dove ci sono i nemici dello Stato che minacciano la sua sicurezza. Il 5 ottobre Saïed ha presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale dichiarando che le “forze controrivoluzionarie” agiscono, attraverso mercenari, contro il popolo tunisino e il suo movimento di liberazione nazionale e cercano di inasprire la situazione con ogni mezzo. Accuse che porta avanti dal 2019 e che lo legittimano a usare il pugno di ferro su tutta la società civile. Queste elezioni fanno parte di un processo che sta cambiando la Tunisia nel profondo.

Mesi di arresti e manovre politiche

La Tunisia è da sempre il baluardo della democrazia in tutto il mondo arabo, un sistema pluralista che, bene o male, ha sempre funzionato. Questo sistema è stato travolto dall’arrivo del Presidente Kaïs Saïed, che negli anni lo ha smantellato pezzo per pezzo. Durante le ultime elezioni presidenziali in Tunisia, nell’ottobre 2019, 26 candidature sono state convalidate dall’Alta autorità indipendente per le elezioni (ISIE).

Arresti e manovre politiche per l'elezione di Kais Saied
Kaïs Saïed confermato alla guida della Tunisia (LaPresse) – ilMillimetro.it

Quest’ultimo è l’organo istituito nel periodo post-Primavera araba che vaglia le candidature alle elezioni. Era stato pensato e creato come attore indipendente ma col decreto legge del 2 maggio 2022 è stato assoggettato al Presidente Saïed. Infatti, da quel momento è prerogativa del Capo dello Stato nominare e deporre i suoi sette membri. C’è stato tempo fino al 6 agosto per presentare le candidature. Il 10 agosto il presidente dell’ISIE, Farouk Bouasker, ha annunciato solo tre candidature ammesse dall’Autorità: in totale ne erano state presentate 17. Di questi esclusi, 14 hanno presentato ricorso al Tribunale Amministrativo, che ne ha accettati tre.

Si tratta di Abdellatif Mekki, ex dirigente di Ennahda ed ex Ministro della Salute, ora leader del Partito Lavoro e Realizzazione, di Mondher Zenaidi, ex ministro in esilio dal 2011 a Parigi, e di Imed Daïmi, fondatore del Partito Conservatore el-Harak. È l’ISIE, però, ad avere l’ultima parola e il 2 settembre non ha approvato la decisione del Tribunale amministrativo. Le proteste dei tunisini sono state forti, arrivando persino a prendere d’assalto gli uffici dell’ISIE a inizio settembre. Ma il presidente Farouk Bouasker è stato irremovibile e ha sostenuto l’impossibilità di un possibile appello. Ed ecco che a competere contro il Presidente Saïed erano rimasti Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex deputato, e Ayachi Zammel, ex deputato del Partito Liberale condannato nelle scorse settimane a quasi 12 anni di carcere in diversi casi in cui è accusato di “falsa sponsorizzazione”.

Zammel, fino a ora poco conosciuto dal grande pubblico, è stato arrestato il 2 settembre, giorno in cui la sua candidatura è stata convalidata dall’ISIE. Il candidato “fantasma” era rimasto in corsa anche se la sua campagna elettorale aveva preso una brutta piega. Sui social network, il suo team poteva solo condividere video registrati prima del suo arresto, mentre era ancora oggetto di una trentina di procedimenti giudiziari riguardanti la sua sponsorizzazione. L’altro candidato vincente, Zouhair Maghzaoui, 59 anni, del partito nazionalista Movimento Popolare, è un ex sostenitore del Presidente Saïed. Anche se era critico nei confronti del Capo di Stato, il suo profilo non era quello di un vero rivale. Era un candidato dell’opposizione che non avrebbe messo in ombra Saïed, e così è stato. Ha dato solo un’illusione di pluralismo. Tutte le voci di opposizione sono state quindi silenziate. Non era rimasto nessun candidato serio da contrapporre al Presidente.

Ad aggravare la situazione c’è stato un ulteriore rafforzamento della recente revisione della legge elettorale tunisina. Nove giorni prima delle elezioni presidenziali, il Parlamento tunisino ha adottato a larga maggioranza una riforma che trasferisce l’arbitrato delle controversie elettorali alla corte d’appello, cioè al sistema giudiziario penale, mentre finora era di competenza della giustizia amministrativa. Tutto nella norma, se non fosse che negli ultimi anni la magistratura è diventata molto meno indipendente. I giudici del Paese sono stati messi alle strette dopo lo scioglimento del Consiglio giudiziario tunisino nel febbraio 2022, che in sostanza pone le loro carriere sotto il controllo dell’Esecutivo. Le controversie che riguardano il sistema elettorale sono quindi controllate direttamente dal Presidente. L’esempio lampante della pressione sui magistrati è il trasferimento del giudice Essia Laabidi a quasi 200km da Tunisi. Laabidi aveva chiesto la liberazione di Ayachi Zammel dalla detenzione preventiva per mancanza di prove sufficienti.

La recente riforma elettorale, approvata negli ultimi istanti della campagna presidenziale, secondo diverse voci dell’opposizione è ancora più esasperante perché è stata approvata da un Parlamento eletto con un tasso di astensione di quasi il 90% alla fine di gennaio 2023. Uno dopo l’altro, il Presidente ha staccato la spina a tutti i controlli e gli equilibri del Paese. L’attacco al Tribunale amministrativo è stata l’ultima tappa del suo progetto politico.

Verso una dittatura con la complicità dell’Unione Europea

La Tunisia di Kaïs Saïed sta volgendo a un triste epilogo, dove la scena politica è diventata solo un campo di rovine. Secondo Human Rights Watch, in carcere sono finiti 170 attivisti dell’opposizione o cittadini che si sono espressi contro il Presidente. I media sono imbavagliati e le associazioni con le mani legate. Saïed giustifica questa escalation repressiva insinuando presunte cospirazioni architettate dall’estero.

Una dittatura accettata dall'Unione Europea
L’Unione Europea e la dittatura tunisina che sta bene a tutti (LaPresse) – ilMillimetro.it

Le frange della classe politica e della società civile, inizialmente a favore del suo progetto atipico in cui la rettitudine morale si mescolava alla compassione sociale e all’ostilità verso l’Islam politico, si stanno ora rendendo conto di essere state tradite. Nessuno si era realmente posto il problema di una possibile deriva autoritaria e l’ostilità nei confronti di associazioni e ONG. La maggioranza della società tunisina si è consegnata col voto a un attore che era arrivato come il salvatore della patria, trasformatosi poi in autocrate.

Cittadini, attivisti e oppositori hanno cercato di richiamare l’attenzione dell’UE chiedendo di esercitare pressioni, ma inutilmente.

Con gli occhi rivolti completamente verso l’escalation in Libano e Palestina, gli Stati europei stanno lasciando che un regime si fortifichi in Tunisia. Ad aggravare quindi la sfortuna dei tunisini c’è l’indifferenza dell’Europa, che assiste passivamente al pericoloso avventurismo di Saïed. A Bruxelles è stata decretata una linea ed è quella della cooperazione con Tunisi. Bruxelles è soddisfatta della collaborazione di Saïed nell’arginare il flusso di migranti verso l’Italia.

Giorgia Meloni lo ha addirittura indicato come modello per i controlli alle frontiere dell’Unione Europea. A ciò si aggiunge il timore che qualsiasi offesa a Saïed lo spinga ad approfondire gli interessi già annunciati con Russia, Cina e Iran, posizione tra l’altro che l’Italia sta cercando di arginare in Algeria, rendendosi particolarmente servizievole con il regime del Presidente Abdelmadjid Tebboune, che ci rifornisce di un po’ di gas e petrolio. Il silenzio dell’Europa, con l’Italia in prima fila, si rende complice del rafforzamento di un regime che fa comodo a tutti tranne che ai tunisini. L’ennesima dimostrazione che sull’Europa è difficile contare e che i tunisini dovranno fare leva solo ed esclusivamente sulle loro forze.

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