Hanno scelto “Il seminatore” di Van Gogh per la correlazione tra il contenuto dell’opera – un campo di grano – e la drammatica crisi alimentare che stiamo vivendo. Questa è la spiegazione data da Ismaela Cavallin, una delle dimostranti di Ultima Generazione, il movimento di attivisti per l’ambiente che, per mano di alcuni dei suoi membri che ora rischiano di essere processati, ha protestato lanciando della zuppa di verdure contro il capolavoro del pittore olandese esposto in mostra a Roma, a Palazzo Bonaparte. L’hanno definita “un’azione di disobbedienza civile non violenta”, finalizzata a far parlare di emergenza climatica e ad attirare l’attenzione pubblica. Sfugge, tuttavia, quale sia il nesso tra il ragionevole scopo della protesta e le modalità di protesta scelte. Cosa penserebbe il pittore che con tanto tormento in vita si è interrogato sulla sua arte e sul suo scopo, dei rischi a cui sono state sottoposte le sue opere? Nelle lettere al fratello Theo Van Gogh disse: «Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendano. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro». E questo è accaduto. Il valore della sua arte – gusti a parte – è stato riconosciuto universalmente. Vi si è riconosciuto il racconto di un’anima tormentata e di una natura potente, la forza dei colori che corrisponde all’intensità degli stati d’animo umani dell’autore. Affascinato e legato indissolubilmente al paesaggio in cui visse, probabilmente oggi Van Gogh sposerebbe la causa dei tanti che si battono per proteggere l’ecosistema che ci ospita, ma è altrettanto probabile che a stento riuscirebbe a spiegarsi il motivo per cui per portare avanti questa battaglia ci debbano rimettere le sue opere, così come quelle di altri artisti.
Capolavori a rischio
Il blitz a Roma ai danni de “Il seminatore” è solo uno degli episodi più recenti. Notizie di proteste simili arrivano con sempre maggiore frequenza da ogni parte d’Europa. Altri membri dello stesso movimento, Ultima Generazione, a luglio si erano incollati a “La primavera” di Botticelli alla Galleria degli Uffizi, per “ricordare che la bellezza esiste e va protetta”, e poi ad agosto alla statua del Laocoonte esposta nei Musei Vaticani a Roma. Altro grande protagonista di questo tipo di dimostrazioni è il movimento Just Stop Oil: un gruppo di attivisti ambientali britannici che utilizza la resistenza civile e l’azione diretta con il particolare scopo di sollecitare il governo britannico a fermare le nuove licenze e la produzione di combustibili fossili.Il 14 ottobre alla National Gallery di Londra alcuni membri hanno lanciato il contenuto di due lattine di salsa di pomodoro contro un altro quadro di Van Gogh, “I girasoli”, al quale poi si sono incollati per protestare, in particolare, contro i passi indietro nella politica sull’emergenza climatica imputati al governo dell’allora premier Liz Truss. Causa scatenante è stata la proposta del primo ministro di concedere oltre 100 nuove licenze per i combustibili fossili, sovvenzionati 30 volte in più rispetto alle fonti rinnovabili. Questi e altri dettagli sul fine della loro azione sono stati forniti da una delle responsabili in un video postato su Twitter che ha raggiunto 7 milioni di visualizzazioni. Dieci giorni dopo al Museo Barberini di Potsdam, in Germania, due attivisti di “Last Generation” hanno lanciato del purè di patate su “Il pagliaio” dell’impressionista Claude Monet. “La gente muore di fame, di freddo.
Siamo in una catastrofe climatica e l’unica cosa che spaventa è della salsa su un quadro? Sapete di cosa ho paura? Sono spaventata dalla scienza che ci dice che nel 2050 non saremo in grado di nutrire le nostre famiglie” – ha detto una delle attiviste, che invita a interrogarsi se vale più l’arte o la vita. Altri giovani ecologisti il 27 ottobre hanno sposato la stessa causa con l’ennesima azione nei confronti del famoso dipinto di Johannes Vermeer, “La ragazza con l’orecchino di perla”, esposto al museo Mauritshuis de L’Aia, in Olanda. “Come vi sentite quando vedete qualcosa di bellissimo e di valore inestimabile che viene distrutto davanti ai vostro occhi?” ha detto uno dei tre. I responsabili, che si sono incollati al quadro versandosi addosso della salsa di pomodoro, sono stati poi arrestati per violenza pubblica. Infine, l’ultima incursione degli eco-attivisti a Madrid il 5 novembre. Due membri del collettivo ambientalista Futuro Vegetal hanno incollato le mani alle cornici di due tele di Francisco de Goya, “Las Majas”, e hanno scritto sul muro “+1,5 °C”, per «avvertire dell’aumento della temperatura globale che causerà un clima instabile e gravi conseguenze in tutto il pianeta». In tutti questi casi, sebbene alcune componenti delle cornici esterne siano state rovinate, fortunatamente le opere erano protette da un vetro, pertanto non hanno subito danni.
Osare, fin troppo
“Vale più l’arte o la vita?”, questo è uno degli slogan condivisi da molti dei protagonisti di queste azioni. Una domanda a cui è difficile rispondere, quasi un quesito esistenziale e filosofico, al quale i dimostranti hanno deciso di replicare scegliendo di rovinare l’arte. O meglio prendendosi l’enorme rischio di deturpare l’arte. Le opere di questi celebri pittori, così come l’ecosistema che ci circonda, sono un immenso patrimonio da preservare e tutelare. Per secoli generazioni di mercanti d’arte, di appassionati, di galleristi, si sono impegnati strenuamente affinché le creazioni non venissero danneggiate e resistessero alle peripezie storiche a cui erano sottoposte. Un grande sforzo che ha condotto al risultato auspicato: dopo centinaia di anni abbiamo ancora la possibilità di ammirare queste creazioni esposte nelle gallerie di tutto il mondo. Dunque, piuttosto che chiederci se vale più l’arte o la vita dovremmo chiederci per quale motivo oggi l’arte debba essere volontariamente e scientemente sottoposta al rischio di essere deturpata e deteriorata. C’è poi da dire che l’arte non è solo una fonte di arricchimento per l’animo e lo spirito umano, ma anche per le casse di tanti enti che destinano i ricavi della vendita delle opere a progetti a favore dell’ambiente. Proprio oggi a New York, da Christie’s, ci sarà quella che potrebbe diventare l’asta di opere d’arte più grande della storia. I meravigliosi capolavori in questione, realizzati da artisti risalenti a diverse epoche (Botticelli, Turner, Cezanne, Monet, Picasso, Gauguin, Lichtenstein…), appartenevano alla collezione privata del defunto co-fondatore di Microsoft, Paul Allen, che ha deciso di devolvere tutti i proventi (oltre un miliardo e mezzo di dollari) in beneficenza.
La sua fondazione, in particolare, investe da anni nelle comunità del Pacifico nord-occidentale, con particolare attenzione alle arti regionali, alle popolazioni svantaggiate e all’ambiente. Questo è solo uno degli esempi più recenti in cui, per volontà di enti e fondazioni, i ricavi derivanti dal settore artistico-culturale vengono destinati alla salvaguardia dell’ambiente. E allora…se l’arte può diventare, tra le altre cose, uno strumento ausiliario alla battaglia contro il cambiamento climatico, perché deturparla? E non c’è solo il pericolo che le opere vengano rovinate, c’è anche la possibilità che queste condotte diventino un modus operandi che funga da modello e che ispiri ancora condotte simili o magari più gravi. Così, di fronte al reale problema dell’inquinamento e dell’emergenza climatica ne sorgono altri: l’arte è minacciata e per sottrarla alle insidie le autorità potrebbero decidere di proteggere ulteriormente le opere rendendole ancora meno fruibili, allontanandole ancor di più dalla nostra vista e togliendoci la possibilità di ammirarle da vicino. Inoltre, potrebbero aumentare le difficoltà – già consistenti – nello spostamento delle creazioni da un paese e da un museo all’altro. Il risultato è che gli eco-attivisti anziché proteggere il patrimonio naturale – magari attraverso la proposta o la discussione su soluzioni concrete – vanno a minacciare il patrimonio artistico, che diventa un bene sempre più vulnerabile e ancor meno fruibile. Inoltre, piuttosto che diffondere un’eco di speranza e motivare l’opinione pubblica stanno alimentando una certa disapprovazione e un crescente risentimento verso i loro deprecabili comportamenti.
Non sarebbe meglio scegliere un modo più efficace e meno dannoso per sollecitare le istituzioni a prendersi cura del nostro Pianeta?