Abbandonare big pharma per curare malattie rare grazie a un albero che cresce in Amazzonia. È la storia di Massimo Mineo, Annabella Amatulli e Martire Particco, che dopo una carriera in colossi farmaceutici come Johnson&Johnson, Pfizer, Shionogi, UCB, Dompè, Recordati e Sigma-tau hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle e «creare soluzioni per chi un diritto a una soluzione ancora non ce l’ha». Nel 2021, da Napo Pharmaceuticals (società interamente controllata da Jaguar Health, con sede a San Francisco e quotata al NASDAQ) nasce Napo Therapeutics, startup indipendente milanese che mira a sviluppare terapie in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie rare e con un forte “unmet medical need” (ossia esigenze mediche non soddisfatte). Pazienti che, in Italia, si stimano in oltre un milione, secondo i dati dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), e che sono soprattutto bambini, costretti nel 25% dei casi a cambiare regione per beneficiare delle cure necessarie (Rapporto MonitoRare 2022).
“Totale assenza di incentivi, ma qualcosa si muove”
A il Millimetro, Massimo Mineo, CEO di Napo Therapeutics, spiega che «le malattie rare sono così definite per via della loro scarsa prevalenza, vale a dire perché interessano un numero limitato di persone rispetto alla popolazione generale. Attenzione, però: “Numero limitato” non significa “poche”. Nell’Unione Europea, la soglia di incidenza al di sotto della quale una malattia viene definita “rara” è lo 0,05% della popolazione: non più di un caso ogni 2000 persone. Considerando l’esistenza riconosciuta, a oggi, di circa 6mila-8mila patologie rare, stiamo parlando di circa 30 milioni di pazienti nel continente (dati Commissione Europea). Nel 70% dei casi, queste malattie insorgono in età pediatrica e presentano difficoltà diagnostiche e di gestione clinica, tanto che spesso per i più piccoli mancano percorsi terapeutici non invalidanti. Non a caso, quando parliamo di malattie rare spesso ci riferiamo a malattie “orfane” di cura. Patologie che, pur provocando gravi rischi e difficili condizioni di sopravvivenza, non sono oggetto di studi o attività di ricerca approfondite da parte del mondo scientifico». La ratio di questa noncuranza è economica e gestionale: «Mancano gli incentivi a monte affinché le case farmaceutiche e i centri di ricerca s’impegnino in percorsi di sviluppo di farmaci dedicati a platee ridotte di pazienti. Questi percorsi, come quelli di riconoscimento, implicano, del resto, importanti e continuativi sforzi finanziari e di studio». Secondo Mineo, però, qualcosa si sta muovendo: «Esistono programmi di accesso anticipato. Si chiamano “Early Access Programs” (EAPs) e permettono a chi è affetto da malattie rare o molto gravi, per cui non esistono alternative di trattamento, di usufruire di farmaci sperimentali o non ancora autorizzati nel proprio Paese. L’accesso resta comunque subordinato all’approvazione del medico curante che, sotto la propria responsabilità, mantiene la facoltà di decidere se l’individuo potrà beneficiarne o meno. Come casa farmaceutica centrata sulla valorizzazione e difesa della dignità delle persone, Napo ha adottato, in collaborazione con l’azienda Your Business Partner (YBP), il modello “Human Value Based”, che si fonda sulla costruzione multidisciplinare di percorsi sanitari (“Patient Pathway Algorithm”) calibrati non solo sulle necessità, ma anche sui desideri e sui sogni dei singoli pazienti».
Un farmaco che fa bene anche all’ambiente
Napo Therapeutics, in particolare, si dedica a diffondere in Europa l’utilizzo di Crofelemer (farmaco di sua proprietà a base vegetale e primo del suo genere) utile, nello specifico, per la sindrome dell’intestino corto (SBS) e i disturbi diarroici congeniti (CDD). Dopo aver ottenuto dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) lo status di “farmaco orfano” a fine 2021 per il trattamento del SBS, Crofelemer – che dal 2012 è autorizzato negli Stati Uniti per il trattamento della diarrea nei pazienti con HIV – ha conquistato poche settimane fa un nuovo riconoscimento per il trattamento di un’altra patologia rara: la malattia da inclusioni microvillari (MVID). Mineo chiarisce che «si tratta di una rarissima forma di diarrea cronica che colpisce 0,1 bambini su 10mila, condannandoli a gravi rischi di malassorbimento e ad alimentarsi per tutta la vita attraverso terapia parenterale, un trattamento molto invasivo che comporta la somministrazione dei nutrienti per via venosa. Adesso il nostro obiettivo è iniziare la sperimentazione clinica registrativa e rendere il farmaco disponibile quanto prima per i pazienti». Crofelemer, però, non aiuta solo le persone, ma anche la natura. Viene, infatti, estratto e purificato dalla linfa della corteccia rossa (chiamata anche “sangue di drago”) dell’albero Croton lechleri, raccolta in Amazzonia in modo sostenibile attraverso un vasto programma di riforestazione: per ogni albero utilizzato, ne vengono piantati almeno altri due. «Dal 2000 – spiega Mineo – circa 800mila alberi sono stati piantati in sette aree del Perù; 40mila solo tra il 2020 e il 2021.
Un risultato che non avremmo raggiunto senza l’aiuto di diverse comunità indigene: dagli Yanesha e Ashaninka del Pichis, delle Valli Palcazu, alle tribù indigene Kandozi, alla comunità Llchapa e agli indigeni Maijuna di Sucusari». Napo Therapeutics nasce proprio da qui, da quelle tribù e da quel fiume (Napo, appunto) che scorre nei territori dove cresce questa pianta tropicale. «Come bussola del nostro progetto abbiamo scelto un modello di pensiero e azione circolare che definisce la nostra essenza: dalla natura attingiamo gli strumenti per la cura della salute umana, dalla cura dell’uomo impariamo come costruire rimedi per l’ambiente e per la società. L’abbiamo chiamato “Napo Way”». In poche parole, responsabilità verso il paziente, rispetto della sua dignità, sostenibilità della produzione. L’azienda, non a caso, è molto attiva anche nel commercio equo e solidale con i suoi partner locali e indigeni, offrendo opportunità di reddito a individui, comunità e famiglie. «Per noi – continua l’amministratore delegato – è una precisa scelta d’identità e di strategia di impresa: la dignità e il benessere delle persone con cui interagiamo rappresentano i risultati della nostra azione». I prodotti di Napo, infatti, sono di origine vegetale, di derivazione sostenibile e progettati per il mercato globale: ogni Paese e ogni popolazione, indipendentemente dal proprio status economico o sociale, può accedervi.
“La nostra forza sono le persone”
Amazzonia sì, ma non solo. Oltre al programma di riforestazione, la casa farmaceutica è impegnata in diversi progetti sociali: «In Italia, durante la pandemia, abbiamo supportato il progetto United4ourFuture per aiutare le famiglie più in difficoltà. L’iniziativa, grazie a cui è stato possibile raccogliere centinaia di prodotti alimentari, è stata lanciata nel 2021 dall’Associazione Healthcare Businesswomen’s Association (HBA Milano), presieduta da Annabella Amatulli. Con HBA Milano, Abbott e Le Contemporanee abbiamo poi deciso di sostenere la campagna per l’empowerment femminile “Date voce alla vostra voce”. Per spirito, principio e scelta quotidiana, le discriminazioni ci fanno molto arrabbiare». E non poteva che essere così per una casa farmaceutica che sceglie, attraverso il proprio sito web, di presentarsi al mondo con queste parole: «La nostra storia è legata a un territorio, a saperi antichi tramandati da generazioni. La nostra è la storia di persone. Perché le persone contano e quando contano fanno la differenza. Un’azienda è forte quando lo sono le sue persone».