Nell’abisso delle carceri italiane

Tra suicidi e sovraffollamento, la situazione negli istituti penitenziari è sempre più degradante per i detenuti e per chi lavora all’interno delle carceri italiane

Storie di vite spezzate, di uomini e donne che in carcere non hanno trovato solo la loro condanna, ma anche la morte, o meglio, che hanno deciso di andarci incontro, che non hanno visto nessuna prospettiva di vita oltre quelle sbarre. Da inizio 2024 sono 62 i detenuti che si sono suicidati in carcere, uomini e donne, giovani o meno rinchiusi nei penitenziari di tutto lo Stivale da nord a sud, senza differenze. Sono 20 decessi in più rispetto allo stesso periodo del 2023 e con un aumento di 15 rispetto al 2022.

Nell'abisso delle carceri in Italia
Suicidi e mancanza di servizi nelle carceri in Italia – ilMillimetro.it

Differenti sono le loro storie, le loro condanne, che vanno dalla truffa all’omicidio, o alla semplice detenzione in attesa di giudizio. Il comun denominatore però è ben chiaro: il problema delle carceri in Italia è sempre più grave e queste vittime, queste persone che un tempo sono state bambine, che hanno avuto sogni, magari una famiglia, dei figli, ora sono solo un tragico numero diventato un grido di allarme.

L’obiettivo primario del carcere, come previsto dall’art. 27, è quello di rieducare il detenuto che non viene inserito nel circuito penitenziario solo per essere punito per il reato commesso. Questa è l’utopia, ben lontana da quelle che sono le reali condizioni delle carceri italiane: sovraffollate, carenti nei servizi primari, spesso luoghi fatiscenti. Basti pensare che al 31 maggio del 2024 i detenuti in Italia erano 61.049 a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 per un indice di affollamento del 130.06% a livello nazionale. Non solo, nel recente focus del Garante dei detenuti emerge che circa una persona su due si è tolta la vita nei primi sei mesi di detenzione e che solo il 38% dei morti aveva una condanna definitiva.

Sovraffollamento, situazione fuori controllo

Quello che emerge poi dal dossier di Antigone, che dal 1991 si occupa dei diritti dei detenuti, non fa ben sperare per il futuro. La media è quella di un suicidio ogni tre giorni, circa il 12% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave che raramente viene gestita nel modo corretto e che, quasi sempre, viene tamponata con l’uso massiccio di psicofarmaci. Stando al report, il 20% delle persone detenute (oltre 15.000) fanno regolarmente uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi e, circa il 40% (oltre 30.000 persone) fa uso di sedativi o ipnotici.

Situazione fuori controllo per il sovraffollamento
Sovraffollamento nelle carceri – ilMillimetro.it

La situazione più allarmante è quella del carcere milanese di San Vittore, con una percentuale di sovraffollamento del 231.15%. Ma la quasi totalità delle regioni (17) registra un indice superiore agli standard e solo tre si collocano al di sotto della soglia regolamentare. In generale, tra le regioni che fanno registrare numeri peggiori c’è la Puglia (152.1%), seguita dalla Lombardia (143.9%) e dal Veneto (134.4%).

A questo si aggiunge poi lo stato fatiscente di molti istituti: il 31.4% delle carceri presenti sul territorio italiano è stato costruito prima del 1950. Nel 10.5% degli istituti non tutte le celle sono riscaldate e nel 60.5% nelle stesse non è garantito un bene primario come l’acqua. Ma ancora, il 34.2% degli istituti non sono dotati di spazi lavorativi, il 25% non ha una palestra o, se c’è, non è funzionante.

A questo si aggiunge poi la difficile situazione di chi è dall’altro lato, ovvero della Polizia Penitenziaria. In Italia gli agenti di polizia penitenziaria sono 31.546, con un rapporto detenuti-agenti pari all’1.8 a fronte di una previsione di 1.5. Uomini e donne della polizia penitenziaria vivono sempre in agguato, in attesa che qualcosa di grave succeda, come peraltro puntualmente accade. Stando ai dati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), nel 2023 sono state registrate 1.612 aggressioni di detenuti ad agenti della penitenziaria.

“Decreto Carceri”, una soluzione impalpabile

Insomma, un quadro tutt’altro che rassicurante e che testimonia come l’istituto della legalità per eccellenza, il carcere, sia diventato esattamente l’opposto, con detenuti spesso abbandonati a loro stessi, assistenza sanitaria molto scarsa, assistenza psicologica quasi inesistente in molte strutture. Un mix, questo, che come testimoniano i numeri è letteralmente letale e che non può certo essere risolto con il decreto-legge ribattezzato “Carcere sicuro”, approvato dal Consiglio dei ministri, che dovrebbe ridurre, almeno in parte, la questione del sovraffollamento.

Decreto carceri, una soluzione impalpabile
Il Decreto carceri non ha risolto nulla – ilMillimetro.it

Il decreto portato in Cdm da Nordio è infatti una misura quasi impalpabile e prevede che, quando un detenuto fa richiesta per ottenere una misura alternativa al carcere, sia direttamente il giudice a valutare se ci siano i presupposti o meno. In questo modo, quindi, per decidere sulle misure alternative non bisognerà più attendere il via libera di un altro giudice. Tra gli altri provvedimenti è presente l’inasprimento del regime di 41 bis, il così detto “carcere duro”, che esclude la possibilità ai detenuti di accedere ai programmi di giustizia riparativa, mentre è arrivato il via libera per l’aumento delle telefonate da quattro a sei al mese. A concludere, l’assunzione di mille nuovi agenti di polizia penitenziaria: 500 per il 2025 e 500 per il 2026.

Quanto accaduto in questa prima parte di 2024 e gli innumerevoli casi di suicidio non hanno lasciato indifferenti i detenuti che in molte carceri hanno dato vita a diverse proteste. Dall’istituto romano di Regina Coeli, dove i detenuti hanno bruciato materassi e rotto alcuni tavoli, passando per il carcere di Vibo Valentia fino a quello di Velletri e di Trieste, in un moto che ha investito senza distinzioni tutta Italia e che ha messo sotto gli occhi di tutti, se ancora ce ne fosse bisogno, la situazione in cui i detenuti sono costretti a vivere e per la quale, spesso, decidono che forse è meglio morire.

Italia, maglia nera anche in Europa

Guardando all’Europa la situazione non migliora, e anzi l’Italia si colloca al sesto posto nelle carceri più affollate tra i 46 paesi membri del Consiglio d’Europa (CoE) ed è al 28° posto per numero di persone detenute ogni 100mila abitanti. Non solo, nell’ultimo rapporto del Consiglio D’Europa, Space I, il sistema carcerario italiano è stato considerato tra i peggiori d’Europa in termini di sovraffollamento, suicidi tra i detenuti e carcerazione preventiva.

L'Italia tra le peggiori in Europa
In Europa l’Italia è tra i Paesi con più problemi – ilMillimetro.it

Da qui è arrivato anche il monito del comitato dei ministri dell’organizzazione paneuropea che in documento si è così espresso: “Constatiamo con grande preoccupazione che le misure adottate finora dalle autorità non sono riuscite ad arrestare l’allarmante tendenza negativa dei suicidi in carcere, osservata dal 2016 e proseguita nel 2023 e all’inizio del 2024. Per questo esorta le autorità ad adottare rapidamente ulteriori misure correttive e a garantire lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie aggiuntive per rafforzare la capacità di prevenire i suicidi nelle carceri”.

La rivoluzione della Norvegia: ecco il carcere di Halden

Se in Europa il sistema carcerario sembra fare acqua da tutte le parti, c’è l’eccezione della Norvegia che ha invece adottato un modello nettamente diverso, il cui obiettivo primario è quello di reinserire i detenuti nella società trattandoli nel modo più “umano” possibile, affinché siano scoraggiati dal commettere nuovamente reati. Il carcere di Halden è stato per questo dichiarato il “carcere più umano del mondo” e non fatichiamo a comprenderne il motivo.

In Norvegia hanno cambiato le regole del gioco in carcere
Una cella di un carcere standard. In Norvegia è tutta un’altra cosa – ilMillimetro.it

Progettato dall’architetto Erick Møller, è stato inaugurato nel 2010 e può contenere fino a 252 individui e accoglie detenuti accusati di omicidi, sex offenders, tossicodipendenti e autori di crimini minori. Nessuna recinzione elettrificata, niente filo spinato, niente sbarre alle finestre o telecamere di sorveglianza. Ma la rivoluzione non finisce qui: all’interno del carcere di Halden le guardie sono disarmate e seguono il principio della “sicurezza dinamica”, ovvero un sistema in cui le guardie si mescolano ai detenuti prevenendo così conflitti attraverso il dialogo e l’interazione. Gli agenti non pattugliano, ma interagiscono e sono circa 350 per 250 detenuti, una proporzione impensabile nelle carceri italiane.

In questo istituto penitenziario, semplicemente, i carcerati non vivono in carcere: hanno celle di 12 mq dotate di televisori, frigoriferi, bagni privati. Condividono una cucina e un soggiorno e sono incoraggiati a seguire programmi rieducativi e di formazione professionale. Non solo, la prigione offre anche consulenze individuali per aiutarli a fare del loro meglio, preparandoli poi per essere reinseriti nella società. Un esperimento riuscito? Come sempre i numeri possono dare un quadro generale: la filosofia messa in campo nel carcere di Halden ha portato a un tasso di recidività del 20%, percentuale tra le più basse al mondo.

Quello di Halden non è però l’unico esempio che troviamo in Norvegia, dove è presente anche l’istituto di Bastøy, situato a 50 km da Oslo. L’edificio ospita 115 detenuti, la maggior parte dei quali ha scontato la maggior parte della pena, che possono rimanere nel penitenziario per massimo cinque anni. Quella di Bastøy è una prigione ecologia: la terra viene lavorata dagli stessi detenuti e i rifiuti vengono riutilizzati. Ma non c’è solo l’agricoltura: i lavori sono diversi e spaziano dalla cucina alla gestione dei negozi passando per la guida delle barche.

Tutti impieghi che permettono ai detenuti di essere pagati 8 euro per turno, ai quali di aggiungono 24 euro a settimana, garantiti dalla prigione, da poter spendere per i pasti o per effettuare delle chiamate. Numeri alla mano, questo approccio funziona, con appena il 16% di tasso di recidiva: nulla se si considera che la percentuale europea di aggira attorno al 70-75% e quella americana sfiora addirittura l’80%.

Da Leboen a Suomenlinna: saranno così le carceri del futuro?

Gli esempi delle carceri di Halden e Bastøy non sono gli unici da cui prendere spunto. Proprio in Austria, infatti, il centro di giustizia di Leoben segue il modello del carcere aperto, dove è l’architettura della struttura a fare in primis la differenza. In questo caso gli spazi sono stati pensati per una giusta qualità di vita per i detenuti e non per soddisfare solo ed esclusivamente meri requisiti di sicurezza. Il vetro della facciata riduce la distanza dal mondo esterno, le celle sono luminose con bagno e cucina privata e sono presenti spazi collettivi e ambienti dedicati all’incontro con i famigliari.

Le carceri del futuro come saranno?
Il rapporto tra poliziotto e detenuti può anche non essere conflittuale – ilMillimetro.it

Discorso molto simile anche per la prigione che si trova in Finlandia e, più precisamente, sull’isola di Suomenlinna, a Helsinki, dove i detenuti vivono la prigionia creando di fatto una loro personale realtà. Quindi lavorano, pagano le tasse e contribuiscono anche alla riparazione e al restauro della fortezza di Suomenlinna, patrimonio mondiale dell’Unesco. Questa prigione può ospitare circa 100 detenuti, quasi tutti vicini al completamento della loro pena. Il focus è quello di cui sopra: preparare e insegnare al detenuto come reinserirsi nella civiltà rendendosi utile al resto della società.

Non solo in Europa, esempi di approcci diversi sono visibili anche in un luogo remoto come quello dell’Isola di Pasqua. A più di 3.600 km dalle coste del Cile si trova l’enigmatica e remota Isola di Pasqua, che ospita un carcere definito dagli stessi detenuti come “un posto accogliente”. Ovviamente i numeri fanno la differenza: i detenuti sono appena 12 con 23 guardie che non hanno uniforme, non ci sono torri di vigilanza e la struttura offre la possibilità di impegnarsi nello scolpire il legno con riproduzioni dei famosi moai dell’isola. I turisti possono inoltre acquistarli e, con il ricavato, i detenuti possono comprare beni.

Rieducazione in carcere, è solo utopia?

Alcuni potrebbero pensare che i modelli adottati in Norvegia (e non solo) siano troppo buonisti, che si trasformi il carcere in un luogo di villeggiatura, che si diano troppi comfort a persone che di fatto hanno commesso un errore, violato le regole, insomma si sono resi protagonisti di fatti incresciosi e per questo devono pagare.

La rieducazione forse non è solo utopia
Rieducazione in carcere, utopia o possibilità? – ilMillimetro.it

Ma siamo veramente sicuri che il sistema europeo di limitare, rinchiudere ed esasperare di fatto sia quello giusto? Proprio le parole del direttore del carcere di Bastøy inducono a una riflessione: “Noi siamo qui per formare dei cittadini, dei vicini di casa. Un giorno queste persone usciranno di prigione e saranno libere. Tu chi vorresti come ipotetico vicino di casa, nel tuo futuro, per te e la tua famiglia? Un uomo ristabilito e reintegrato nella società oppure un uomo ancora malato, arrabbiato, che è stato richiuso per anni in condizioni incivili?”.

Ecco, il presupposto da cui partire deve essere questo: il castigo e la negazione dell’umanità e della dignità non potranno mai essere la soluzione, non potranno rieducare in nessun modo un detenuto che, quindi, non sarà in grado di reinserirsi nella società. Anzi, con  moltissima probabilità tornerà a commettere reati entrando e uscendo di prigione senza realmente cambiare, confermando il fallimento di un sistema che ci si ostina a portare avanti in ogni modo, quando forse basterebbe guardare oltre il proprio naso per capire che una soluzione diversa può esistere.

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